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Nell’odierno mondo occidentale l’essere femminista è visto da molti come una sorta di vizio, quasi un capriccio. Secondo l’opinione media, le femministe hanno vinto le loro battaglie negli anni ’70, ora c’è parità e quindi bisognerebbe placare gli animi rivoluzionari dato che non c’è più niente di concreto per cui valga la pena combattere. Sarebbe bello se questo “niente” fosse realtà ma, purtroppo o per fortuna, appartengo a quella categoria di persone che non si ritiene completamente libera pensando che in altre parti del mondo una sua coetanea non ha libero accesso all’istruzione solo perché nata con i cromosomi XX. Purtroppo o per fortuna mi arrabbio se, leggendo un giornale, scorgo tra i titoli che nella nostra Italia così all’avanguardia sette medici su dieci sono obiettori di coscienza. Mi sono chiesta allora se davvero il femminismo è al momento appannaggio di persone visionarie che combattono contro i mulini a vento come Don Chisciotte o se c’è chi, come me, non dimentica il femminismo di piazza degli anni ’70 ma ritiene ancora indispensabile parlarne oggi.
La risposta, che in cuor mio già sentivo, l’ho trovata grazie ad un interessante dibattito tenutosi nella Libreria delle Donne di Bologna con Marina Santini e Luciana Tavernini, curatrici del libro “Mia madre femminista. – Voci da una rivoluzione che continua”.
Essenziale per loro sottolineare il ruolo di curatrici e non autrici di quest’opera scritta a quattro mani proprio perché l’obiettivo primario è avere cura di far emergere le varie storie raccontate come un intreccio naturale di vite e non come sterile trasposizione di eventi altrui.
Altri elementi portanti che le due scrittrici hanno voluto mettere in evidenza sono il titolo e la fotografia in copertina. Il titolo “Mia madre è femminista” lascia il presagio di quello che è il tema cardine del libro, raccontare il femminismo alle più giovani (ed ai più giovani) attraverso una comunicazione epistolare madre-figlia dove entrano in simbiosi le diverse esperienze di entrambe; il sottotitolo “Voci da una rivoluzione che continua” è un monito al non voler creare un monumento del femminismo del secolo scorso, che si crea per qualcosa che non esiste più; al contrario la volontà é quella di redigere una ricerca corale che fa chiarezza sull’evoluzione del movimento e si muove nella necessità storica di far conoscere il femminismo che era e che è alla nuova generazione.
La foto in copertina, rigorosamente in bianco e nero, è quella scattata da Luisa di Gaetano in Piazzale Clodio a Roma nel 1977 e raffigura una madre che insegna a sua figlia il gesto femminista per eccellenza. Esso all’epoca creò scandalo perché nasceva in contrapposizione al pugno chiuso degli uomini e rappresentava la donna come proprietaria dei diritti sul suo stesso corpo; la prima a mostrare tale gesto in pubblico fu l’italiana Giovanna Paola durante il convegno della Mutualité a Parigi nel maggio del 1972.
Non solo la copertina del libro è in bianco e nero, ma anche le pagine stesse si alternano tra i colori bianco e grigio. Sfogliandolo si ha di conseguenza l’impressione di scivolare tra i tasti di un pianoforte immaginario che crea la sua armonia tra le vicende e le fotografie delle tante persone protagoniste di questo romanzo corale.
Interessante anche la scelta dei titoli per i capitoli che rimanda a testi classici del femminismo, ad esempio uno di questi si chiama “Le tre ghinee” come l’opera di Virginia Woolf e tratta del femminismo cinematograficamente, artisticamente e musicalmente. Preziose le cento fotografie quasi tutte inedite che vanno ben oltre il tipico femminismo di piazza: ci sono scatti rubati di vacanze, feste tra ragazze ma anche il particolare giorno del digiuno delle donne a Palermo in seguito alla strage di Capaci. Ricca di spunti interessanti la bibliografia proprio per stimolare una ricerca personale di approfondimento alla fine della lettura in modo da trasformare l’io iniziale della narrazione in un noi, soggetto collettivo cooperante.
È proprio la cooperazione, la condivisione di idee ed esperienze passate e presenti che deve far capire quanto sia quindi necessario continuare a confrontarsi con le battaglie del ’70, non dimenticando però quanto sia fondamentale essere attivi anche nel presente.
Questa epoca è senza dubbio diversa, capace di fornire più opportunità alle donne, tuttavia i diritti acquisiti non sono mai da dare per scontati, sia da esempio la questione polacca sull’eventuale divieto totale all’aborto.
È d’obbligo cercare di evitare gli stereotipi sulla figura della donna nei quali inevitabilmente si cade ogni giorno, è d’obbligo conoscere il sentiero già percorso senza mai perdere di vista il sentiero che da percorrere.

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Mariangela Partipilo

Mariangela Partipilo

Questa ragazza terribilmente lunatica viene da un paesino in provincia di Bari e studia Giurisprudenza a Bologna, città che adora alla follia dal primo giorno in cui ha messo piede in Piazza Maggiore. Ama le lingue e le letterature straniere, proprio per questo ha l'anima sparsa tra Inghilterra, Francia e Spagna e nel tempo libero le piace guardare le stelle, ascoltare musica classica o semplicemente passeggiare tra gli scaffali delle librerie. La vita da studentessa fuorisede, salvo numerosi incidenti culinari, la incuriosisce ogni giorno di più, ma ammette di sentire la mancanza di casa di tanto in tanto. È un'inguaribile femminista con una passione per il colore rosso, sia politicamente che artisticamente.

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