L'UNIversiTÀ

Grazia Di Cesare

Mi chiamo Grazia Di Cesare sono abruzzese, ho 23 anni e frequento il quinto anno della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. Scrivere è una delle mie passioni più grandi sin da piccola, amo il giornalismo d'inchiesta e d'attualità. Mi piace leggere, viaggiare sono una curiosa per natura, amo la natura e mi piace l'avventura e scoprire sempre posti, cose e persone nuove.

CINEVASIONI-PRIMO FESTIVAL DEL CINEMA IN CERCERE: HERE WE GO!

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Dal 9 al 14 maggio la Casa Circondariale “Dozza” di Bologna sarà la location della prima edizione di un concorso cinematografico, che vedrà i detenuti in veste di giurati e spettatori per selezionare il miglior film/documentario a cui andrà la “Farfalla di Ferro” realizzata dai detenuti stessi. Ecco le considerazioni degli organizzatori in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’evento.

Per la prima volta un festival del cinema varca le porte di un carcere: “Cinevasioni-Primo Festival del cinema in carcere”, organizzato da D.E-R Associazione Documentaristi Emilia Romagna e dalla Direzione della Casa Circondariale Dozza di Bologna, con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e RAI Cinema, rappresenta un evento dalle peculiarità eccezionali. In occasione della conferenza stampa tenutasi il 5 maggio presso la Sala Riunioni del carcere, gli organizzatori hanno avuto modo di presentare il festival: “Per la prima volta abbiamo un festival che va in un posto, un carcere per l’appunto”- commenta Ivano Marescotti, attore e presidente della Giuria che selezionerà nel corso delle giornate che vanno dal 9 al 14 maggio il film/documentario vincitore insieme a un gruppo di detenuti impegnati da ottobre nel corso del laboratorio “CiakinCarcere”. “E’ un festival del cinema in carcere, ma è come se fosse organizzato in qualsiasi altro posto”- commenta Filippo Vendemmiati, Direttore artistico di Cinevasioni- “è una scommessa culturale e sociale”– prosegue- “anche il pubblico infatti sarà composto per la metà da detenuti e per l’altra metà da persone libere”. L’evento rappresenta un appuntamento molto importante e motivo di orgoglio, non solo perché crea un ponte culturale tra mondo del carcere e mondo “libero”, ma anche perché i veri protagonisti saranno i detenuti stessi in una precisa logica trattamentale, come momento conclusivo di un percorso iniziato con il laboratorio CiakinCarcere. “Ciò che vogliamo è suggerire alle persone detenute una prospettiva della loro vita che non hanno mai avuto”– commenta Claudia Clementi, Direttrice della Casa Circondariale Dozza di Bologna- “i detenuti, non perché privati della libertà, devono essere privati di tutto il resto”- prosegue la Direttrice- “le sfide sono qualcosa rispetto alle quali non ci tiriamo mai indietro”: “La Sfida”, infatti, è proprio il titolo della sigla del Festival realizzata dagli “attori del carcere”. Di estrema importanza è stata anche la partecipazione e il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, che commenta con entusiasmo la partecipazione a questo tipo di attività culturali, in quanto esprimono il modello di Fondazione che vuole condividere delle linee comuni con la città, non solo erogando, ma erogando e partecipando.
“Tutti conoscono le nostre facce per i reati che abbiamo commesso, ora vogliamo che le nostre facce escano fuori per qualcosa di buono”- così Angelita Fiore, Direttrice organizzativa di Cinevasioni riferisce a proposito delle motivazioni che hanno spinto molti detenuti in prima battuta a partecipare al laboratorio di cinema, in secondo luogo a impegnarsi per la realizzazione di questo festival. Grandi assenti le Istituzioni locali, ma nonostante questa mancata partecipazione ed occasione, gli organizzatori hanno dimostrato ugualmente per la realizzazione di questa prima edizione un entusiasmo e una motivazione fuori dal comune, in particolare per far fronte alle difficoltà organizzative e gestionali: “Seppur con un impegno organizzativo consistente”-commenta la Direttrice- “ ci piace offrire opportunità ad ampio spettro per la popolazione carceraria”. L’oscar che la Giuria assegnerà al film vincitore sarà una “Farfalla di Ferro”, realizzata dalla F.I.D.-Fare Impresa in Dozza: l’officina metalmeccanica all’interno del carcere in cui lavorano insieme detenuti e metalmeccanici in pensione. Grandi ospiti tra i partecipanti al concorso sono attesi, come Matteo Garrone, che aprirà il festival e Daniele Lucchetti che lo chiuderà. Anche la società civile bolognese ha risposto con grande fermento all’iniziativa con un sold out totale in pochissimo tempo dei posti a disposizione, che dire a questo punto, non ci resta che fare i migliori auguri alla Prima edizione di Cinevasioni, affichè sia solo il primo appuntamento di una lunga serie.

PROSPETTIVE DI VOTO: FRA REFERENDUM E CAMBIAMENTO CLIMATICO

Foto di Greenpeace
Foto di Greenpeace

La democrazia non fa per tutti, ma vi dirò di più: la democrazia non fa proprio per chi il 17 aprile si asterrà dal partecipare alla consultazione referendaria in materia di trivellazioni in mare; semplicemente, non si può addurre a banali scuse e giustificazioni per poter legittimare la propria posizione di inerzia politica, sociale, mentale.
Il quesito “superstite”, unico sopravvissuto alla scure della Corte Costituzionale, ha ad oggetto l’abrogazione o meno della disciplina legislativa in materia di concessioni per la trivellazione in mare entro le 12 miglia, nella parte in cui prevede che la durata delle concessioni possa protrarsi sino alla “vita utile del giacimento”: l’eventuale vittoria del “SI”, previo raggiungimento del quorum (circa 26 milioni di italiani), comporterà semplicemente la costituzione di un termine legale di durata della concessione. Sminuire l’entità di questa consultazione e ostacolarla direttamente e indirettamente, è una strategia emblematica dal punto di vista tattico, una strategia che dimostra ancora di più quanto sia importante esprimere il nostro voto, che va al di là del semplice quesito: é un voto che potrebbe davvero lanciare un segnale forte in tema di riduzione dell’utilizzo di fonti energetiche combustibili fossili, causa principale di emissioni di CO2 e del conseguente fenomeno del “cambiamento climatico”. Le prospettive di un voto compatto a favore del “SI” sono molto lungimiranti: per la prima volta possiamo essere chiamati ad esprimere la nostra idea su come impostare la politica energetica dei prossimi anni e non possiamo più prescindere dal considerare la lotta al cambiamento climatico come prioritaria in assoluto. L’IPCC (International Panel on Climate Change) avverte sulla necessità, ormai improrogabile, di ridurre del 95% le emissioni di CO2 entro il 2050 solo per poter contenere il surriscaldamento globale entro i 2°C. Attualmente le emissioni dei cosiddetti “gas a effetto serra”, come riporta l’Agenzia Europea per l’Ambiente, sono provocate essenzialmente da “combustione di carburanti fossili (carbone, petrolio e gas) nella produzione di energia, nel trasporto, nell’industria e nell’uso domestico (CO2), nell’agricoltura (CH4) e le modifiche della destinazione dei suoli come la deforestazione (CO2), la messa a discarica dei rifiuti (CH4), l’utilizzo dei gas fluorurati di origine industriale”.
I rischi connessi a una costante sottovalutazione del cambiamento climatico da parte di Governi e Imprese impegnate nel settore energetico potrebbero rivelarsi fatali nell’immediato futuro, come riporta uno studio condotto da Legambiente.
Le possibili conseguenze di un inefficiente apporto normativo ed economico sul tema comporterebbero irreversibili desertificazioni delle zone più calde del Pianeta, un assoluto aumento di fenomeni disastrosi quali inondazioni e alluvioni, una disastrosa compromissione degli ecosistemi naturali, un innalzamento del livello dei mari tale da mettere in pericolo le popolazioni delle zone costiere e tale da intaccare, attraverso le infiltrazioni di acqua salata, la disponibilità di acqua dolce, una proliferazione di forme patologiche, nonché, come conseguenza di queste radicali modificazioni, un ingente fenomeno migratorio dovuto all’invivibilità assoluta con la quale determinate zone dovranno fare i conti.
La fine non è vicina, tuttavia, abbiamo ancora la possibilità di ridurre i rischi connessi al climate change: proprio oggi la Costa Rica, come riporta l’Independent, celebra i suoi 75 giorni di fornitura energetica green ai suoi abitanti, un risultato esemplare che già da subito ha mostrato i suoi effetti positivi con un aumento consistente delle piogge. Essere consapevoli della situazione reale è il primo e fondamentale passo per modificarla; tutti i settori scientifici devono in via prioritaria occuparsi del contrasto al cambiamento climatico, come forma principale di tutela ambientale, e noi stiamo ancora parlando di trivellazioni? Questo referendum si mostra funzionale alla manifestazione di una volontà coesa verso l’utilizzo di rinnovabili come fonte prioritaria di approvigionamento energetico, e questo è possibile nell’immediato. La politica di contrasto all’effettiva utilità di questo referendum dimostra esclusivamente la volontà di mantenere uno status quo non più sostenibile: gli ostacoli conseguenti al mancato accorpamento del referendum alle elezioni amministrative o alla difficoltosa possibilità di votare “fuori-sede” per studenti e lavoratori sono lo specchio di una preoccupante opera di minimizzazione della partecipazione sociale alla politica attiva.
Vorrei proporvi, in coclusione, oltre a quanto detto sino ad ora, poche ragioni per le quali è necessario votare, in primis, ma soprattutto votare “SI”:
– rendiamo effettivo il nostro diritto alla cd “democrazia diretta”, dimostriamo che le risorse investite per i referendum non sono sprecate, dimostriamo di essere consapevoli e non passivi ricettori nella società moderna;
– chiediamoci quali sono le potenzialità economiche del nostro Stato e cerchiamo di darci una risposta, davvero l’approvigionamento di combustibili fossili è la nostra potenzialità? Davvero preferiamo mettere da parte la nostra ricchezza ambientale per un “pugno di barili”? La green economy è l’obiettivo principale e per raggiungerlo non possiamo più permetterci di prendere le parti di poche lobby del petrolio svendendo il nostro mare in cambio del 7% delle estrazioni (fra le royalties più basse al mondo);
-c’è una falsa convizione che attraverso le trivellazioni l’Italia riuscirà a recedere la dipendenza energetica dall’estero, quanto di più falso;
-un voto sociale e la costituzione di una grande coalizione per la transizione energetica impegnata anche sul fronte del climate change possono rappresentare i primi benefici “oltre quesito” di una vittoria dei “SI”.
Il 17 aprile va’ a votare “SI”, perché qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare è possibile finché la Terrra sarà in grado di accoglierti: “L’uomo appartiene alla Terra. La Terra non appartiene all’uomo”(Toro Seduto). Buon voto!

RIFLESSIONI DI UNA SETTIMANA ANTIMAFIA

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Una settimana impegnativa per l’Antimafia bolognese e nazionale, ma non solo: una settimana impegnativa per tutta la società civile. All’indomani della presentazione in prima serata del libro di Salvo Riina sulla vita di suo padre, la Scuola di Giurisprudenza di Bologna inaugura la seconda parte seminariale del corso di Mafie e Antimafia tenuto dalla Prof.ssa Pellegrini , in cui il primo ospite l’illustre è stato Don Luigi Ciotti. Si è parlato e si continua a parlare dell’inopportunità con la quale un servizio pubblico come la RAI abbia permesso di dare spazio a questo imbarazzante tentativo di umanizzare la figura di uno stragista, un criminale, Totò Riina, che, compiaciuto, osservava snodarsi le stragi come da lui pianificate. L’altra sera è stata fatta pubblicità alla sua carriera criminale per lui comoda, per noi indelicata. Compiaciuti però non sono affatto i parenti delle vittime innocenti di mafie, che, anzi, solo grazie all’immenso lavoro di Don Luigi Ciotti e Libera hanno avuto un vero riconoscimento, una vera memoria: i loro nomi ogni anno sono scanditi a gran voce nelle piazze d’Italia, perché possano essere ricordati e perché possano risuonare nelle coscienze malate di chi considera l’intimidazione un’arma di potere e successo. “Etica, primo argine contro l’illegalità e nutrimento per la legalità”- queste le parole di Don Ciotti, agli studenti, a noi studenti, sul significato dei valori profondi che dovrebbero caratterizzare le figure professionali del domani: “non parliamo di etica delle professioni, ma di etica come professione”. Un discorso carico di pathos, carico di voglia di continuare a lottare, nonostante tutto. Una voglia di lotta che Don Ciotti ha trasmesso a tutti noi studenti, una voglia di lavorare affinchè il nostro Paese riconquisti credibilità a partire dalle Istituzioni. “Le mafie non sono un mondo a parte, ma parte del nostro mondo”- prosegue: ritenere i soprusi mafiosi come eventi lontani dalla nostra quotidianità è quanto di più errato si possa pensare, e per quanto possa essere difficile ammettere che anche in determinati contesti sociali del nord Italia la presenza delle mafie sia sempre più preponderante, dobbiamo trovare il coraggio e la forza di denuciarne l’esistenza.
C’è una mafiosità diffusa che è il vero patrimonio delle mafie”- aggiunge Don Ciotti, una mafiosità che consente alla criminalità di fare affari in tutto il nord in un sistema di commistione inquietante tra economie legali e illegali: “non stanno solo cercando di riciclare i soldi al nord, ma stanno cercando di conquistarlo”, questo riporta il Prof. Nando Dalla Chiesa, anche lui ospite nell’ambito dell’attività seminariale.
I luoghi di incontro di questi soggetti non sono lussuose suites di grattacieli milanesi, ma sono bar, ristoranti, al piano terra, perché “la ‘ndrangheta si muove dal basso”, e giova di quella mafiosità diffusa, terreno fertile per affari e relazioni. Nel milanese, uno studio condotto sulle uscite dei Vigili del Fuoco per incendi dolosi ha portato alla quantificazione di un incendio ogni due giorni: l’incendio, simbolo del linguaggio mafioso intimidatorio per eccellenza, affermazione di potere e controllo del territorio: “l’incendio è la falange con cui l’impresa mafiosa avanza” sostiene Dalla Chiesa, ma chi ne parla? Perché non riusciamo a collegare gli eventi di cronaca? O perché non ce lo consentono?
Di qui la grande responsabilità della stampa per riaffermare quel tipo di informazione che Enzo Biagi sognava così: “Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un ‘vendicatore‘ capace di riparare torti e ingiustizie, ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo.
Il nostro mondo ha bisogno di vendicatori, ha bisogno di persone che non si spaventano e non si lasciano intimidire, perché la paura è l’arma di manipolazione più efficace e ci rende piccoli, deboli. Non possiamo più permettere che la nostra economia sia erosa dall’interno, affetta da parassitismo criminale: urge la concreta necessità di rinvigorire il concetto di bene comune, di solidarietà e di legalità. Ci fanno credere che il problema siamo noi, che siamo troppi per avere diritto a un lavoro giusto per noi e per la società, che non abbiamo possibilità di ospitare quei rifugiati che facciamo morire fuori le frontiere per il nostro egoismo, ci fanno credere che la mafia sia in qualche stanza nascosta, ci fanno credere che tutto sia sotto controllo, mentre l’ombra delle “terre dei fuochi” si abbatte prepotente e mentre gli affari delle mafie su cemento, lavori pubblici, ristoranti, pizzerie, alberghi, turismo proseguono a gonfie vele; ci fanno credere che i problemi siano altrove, al di fuori della nostra coscienza, ma è proprio lì che sono, all’interno di noi stessi.
Bisogna prendere posizioni nette, se vogliamo un mondo migliore, non perfetto, ma migliore: non possiamo demandare continuamente responsabilità ad altri, partiamo da noi stessi, miglioriamo noi, sdegniamo piccoli favoritismi, non sottomettiamoci al crimine organizzato, parliamo a gran voce di ciò che non ci va bene: “la democrazia si fonda su due doni: giustizia e dignità, ma ha bisogno di stare in piedi con l’impegno”.

SE LA MAFIA E’ UN SISTEMA, PERCHE’ NON PUO’ ESSERLO L’ANTIMAFIA?

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“IO MORTO PER DOVERE. La vera storia di Roberto Mancini il poliziotto che ha scoperto la Terra dei Fuochi” è il titolo del libro edito da Chiarelettere e scritto da Luca Ferrari e Nello Trocchia, che é stato presentato lo scorso 21 Marzo in occasione della “Giornata contro le mafie” presso la Coop Ambasciatori di Bologna. Erano presenti Libero Mancuso, avvocato ed ex magistrato, Stefania Pellegrini, Professoressa di Sociologia del diritto e Mafie e Antimafia presso la Scuola di Giurisprudenza di Bologna e Monika Dobrowolska Mancini. L’ennesima storia mai ridondante di eroi senza paura che, nonostante i soprusi e gli abbandoni da parte delle Istituzioni, nonostante la convergenza di interessi dello Stato con le associazioni mafiose e la riluttanza dello stesso al reale e concreto rispetto della legalità, si battono fino alla morte, una morte che sopraggiunge e lascia attoniti.
Non vi chiedo di piangere, vi chiedo di arrabbiarvi“- con queste parole la vedova di Roberto Mancini, Monika, alimenta il fuoco del suo crudo e diretto intervento nella serata di presentazione. Una donna schietta, per nulla rassegnata, determinata a portare avanti una lotta non solo contro i sistemi mafiosi che hanno reso possibile la creazione di un mostro ambientale come la Terra dei Fuochi, ma anche contro la passività sociale che ci rende schiavi convinti di essere liberi. “La terra dei fuochi è in tutta Italia“, prosegue Monika, ed è vero, non solo perchè poco alla volta emergono scenari simili anche in altri luoghi italiani, ma anche perchè la possibilità che ciò continui a verificarsi in altre zone è molto alta, vista la notevole concentrazione di traffici di rifiuti tossici, anche a livello internazionale.
Un vero monito alla società civile, quello di Monika, contro gli egoismi e l’inerzia generale; inoltre, le parole di Libero Mancuso e Stefania Pellegrini hanno contribuito a delineare profonde carenze soprattutto all’interno dell’ambiente giudiziario: “Troppe volte ho incontrato il termine prescrizione in questo libro”, afferma la Pellegrini, sostenendo che per la complessità di determinate indagini sia essenziale un allungamento sensibile dei termini di prescrizione. Mentre Mancuso ha ribadito a più riprese la necessità di velocizzare e snellire la macchina giudiziaria.
Il danno ambientale provocato nella Terra dei Fuochi è di enorme portata, le morti per tumori da amianto non si fermano, imperversano soprattutto fra i bambini. Si fa sempre più preponderante la necessità di assicurare da un lato i colpevoli alla giustizia in maniera effettiva e veloce, ma anche quella di risarcire il danno cagionato alle vittime della Terra dei Fuochi e di tutte le persone che continuano ad abitare quella terra.
La procedura penale e quella civile devono adeguarsi ad affrontare nuove tipologie di reato e di controversie non più gestibili con gli strumenti inefficienti del “garantismo a tutti i costi”: l’internazionalizzazione di alcune tipologie criminose, come quella del traffico di rifiuti, richiedono un’azione coordinata e unitaria da parte di tutti gli Stati Membri UE, per mezzo di scambi di informazioni a livello europeo e di progressivi ravvicinamenti dei sistemi processuali. Cosí il processo, quale strumento di tutela e giustizia per i cittadini, sarebbe decisamente più semplice a livello burocratico, meno formalizzato, ma non per questo meno garantista. Se la mafia è un sistema, perchè non può esserlo l’Antimafia?

Io non ho paura, e tu?

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Si svolgerà oggi a Messina la XXI Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ma in contemporanea il filo della memoria unirà anche altre città italiane. Fra queste anche Reggio Emilia, una scelta emblematica che lancia un forte messaggio da parte di tutta la società civile emiliana, impegnata nella lotta contro forme di mafia che, in maniera sempre più pervasiva, intaccano il tessuto sociale ed economico nazionale e internazionale. Proprio a Reggio Emilia, infatti, avrà luogo la fase dibattimentale del processo “Aemilia”, un procedimento di enorme portata che ha visto portare alla luce scenari sommersi, inquietanti e accuratamente “legalizzati”.
Per la complessità dell’evoluzione del fenomeno mafioso e per la necessità di affrontarlo anche in maniera scientifica e, quindi, riconoscerlo, abbiamo intervistato la Prof.ssa Stefania Pellegrini, impegnata in prima fila in questa lotta, nonché docente presso la Scuola di Giurisprudenza di Bologna, dove é titolare del corso “Mafia e Antimafia”, oltre ad essere Direttore del Master di II livello in “Gestione e riutilizzo di beni e aziende confiscati alle mafie. Pio La Torre”. Buona lettura!

Professoressa, quali aspetti delle mafie sono ad oggi maggiormente preoccupanti e come possono essere affrontati a livello legislativo e sociale?
Senza dubbio ciò che maggiormente preoccupa è la stretta connessione e commistione tra illegalità e legalità. Questo è dimostrato da un duplice fattore. Innanzitutto, le mafie investono sempre di più nell’economia legale che rappresenta uno strumento estremamente redditizio e poco pericoloso per riciclare, e quindi far fruttare, gli ingenti capitali che provengono dai mercati illegali e che, senza il riciclo, sarebbero inutilizzabili. Tale immissione di capitali sporchi nel mercato legale avviene con la complicità di professionisti che, pur rimendo estranei alle consorterie criminali, offrono le loro prestazioni mettendo a servizio la propria competenza nel costituire società, acquistare quote societarie, investire nella finanza. Non c’è una categoria di professionisti che si possa escludere da questa «corte». Si tratta di titolari di qualificatissimi studi professionali che trovano la via d’uscita per tutto: riciclare denaro, fare un investimento proficuo, truccare le gare d’appalto. E poi progetti, lottizzazioni, pratiche falsificate. Se la nostra legislazione è assolutamente all’avanguardia nel colpire le attività criminali e i capitali mafiosi provenienti da tale attività, è necessario constatare, nonostante i recenti interventi, una debolezza degli strumenti di aggressione dei reati di corruzione e riciclaggio. Pur riconoscendo l’assoluta utilità dello strumento repressivo giuridico, ritengo sia necessario recuperare e rafforzare l’incisività e l’efficacia di altre modalità sanzionatorie.
Ritengo sia necessario respingere il riconoscimento della «rilevanza penale» e della conseguente «responsabilità penale» come presupposto di una responsabilità che è innanzitutto morale etica e sociale. Nella nostra cultura politica, illegalità e immoralità, reato e peccato, responsabilità penale e responsabilità politica vengono astutamente mescolate per sfuggire ad ogni controllo.
Dovremmo riportare al centro del dibattito il principio in base al quale, come sosteneva Durkheim: «Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale, perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo». È quindi la coscienza collettiva, negli ultimi tempi così sgretolata, che va potenziata mediante la riaffermazione dei valori e dei sentimenti comunitari.

Cosa è cambiato nelle organizzazioni criminali di stampo mafioso e cosa invece è rimasto immutato?
La mafia ha la grande capacità di trasformarsi pur rimanendo se stessa. Le dinamiche relazionali e di potere sono sempre le stesse. Si mostrano come “benefattori” mettendo a disposizione ingenti liquidità di capitale e poi si impossessano delle attività economiche che hanno, seppur parzialmente, finanziato. Concedono apparentemente aiuto, trovano posti lavoro, licenze, ma ciò che richiedono in cambio è la totale disponibilità e l’asservimento ai progetti criminali. Queste dinamiche sono conosciute e note da sempre agli studiosi e agli operatori. Al contempo, la capacità camaleontica della criminalità organizzata è stupefacente. Si insinua nei territori sino a carpirne le risorse e a strumentalizzare relazioni di potere. Prendendo come esempio i settori economici di investimento, recenti ricerche dimostrano come la criminalità organizzata non investa solo nei settori tradizionali, ma sfrutta le risorse e le modalità di investimento tipiche del territorio. Se in Sicilia il settore più esposto è quello legato alle costruzioni, in Emilia Romagna si investe nel settore finanziario e nel servizio alle imprese. Se in Calabria si costituiscono imprese individuali, in Lombardia si investe mediante Srl.

Perché l’aggressione ai patrimoni mafiosi è uno strumento vincente contro forme di criminalità legate sempre di più al controllo di società e capitali?
La consapevolezza che l’inquinamento del mercato causato dall’infiltrazione mafiosa comporti un serio e grave pericolo per la tenuta degli equilibri economici e finanziari è andata sempre più diffondendosi, così come è ormai unanimemente condiviso il convincimento che la privazione del patrimonio mafioso rappresenti uno strumento di contrasto delle organizzazioni mafiose, forse più della stessa detenzione degli affiliati che possono essere facilmente sostituiti da un esercito di accoliti facilmente reclutabili nelle fila dell’organizzazione. Sottrarre alla mafia la sua grande disponibilità finanziaria equivale a disarticolare le organizzazioni criminali più della detenzione degli affiliati, ad evitare il rafforzamento del potere economico dell’organizzazione, a minare la possibilità di mantenere strutture logistiche e di effettuare reclutamenti, a minare la sopravvivenza economica degli affiliati, liberi e detenuti, dei loro familiari e dei loro avvocati, a limitare gli approvvigionamenti di armi, di stupefacenti e di tutto il necessario per svolgere o incrementare i traffici illeciti.

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Il processo “Aemilia” é la punta di un iceberg rimasta sommersa troppo a lungo?
In Emilia Romagna per anni ha regnato un approccio alle mafie, diffuso in tutto il Nord del Paese, caratterizzato da una sostanziale negazione del problema a seguito, innanzitutto, di un rifiuto culturale. Ammettere la presenza delle mafie avrebbe significato ammettere l’inefficacia dei tanto osannati anticorpi che avrebbero reso il tessuto sociale ed economico impermeabile alle dinamiche criminali. Ora che è emerso, non solo che il territorio non era impermeabile, ma che si è mostrato un terreno fertile, è crollato il mito dell’Emilia Romagna come quello di una Regione all’avanguardia nelle politiche di controllo sociale garantiste e tutelanti l’autonomia privata e collettiva. Ma ritengo comunque sia esagerato etichettare questa Regione come “terra di mafia”. L’indagine Aemilia ha fatto emergere un fitto intreccio di interessi economici tra ‘ndrine calabresi e imprenditori locali, ma nelle “terre di mafie” la criminalità organizzata gode di un esteso consenso sociale che qui non c’è.

Cosa rappresenta per Lei la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie” e quale messaggio vuoLe lanciare ai giovani in questa occasione dall’alto del Suo impegno sociale e accademico?
La “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie” rappresenta un’importante occasione per mostrare alla collettività che una società democratica e responsabile ha il dovere di ricordare tutte le vittime delle mafie che, loro malgrado, sono diventate eroi di una guerra che non può essere delegata solo a chi ricopre ruoli istituzionali. Ognuno di noi può, quotidianamente, impegnarsi a far si che le loro morti non siano state vane. Nella lotta alla mafia, la repressione, pur essendo uno strumento imprescindibile, non può da sola vincere un nemico che si nutre di consenso sociale e di indifferenza.
Costruire e partecipare a percorsi di cittadinanza attiva rappresenta un strumento che toglie alle mafie terreno fertile. Non solo denuncia, quindi, ma impegno costante e virale. Dimostriamo che il nostro Paese “bellissimo e disgraziato” è il Paese dell’antimafia e non solo della mafia. Dell’antimafia non urlata e strumentalizzata, ma di quella silenziosa che produce Cultura, Conoscenza e Consapevolezza.

REFERENDUM 17 APRILE 2016: UN VOTO PER LA VITA E PER IL FUTURO

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Ebbene il referendum sul mare si farà! La Corte Costituzionale ha così ammesso il quesito referendario che permetterà ai cittadini italiani il 17 aprile 2016 di poter esprimere il proprio voto in merito alla abrogazione o meno della disciplina, così modificata dalla Legge di Stabilità 2016.
Essa prevede che i titolari di permessi di perforazione, coltivazione e ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia possano proseguire le loro attività senza scadenza sino alla “durata della vita utile del giacimento” – fermo restando il limite delle 12 miglia per la concessione di nuovi permessi. Una vera esenzione privilegiata che permetterà alle società, già operanti nel settore energetico fossile ed in possesso di permessi in Italia, di protrarre senza scadenze le proprie attività nei nostri mari, se non interverrà in sede referendaria una volontà decisa e compatta di tutta la società civile. Ci troviamo dinanzi ad una pluralità di attacchi non solo contro l’ambiente, ma anche contro la salute dei cittadini e l’economia di molte zone: le trivellazioni, infatti, comporterebbero nelle zone interessate una concentrazione di sostanze nocive e cangerogene rinvenibili nell’aria, nella terra e nelle acque come l’idrogeno solforato (H2S), nitrati (NOx), i composti organici volatili (VOC), gli idrocarburi policiclici aromatici (PAH), nanopolveri pericolose, alcune delle quali possono provocare modificazioni genetiche non di poco rilievo. Questo dato, com’è facile intuire, si ripercuoterà negativamente sulla salute dei cittadini, sulla qualità del cibo che mangiamo e dell’aria che respiriamo, senza tener conto della possibilità molto alta che si verifichino incidenti tali da poter compromettere interi ecosistemi.
Uno studio dell’Ispra, inoltre, ha accertato la dannosità della cosiddetta “airgun” una tecnica di ricerca petrolifera particolarmente impattante per il sistema marino in quanto danneggia irrimediabilmente il sistema immunitario di organismi acquatici, impedendone la riproduzione.
E’ pertanto vitale votare per l’abrogazione di questa disciplina sia in negativo, per evitare che il legislatore rimuova il limite delle 12 miglia dinanzi a una volontà popolare contro l’estensione delle esenzioni, sia in positivo, perché il Ministero non prosegua con la concessione di permessi entro i parametri e concentri politiche e risorse verso fonti di energia sostenibili e rinnovabili.

VITE IN VIAGGIO

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Un viaggio lungo tante vite eppure concentrato e comunicato nelle proiezioni che oggi hanno visto protagonisti Giacomo Dondi con “Composto 01 Bunny” per la sezione “Fare cinema a Bologna e in Emilia Romagna“, Christian Cinetto con ” A tempo debito” e Chiara Natalino con “Joie de vivre” per la sezione Visioni DOC.
Visioni Italiane continua a dare emozioni forti in queste giornate, a comunicare realtà differenti e talvolta lontanissime dal nostro immaginario con l’incisività che a volte solo la semplicità riesce a raggiungere. A metà fra animazione e surrealismo si colloca il “Composto 01 Bunny”(2015), un corto molto semplice e breve, ma dietro il quale si cela un grande messaggio: l’uomo può osare e rischiare, ma non potrà mai controllare tutto, e in particolare non potrà mai farlo senza sacrificare e sacrificarsi.
Di tutt’altro respiro e’ l’opera di Cinetto, ” A tempo debito” (2015): un docu-film sulla realizzazione di un corto nella Casa Circondariale di Padova i cui protagonisti sono alcuni detenuti. Un’opera fantastica che attraverso le lezioni di recitazione tenute dall’autore, con l’aiuto di alcuni ospiti molto particolari, apre innumerevoli riflessioni sull’umanità, i sentimenti di coloro che, per i motivi più svariati, vivono la reclusione; alcuni sanno quando usciranno, altri non sono neppure a conoscenza della loro colpevolezza o innocenza: il processo è in corso, e forse solo dopo innumerevoli rinvii sapranno la loro sorte.
E’ un film sull’umanità, ambientato in carcere, ma non parla del carcere” dice l’autore, un viaggio toccante che attraversa quindici vite: molti protagonisti sono giovani, padri e mariti dalle vite difficili, costantemente sotto la spada di Damocle della povertà e della fame; altri sono stati condannati, ammettono le loro colpe e affrontano la pena con il dolore di chi sa di aver sbagliato, senza poter tornare indietro per ricostruire il passato su cui il pregiudizio sociale peserà sempre. Con molta diffidenza iniziale i detenuti si mettono in gioco, iniziano a relazionarsi fra di loro e con l’autore, si abbandonano alle emozioni e raccontano la loro vita.
Lezione dopo lezione l’entusiasmo cresce: superato l’imbarazzo queste persone si ritrovano a meditare come singoli e come gruppo sulla loro vita e su quello che sarà di loro, in maniera intensa e seria. Inoltre, accade che alcuni mutino i propri comportamenti: la vita molto spesso lancia delle sfide cruente.
Come si può cambiare essendo abbandonati a se stessi, nel buio di una cella affollata, ma nella quale si è costantemente soli? La necessità di applicare davvero una concezione rieducativa della pena si fa sempre più pressante, e sono proprio iniziative come questa a fornirne la prova inconfutabile della reale efficacia.
I ragazzi realizzano il corto con un impegno che nessuno si sarebbe mai aspettato: dalla stessa aula del carcere in cui si sono tenute tutte le lezioni guardano ciò che hanno realizzato, commossi e soddisfatti per essere stati almeno questa volta messi alla prova su qualcosa che possono fare grazie alla loro creatività.
Nel frattempo altri sono stati rimessi in libertà, e invece di riprendere a spacciare o a fare rapine per guadagnarsi da vivere sognano di diventare attori.
A conclusione della sessione un corto lineare e semplice che ha come protagonista un’insegnante precaria con la passione per il Burlesque: mettendo in mostra il proprio corpo e il ballo sensuale, Louiza accetta se stessa e il suo corpo, trasmettendo al pubblico un’incredibile “Joie de vivere“.

Donne in lotta

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Due donne, apparentemente diverse, ma più simili di quanto possiamo immaginare: due donne in preda a forti passioni contrastanti, alla continua lotta tra ragione e passione, tra forza e debolezza, tra reazione e sottomissione. Questo è senza dubbio il tema centrale della sezione Visioni Doc, composta da “La mia casa e miei coinquilini” (Italia/2015), dedicato a Joyce Lussu, poetessa, traduttrice, partigiana e “Elisabetta“(Italia-Svizzera/2015), ispirato a Elisabetta Ballarin, all’epoca dei fatti compagna di Andrea Volpe, pluriomicida riconducibile alla setta delle “Bestie di Satana”. Elisabetta, allora diciottenne, vive una vita complicata: é tossicodipendente, è morbosamente legata al suo fidanzato e assiste all’omicidio di Mariangela Pezzotta, ex fidanzata del Volpe, perciò viene accusata di concorso in omicidio e rapina, commessa il giorno prima, ai danni di uno spacciatore di eroina.
Le due opere mettono in risalto due facce della stessa medaglia: la prima di Marcella Piccinini evidenzia la figura di Joyce Lussu, donna colta, attiva e intraprendente, fervente rivoluzionaria antifascista e costantemente in lotta contro una visione della donna subordinata alla figura maschile. Joyce stringe una forte amicizia con Nazim Hikmet, poeta e prigioniero politico, il quale anche dal carcere trova il modo di far trapelare le sue poesie dirette al mondo e ai singoli facendole a volte imparare a memoria a sua madre, durante le visite. Infatti, il carcere può certamente limitare la tua libertà personale, ma non potrà mai imprigionare il pensiero. La seconda opera é di Anna Bernasconi che racconta di Elisabetta Ballarin, giovane donna, vittima di un amore e dei soprusi ad esso connessi si ritrova a soli 15 anni ad affrontare una forte tossicodipendenza condivisa con il Volpe. Poi il buio: l’omicidio di Mariangela, al quale lei assiste e a seguito del quale sta tutt’ora scontando una pena carceraria in regime di semilibertà. Elisabetta è l’emblema del riscatto, non voleva che accadesse tutto questo, non sapeva che il suo fidanzato fosse un pluriomicida e non sapeva dell’esistenza della setta, almeno a suo dire, ma riesce a rendere questa tragedia, di cui è protagonista, una vittoria: laureata e specializzata in carcere con il massimo dei voti, adesso Elisabetta è una ragazza in gamba e di successo, una ragazza che ha voluto dare un senso alla propria vita, impegnandosi per gli altri e ponendosi degli obiettivi, in memoria di chi una vita non ce l’ha più.
Due donne, epoche, vite e obiettivi diversi, ma che hanno in comune la voglia di essere padrone della propria vita, di prodigarsi per gli altri e soprattutto di lottare contro i pregiudizi, i soprusi e le ingiustizie, nonostante tutto.

Il racconto di un cinema breve

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Libertà vuol dire mettersi alla prova” – così Goffredo Fofi inaugura la cerimonia di apertura della 22ª edizione del concorso nazionale per corto e mediometraggi “Visioni Italiane” presso la Cineteca di Bologna. Mettersi alla prova, esattamente come hanno fatto i migliori registi che dal nulla hanno saputo inventare, creare, innovare, come dice Fofi “in una casa con quattro amici e avanzi di pellicola“. Il dialogo fra il Fofi e l’Arecco nella sua spontaneità e informalitá ha saputo cogliere un aspetto interessante del cinema di oggi non più espressione, in alcuni casi, dell’ispirazione geniale, ma prodotto di majors asservite al commercio. Il corto, pertanto, realizzabile con poche risorse economiche, lascia ampio spazio alla follia creativa dell’artista nella sua essenza più pura e libera a differenza di prodotti che, per quanto ben fatti, continuano a rappresentare l’espressione di una realtà commerciale. La presentazione “Il cinema breve. Dizionario storico del cortometraggio 1928-2015” a cura di Sergio Arecco e Paola Cristalli è stata l’occasione per un elogio del corto come forma primaria e pura di rappresentazione cinematografica. A riprova di ciò la proiezione di “Silhouette“, primo episodio di Terra di mezzo di Matteo Garrone vincitore del Premio Sacher nel 1996: é un corto dal crudo realismo che, a tratti ironico, descrive la tipica giornata di alcune prostitute nigeriane, una giornata vista non semplicemente dall’esterno come mera documentazione, ma dall’interno. Silhouette, un corto trasgressivo, così trasgressivo da aderire alla realtà e comunicarla perfettamente al pubblico con un misto di sorriso e amarezza.

La vicenda SNAM e la salvaguardia del territorio

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QUAL E’ L’ECONOMIA CHE VOGLIAMO REALMENTE?
-LA VICENDA SNAM E LA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO-

Se vi dicessi che molte realtà del centro e sud Italia stanno combattendo contro un mostro voi come reagireste? Probabilmente molti di voi, credendomi pazza, chiuderanno il link e torneranno a fare qualcosa di più importante, ma a chi volesse continuare la lettura consiglio di tenersi forte, perchè il mostro di cui stiamo parlando esiste davvero e probabilmente striscerà sotto i piedi di migliaia di cittadini italiani: si chiama “Rete Adriatica”.
E’ la società SNAM RETE GAS promotrice di questo progetto: un metanodotto che si snoderà da Massafra (TA) a Minerbio (BO) con annessa centrale di compressione a Sulmona (AQ), un gasdotto da un’enorme portata attraverserà l’Appennino minacciando costantemente non solo i cittadini residenti nei territori oggetto, ma tutta l’Italia.
Il progetto lanciato nel 2004 ha subito catturato l’attenzione e il dissenso di migliaia di cittadini: il gasdotto, infatti, andrebbe ad attraversare 3 Parchi Naturali nonchè 21 aree protette, rischiando di comprometterne l’ecosistema e la biodiversità. Non dimentichiamo, inoltre, che quest’opera inizialmente collocata lungo la fascia adriatica è stata poi spostata nella zona appenninica, a causa dell’elevato grado di urbanizzazione della zona costiera, andando a coinvolgere anche alcune delle zone più sismiche d’Italia: il tratto Sulmona (AQ) – Foligno (AQ) infatti è ad elevatissimo rischio sismico,di primo grado, come in generale il tratto abruzzese collocato a ridosso della faglia del monte Morrone.
Come avete ben compreso l’impatto ambientale di quest’opera è enorme e pericoloso: collocare un gasdotto al di sotto di una zona sismica di primo grado equivale a dire continuo rischio di esplosioni, possibilità di dissesto idrogeologico, possibilità di perdita di aree naturali, aree protette e luoghi di interesse archoelogico, storico e artistico, per non parlare del livello di salubrità dell’aria che riceverebbe un notevole peggioramento a causa delle emissioni.
A questo punto bisogna chiedersi: qual è l’economia che vogliamo realmente? E’ un’economia basata sulla distruzione o sulla costruzione distruttiva forse? Oppure è un’economia “umana” rispettosa degli esseri umani e del pianeta nel quale viviamo, rispettosa dei diritti delle persone e non asservita solo ed eslcusivamente al “dio denaro”? Io credo in quest’ultima e penso che tutti gli esseri umani dovrebbero farlo, ma non perchè ciò sia soltanto giusto da un punto di vista “naturale” per così dire, ma anche e soprattutto perchè l’economia, come il denaro, sono nostre invenzioni, ed è proprio quando una tua invenzione inizia ad essere indipendente da te che diviene un mostro fuori controllo. Questo progetto è stato, oltretutto, dichiarato di interesse comunitario nel 2013, dichiarazione che mostra chiaramente la posizione europea in merito, una posizione menefreghista a dir poco di un’Europa che ha costruito il suo impero con le speranze di alcuni grandi maestri e l’ha distrutto con il materialismo di alcuni piccoli leaders.
Ovviamente, neanche il nostro caro premier sta affrontando la questione con la dovuta serietà: grazie allo “Sblocca Italia”, infatti, l’opera andrebbe ad essere considerata come rientrante nelle “infrastrutture dedicate al trasporto, rigassificazione e allo stoccaggio sotterraneo del gas in programma in Italia, comprese quelle di servitù per l’Europa che attraverserebbero il nostro Paese”: una dichiarazione di guerra praticamente al suo stesso popolo.
Attualmente il pendolo di fuoco è sospeso tra l’intransigenza della multinazionale non disposta a considerare altri tracciati disponibili e le legittime richieste di tutela da parte di cittadini e Istituzioni locali.
Vi starete, a questo punto, sicuramente chiedendo quali benefici possa apportare un’opera così impattante al nostro Paese, veniamo pertanto, ad affrontare un’analisi sia in termini economici che in termini di rischiosità dell’opera: il metanodotto, innanzitutto, trasporeterebbe il gas proveniente dall’Azerbaigian principalmente, un Paese dalle ripetute violazioni di ogni tipo di diritti umani. Come afferma Gianni Rufini, Presidente di Amnesty International: “Dietro l’immagine ostentata dal governo di una lungimirante, moderna nazione c’è uno stato in cui regolarmente e sempre più le critiche incontrano la repressione governativa. Giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani che osano sfidare il governo vanno infatti incontro ad accuse inventate, processi iniqui e lunghe pene detentive. Almeno 20 tra giornalisti, avvocati, attivisti dei movimenti giovanili e oppositori sono stati arrestati e condannati nei 12 mesi che hanno preceduto l’inizio dei Giochi europei. Alla vigilia della cerimonia inaugurale, ci è stato impedito di entrare nel paese. Lo stesso è accaduto a giornalisti del Guardian, di Radio France International e della tedesca Ard” – dice Rufini. Un Paese, dunque, dalle responsabilità molto gravi, che con quest’opera non faremo altro che arricchire: l’Italia, invece, verrà utilizzata come servitù di passaggio con l’assunzione di tutti i rischi che abbiamo sopra enunciato e, nel frattempo, dovrà sostenere gli irrimediabili danni economici causa espropriazioni e mutamenti delle destinazioni d’uso di molti fondi, alcuni dei quali gravati anche da usi civici. L’Italia, in sintesi, devasterà il proprio territorio compromettendone le peculiarità ambientali, geologiche, storiche, artistiche; metterà in pericolo la salute dei propri cittadini collocando un simile mostro in aree decisamente incompatibili con l’opera; finanzierà Paesi in cui la repressione e le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, nonchè, multinazionali senza scrupoli, e tutto questo, per guadagnarci poco o niente, divenendo un tavolo d’affari per la ricchezza di pochi. IO NON CI STO! E se anche tu, che hai avuto pazienza di leggere questo articolo, la pensi come me per favore condividi, parla di questa vicenda con i tuoi amici e parenti, renditi conto che il Pianeta è la cosa più importante che abbiamo e dobbiamo preservarlo da questi soprusi! #iononcisto #nosnam #notubo

Illustrazione: Davide Mancini aka DARTWORKS-drawstory
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Link di approfondimento:

http://atlanteitaliano.cdca.it/conflitto/gasdotto-rete-adriatica-brindisi-minerbio-e-centrale-di-compressione-di-sulmona

https://sulmonambiente.wordpress.com/

https://www.facebook.com/Studenti-notubo-467154420141659/?ref=ts&fref=ts

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