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Una settimana impegnativa per l’Antimafia bolognese e nazionale, ma non solo: una settimana impegnativa per tutta la società civile. All’indomani della presentazione in prima serata del libro di Salvo Riina sulla vita di suo padre, la Scuola di Giurisprudenza di Bologna inaugura la seconda parte seminariale del corso di Mafie e Antimafia tenuto dalla Prof.ssa Pellegrini , in cui il primo ospite l’illustre è stato Don Luigi Ciotti. Si è parlato e si continua a parlare dell’inopportunità con la quale un servizio pubblico come la RAI abbia permesso di dare spazio a questo imbarazzante tentativo di umanizzare la figura di uno stragista, un criminale, Totò Riina, che, compiaciuto, osservava snodarsi le stragi come da lui pianificate. L’altra sera è stata fatta pubblicità alla sua carriera criminale per lui comoda, per noi indelicata. Compiaciuti però non sono affatto i parenti delle vittime innocenti di mafie, che, anzi, solo grazie all’immenso lavoro di Don Luigi Ciotti e Libera hanno avuto un vero riconoscimento, una vera memoria: i loro nomi ogni anno sono scanditi a gran voce nelle piazze d’Italia, perché possano essere ricordati e perché possano risuonare nelle coscienze malate di chi considera l’intimidazione un’arma di potere e successo. “Etica, primo argine contro l’illegalità e nutrimento per la legalità”- queste le parole di Don Ciotti, agli studenti, a noi studenti, sul significato dei valori profondi che dovrebbero caratterizzare le figure professionali del domani: “non parliamo di etica delle professioni, ma di etica come professione”. Un discorso carico di pathos, carico di voglia di continuare a lottare, nonostante tutto. Una voglia di lotta che Don Ciotti ha trasmesso a tutti noi studenti, una voglia di lavorare affinchè il nostro Paese riconquisti credibilità a partire dalle Istituzioni. “Le mafie non sono un mondo a parte, ma parte del nostro mondo”- prosegue: ritenere i soprusi mafiosi come eventi lontani dalla nostra quotidianità è quanto di più errato si possa pensare, e per quanto possa essere difficile ammettere che anche in determinati contesti sociali del nord Italia la presenza delle mafie sia sempre più preponderante, dobbiamo trovare il coraggio e la forza di denuciarne l’esistenza.
C’è una mafiosità diffusa che è il vero patrimonio delle mafie”- aggiunge Don Ciotti, una mafiosità che consente alla criminalità di fare affari in tutto il nord in un sistema di commistione inquietante tra economie legali e illegali: “non stanno solo cercando di riciclare i soldi al nord, ma stanno cercando di conquistarlo”, questo riporta il Prof. Nando Dalla Chiesa, anche lui ospite nell’ambito dell’attività seminariale.
I luoghi di incontro di questi soggetti non sono lussuose suites di grattacieli milanesi, ma sono bar, ristoranti, al piano terra, perché “la ‘ndrangheta si muove dal basso”, e giova di quella mafiosità diffusa, terreno fertile per affari e relazioni. Nel milanese, uno studio condotto sulle uscite dei Vigili del Fuoco per incendi dolosi ha portato alla quantificazione di un incendio ogni due giorni: l’incendio, simbolo del linguaggio mafioso intimidatorio per eccellenza, affermazione di potere e controllo del territorio: “l’incendio è la falange con cui l’impresa mafiosa avanza” sostiene Dalla Chiesa, ma chi ne parla? Perché non riusciamo a collegare gli eventi di cronaca? O perché non ce lo consentono?
Di qui la grande responsabilità della stampa per riaffermare quel tipo di informazione che Enzo Biagi sognava così: “Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un ‘vendicatore‘ capace di riparare torti e ingiustizie, ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo.
Il nostro mondo ha bisogno di vendicatori, ha bisogno di persone che non si spaventano e non si lasciano intimidire, perché la paura è l’arma di manipolazione più efficace e ci rende piccoli, deboli. Non possiamo più permettere che la nostra economia sia erosa dall’interno, affetta da parassitismo criminale: urge la concreta necessità di rinvigorire il concetto di bene comune, di solidarietà e di legalità. Ci fanno credere che il problema siamo noi, che siamo troppi per avere diritto a un lavoro giusto per noi e per la società, che non abbiamo possibilità di ospitare quei rifugiati che facciamo morire fuori le frontiere per il nostro egoismo, ci fanno credere che la mafia sia in qualche stanza nascosta, ci fanno credere che tutto sia sotto controllo, mentre l’ombra delle “terre dei fuochi” si abbatte prepotente e mentre gli affari delle mafie su cemento, lavori pubblici, ristoranti, pizzerie, alberghi, turismo proseguono a gonfie vele; ci fanno credere che i problemi siano altrove, al di fuori della nostra coscienza, ma è proprio lì che sono, all’interno di noi stessi.
Bisogna prendere posizioni nette, se vogliamo un mondo migliore, non perfetto, ma migliore: non possiamo demandare continuamente responsabilità ad altri, partiamo da noi stessi, miglioriamo noi, sdegniamo piccoli favoritismi, non sottomettiamoci al crimine organizzato, parliamo a gran voce di ciò che non ci va bene: “la democrazia si fonda su due doni: giustizia e dignità, ma ha bisogno di stare in piedi con l’impegno”.

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Grazia Di Cesare

Grazia Di Cesare

Mi chiamo Grazia Di Cesare sono abruzzese, ho 23 anni e frequento il quinto anno della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. Scrivere è una delle mie passioni più grandi sin da piccola, amo il giornalismo d'inchiesta e d'attualità. Mi piace leggere, viaggiare sono una curiosa per natura, amo la natura e mi piace l'avventura e scoprire sempre posti, cose e persone nuove.

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