L'UNIversiTÀ

Bologna

Lavediamocosì: CHIAMATA ALLE ARt

Che tu sia uno studente di sociologia, giurisprudenza, economia, lettere o quant’altro: usa la tua arte, usa la tua scienza, dai la tua opinione. #Lavediamocosì vuole essere un laboratorio di partecipazione attiva e alternativa.

piazzaverdi04Storicamente Piazza Verdi è la Piazza degli Studenti. Nei secoli ne abbiamo plasmato forma e funzioni. Storicamente Piazza Verdi è un luogo di conflitto: politico, ideologico, tra Comune e collettivi, tra cittadini e movida, tra chi richiama la sicurezza e chi urla contro la militarizzazione della zona. Storicamente, perchè dal 1560, Bologna vive la contradditoria tensione tra studenti e residenti: scoppiano i primi contrasti con la cittadinanza. Muore uno studente. Negli ultimi mesi, lo scontro sembra esacerbato. Così lo dipingono i giornali locali, così lo vivono i residenti, tale lo percepiscono gli studenti. Quale scontro?


Mi ci è voluto del tempo per approcciarmi al tema: tempo per informarmi, per leggere e per ascoltare. Non potevo infatti arrendermi alle opinioni unilaterali, asciutte e sterili che leggo sui social network o ascolto tra amici. La mia era una di queste opinioni sterili.

Con gli amici di Sinistra Universitaria, da studenti e da attivisti, ci siamo quindi posti una semplice domanda: cosa possiamo fare? La risposta tuttavia, come spesso accade, doveva essere preceduta da un’altra domanda: quale è il problema? (altro…)

This must be the place. O forse no.

IMG_6933Le mie nuove vecchie abitudini.

Quando sono in procinto di rientrare per le vacanze gli ultimi giorni li vivo in maniera molto distesa. Tanto manca solo 1 giorno 23 ore, 56 minuti e 11 secondi. Ma chi li conta?
Non appena arriva il giorno, nonostante abbia ricontrollato mille volte, esco di casa convinto di aver dimenticato qualcosa e sicuramente qualcosa l’ho dimenticata. Ma tranquilli, lo scoprirò quando sarà ormai troppo tardi.
Poco importa però, sto tornando a casa, sto tornando nella mia Sardegna.
Metto le cuffie, afferro la valigia e prendo l’aereo. Poi, una volta atterrato, vado incontro ad una delle parti più belle del rientro, l’area degli arrivi.
Quel posto è come avvolto da un’atmosfera magica, esco dalla porta e vedo i volti sorridenti delle persone che attendono qualcuno. Che tu sia via da molto tempo o da poco tempo non importa, arrivi e ad attenderti c’è un sorriso. Forse è questo che mi piace tanto.
Il primo giorno a casa è sempre meraviglioso. I miei genitori non mi vedono da mesi quindi tendono un po’ a viziarmi, sembra quasi che sia tornato da una missione in Afghanistan. Certo, devo ammettere che i buffet dell’aperitivo a Bologna sono un territorio di guerra abbastanza aspro, ma non credo che si possano paragonare.
Io comunque ci marcio un po’ sopra, allora in maniera molto vaga esprimo i miei desideri con frasi tipo: “ci vorrebbe proprio una cena di pesce, a Bologna non lo mangio mai” o cose simili. Lo so, starete pensando che sono una brutta persona, ma non mi vedono da tanto, viziarmi fa piacere anche a loro. O almeno credo.
Quando vedo mia nonna avviene il più classico dei clichet, mi chiede se ho mangiato.
Per non so quale motivo vive con la strana convinzione che nella città in cui abito non mangio a sufficienza, così prova a integrare in qualche giorno quello che, secondo lei, non ho mangiato per mesi. Con il risultato che il bagno al mare lo potrò fare direttamente l’estate prossima.
Come ogni volta che rientro mi fa sempre un effetto strano tornare a dormire nella mia camera. Per molti studenti fuori sede questa è una situazione particolare perchè quella che è sempre stata la tua camera può aver subito delle trasformazioni da quando non ci sei.
Nella migliore delle ipotesi è rimasta uguale a come l’hai lasciata con la sola differenza che adesso è ordinata e non ci sono più i vestiti sulla sedia. So che è dura vivere con tutto questo ordine ma tranquilli, in appena un paio di giorni sono sicuro che sarete riusciti a far tornare tutto come prima.
Nella peggiore delle ipotesi, invece, tuo fratello/sorella sta cercando di usucapirla per farla diventare la sua. Ciò vuol dire che ti tocca essere ospite in quella che un tempo era la tua camera e, come se non bastasse, devi anche stare attento a non fare casino perchè sennò ti prendi pure i rimproveri.
In mezzo a queste due possibilità c’è comunque una via di mezzo, che è anche quella in cui mi trovo io.
La tua stanza all’apparenza è rimasta uguale. Stesse foto sui muri, stessi biglietti di concerti appiccicati alle pareti, stessi fumetti sugli scaffali, ma in realtà è tutto un bluff.
Vai ad aprire gli armadi e dentro ci trovi solo ed esclusivamente vestiti di tua madre e tua sorella. Nella scarpiera la stessa cosa. Cassetti, idem.
Complimenti, la tua stanza è appena diventata una fantastica cabina armadio!
Mi sembra di essere in una puntata di Sex and the city ma con molto meno sex.
Comunque cerco di farmene una ragione e vado a letto, alla fine i primi giorni sono già un po’ traumatici di loro, cerco sempre di andare al mare la mattina ma ho sempre delle ore di sonno da recuperare o mille commissioni da sbrigare quindi finisco per andarci solo nel tardo pomeriggio.
Con un sole che ormai non abbronza più mi appresto a sfoggiare la mia fantastica abbronzatura da biblioteca. 50 sfumature di bianco.
Prima di tornare per le vacanze il mio professore mi ha detto: “vai ad abbronzarti che ti vedo un po’ bianchiccio”. Lì ho capito che la situazione era alquanto grave.
La sera, dopo il mare, scatta l’aperitivo e con un po’ di amici ci troviamo sul lungomare per una birretta.
Tutti insieme cerchiamo di metterci d’accordo per decidere in qual spiaggia andare il giorno successivo. Soprattutto ci concentriamo molto sulla puntualità e sul fatto che partiremo al massimo alle 11. Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è.
Ecco, non ci sarà nessuno.
La sera è diventata notte e “una birretta” sono diventate dieci o dodici. L’abbiamo chiusa alle 5 di mattina tutti sbronzi. Se tutto va bene il primo che si sveglia lo fa all’una. Mi sa che anche oggi ci abbronziamo domani.

Quello che non ho è quel che non mi manca.

Passano i giorni ed inizio a prendere un colorito umano, intanto cerco di mettere in pratica tutte le idee di viaggio che ho avuto nei mesi in cui ero a Bologna. Escursioni, gite in canoa, trekking; nella lista mi manca solo uno degli 8000, ma ci stiamo lavorando.
Da 5 anni con alcuni amici abbiamo una tradizione; fare un’escursione di un giorno nella zona del golfo di Orosei. Siamo partiti il primo anno con Cala Goloritzè in cui il percorso è molto semplice, quest’anno però abbiamo voluto alzare il tiro, Cala Mariolu.
Il percorso è di circa 12km andata e ritorno con punta di altezza massima di 588 metri sul livello del mare, i sentieri sono poco segnalati ed è etichettato come un tracciato per escursionisti esperti. Ci tengo a dire che il più atletico del nostro gruppo si era appena laureato e stava svolgendo una severa preparazione atletica a base di birra e vino.
Non vi racconterò il percorso perchè va vissuto sulla pelle, vi dirò solamente che ci siamo persi ma che ci siamo anche ritrovati, che abbiamo gioito come bambini quando abbiamo visto il mare dopo 4 ore di cammino, ma soprattutto che abbiamo visto un posto così:

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Le mie vacanze dopo questa avventura fanno il giro di boa perchè stiamo entrando nella settimana di ferragosto.
Questa data è come le due facce di una medaglia, da un lato il periodo più bello dell’anno, dall’altro, invece, ti fa capire che le tue vacanze stanno per finire.
Ormai sono a casa da un paio di settimane e ho ripreso le vecchie abitudini, quindi giustamente arrivano le cazziate da parte di mia madre per cose tipo il disordine, le ore piccole e tanto altro.
Purtroppo è svanita la magia del “sono appena tornato”. Prima o poi doveva succedere.
La settimana di Ferragosto la facciamo tutta d’un fiato con il mio coinquilino di Modena arrivato a trovarmi in Sardegna. L’ultimo giorno azzardiamo con un altro clichet: “Beh da oggi basta bere per un bel po’”. Tutte balle.
Chiudo l’estate con una settimana di relax in cui cerco di fare tutte quelle cose che, causa vari impegni, non sono riuscito a fare fino a quel momento. Ovviamente non ci riuscirò e non appena tornato a Bologna inizierò subito a viaggiare con la mente e a pianificarle per il prossimo ritorno.
Saluto tutti gli amici sapendo che è come se stessi premendo il tasto pausa di un registratore, consapevole che non appena tornerò andrò a schiacciare il tasto play e tutto ripartirà da dove l’abbiamo lasciato, stessi rapporti, stessa amicizia. Perchè con gli amici veri funziona così.
Vivo gli ultimi giorni di vacanza con un misto tra nostalgia e voglia di voler rimanere, anche solo un giorno in più. Ma non si può.
Penso sempre più spesso a dove sarà la mia vita quando avrò un lavoro. L’ho sempre immaginata nella mia città, non lontano da lì. Eppure da un po’ di tempo le cose sono cambiate, la vedo più distante, come se il mio futuro lavorativo fosse lontano da casa.
Vorrei dire “This Must Be The Place” come cantavano i Talking Heads. Vorrei dire “Feet in the ground, Head in the sky”, piedi nella mia terra e testa sotto il mio cielo. Ma la realtà è che non so quale sarà il mio posto. So quale dovrebbe essere ma non quale sarà.
Allora rimetto le cuffie, afferro nuovamente la valigia e riprendo l’aereo sapendo che stavolta non ci sarà nessun sorriso ad attendermi all’aeroporto, ma va bene cosi.
Va bene perchè sono stato con la famiglia, ho visto le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo, ho girato dei posti meravigliosi che ho cucito nel cuore, ho visto molte albe e tantissimi tramonti, ho fatto le cazzate con gli amici e ho fatto le 9 di mattina insieme a loro per poi scoprire che è semplicemente “Late to bed and early to rise”, troppo tardi per andare a dormire e troppo presto per essere svegli. Ma che bello.

Uno sguardo nel mondo di Escher

Si dice che in anni di crisi, la cultura si stia avvicinando sempre più a ciò che era nel momento d’oro della borghesia: una grande risorsa cui solo pochi potevano accedere. Questo non è però il caso della mostra di Escher che rimarrà a Bologna presso il Palazzo Albergati ancora sino al mese di luglio. Qui si incentiva lo studente universitario alla visita, non solo con una riduzione studiata ad hoc, ma anche con il cosiddetto “lunedì universitario” che offre ulteriori sconti. Ed è così che mentre passeggiavamo come tante altre sere sotto i portici di Bologna io e la mia collega di corso abbiamo deciso di dedicare il primo lunedì di questa primavera al grande artista. Ed eccomi qui ora a raccontarvi le sensazioni e riflessioni che ha suscitato in noi l’illusionismo di Escher.

Escher

Il primo ingresso in un palazzo che porta il nome di un’antica e prestigiosa famiglia di senatori bolognesi non può di certo lasciare indifferenti: la storicità del luogo è evidente e non si può resistere al piacere di regalarsi un ricordo con il primo selfie di fronte alla sfera riflettente affianco all’ingresso. Dopo di ché l’attenzione è tutta verso il Palazzo Albergati che, ristrutturato solo recentemente dopo che l’incendio del 2008 lo aveva reso inagibile, ha aperto a marzo una delle mostre più intriganti, quella del matematico e fisico Escher.

Sin dalla prima sala, è impossibile smentire quello che si dice di lui: fu infatti davvero uno dei pochi a costruire con delle leggi matematiche non semplici strutture geometriche, ma vere e proprie opere d’arte, arrivando così a dare un equilibrio al continuo dissidio tra scienza e creatività.

Questo è il primo elemento di straordinarietà in Escher: riuscire a guardare e rappresentare il mondo da un’altra prospettiva, il che oggi potrebbe apparire semplice e quasi scontato, mentre allora non lo era affatto.

La sua lotta maggiore, però, era lontana dalle pagine delle riviste che lo avevano calpestato per poi rieleggerlo come artista, così come racconta l’audio guida che, se avrete la possibilità di visitare questa mostra, non potete assolutamente mancare di prendere con voi. Sarà infatti la voce di un critico d’arte a raccontarvi che, come tanti ragazzi nel periodo dell’adolescenza, Escher aveva attraversato un momento conflittuale col mondo accademico il quale, per sbaglio e per fortuna, lo aveva portato in Italia. I genitori, infatti, avevano pensato allo stivale come meta di un viaggio a breve termine che aiutasse il proprio figlio a superare una lunga depressione, e così fu.
I paesaggi del sud Italia avevano stupefatto e ispirato Escher a tal punto da realizzare diverse xilografie: Escher ha dunque riprodotto la bellezza del sud della nostra Penisola, dandole un senso profondo del magico e dell’illusione che vi lascerà probabilmente così colpiti da infondervi la curiosità di esplorare quei posti che noi stessi spesso snobbiamo alla ricerca di qualcosa di più in terre lontane. Chissà che cosa.

Quello che però rimane impresso, al di là della complessità delle forme geometriche utilizzate o una rappresentazione interiore, di cui lui stesso nega l’esistenza, è la minuzia dei particolari: Escher aveva la capacità di inserire figure piccolissime all’interno delle sue rappresentazioni con una perfezione nel disegno che fa pensare quasi ai dipinti e mosaici dell’arte bizantina.

La mostra però non è stata solo un susseguirsi di opere: all’interno di questa si nascondono diversi enigmi, che aggiungono al carattere suggestivo della visita nelle varie sale, anche un senso di suspense. Prendete per esempio i profili di due visi omologhi e metteteli vicini, se li avrete sistemati nel verso giusto vi apparirà un vaso. Oppure, osservate i vasa physyognomica di Luca e Rosa: vi anticipiamo solo che vi riveleranno qualcosa di nuovo.

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Ma questo è solo l’inizio del tour: sentirsi parte di un’opera d’arte e scattare una foto con uno sfondo di geometrie in bianco e nero rende l’esperienza culturale un momento divertente quasi come una breve gita scolastica, ma con meno affollamento e più consapevolezza per il valore e l’impegno speso dall’artista e dai curatori.

Dopo mezz’ora nelle sale perse tra enigmi e teorie aberranti, ci siamo rese che occorre più di un’ora di fine serata per godersi i suoi libris e la creazione di finti piani tridimensionali. Mancando solo 30 muniti alla chiusura è stato quindi necessario affrettarsi per vedere tutto, mentre il servizio di sicurezza ricordava ogni 10 minuti a noi e ai pochi altri visitatori che la mostra stava per chiudere. Questo non ha quindi permesso di incantarsi su ogni opera con la stessa intensità, ma sicuramente lo specchio magico, le due mani che disegnano e il cubo di Necker rimarranno impressi nei cassetti della memoria per tanto tempo ancora, così come l’idea che un ragazzo giovane con impegno e creatività possa riuscire a creare cose straordinarie.

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Era stato proprio lui a dirlo: “solo coloro che tentano l’assurdo, raggiungeranno l’impossibile”. Non se n’era ancora reso conto, ma stava parlando di se stesso.

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