Foto di Greenpeace
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La democrazia non fa per tutti, ma vi dirò di più: la democrazia non fa proprio per chi il 17 aprile si asterrà dal partecipare alla consultazione referendaria in materia di trivellazioni in mare; semplicemente, non si può addurre a banali scuse e giustificazioni per poter legittimare la propria posizione di inerzia politica, sociale, mentale.
Il quesito “superstite”, unico sopravvissuto alla scure della Corte Costituzionale, ha ad oggetto l’abrogazione o meno della disciplina legislativa in materia di concessioni per la trivellazione in mare entro le 12 miglia, nella parte in cui prevede che la durata delle concessioni possa protrarsi sino alla “vita utile del giacimento”: l’eventuale vittoria del “SI”, previo raggiungimento del quorum (circa 26 milioni di italiani), comporterà semplicemente la costituzione di un termine legale di durata della concessione. Sminuire l’entità di questa consultazione e ostacolarla direttamente e indirettamente, è una strategia emblematica dal punto di vista tattico, una strategia che dimostra ancora di più quanto sia importante esprimere il nostro voto, che va al di là del semplice quesito: é un voto che potrebbe davvero lanciare un segnale forte in tema di riduzione dell’utilizzo di fonti energetiche combustibili fossili, causa principale di emissioni di CO2 e del conseguente fenomeno del “cambiamento climatico”. Le prospettive di un voto compatto a favore del “SI” sono molto lungimiranti: per la prima volta possiamo essere chiamati ad esprimere la nostra idea su come impostare la politica energetica dei prossimi anni e non possiamo più prescindere dal considerare la lotta al cambiamento climatico come prioritaria in assoluto. L’IPCC (International Panel on Climate Change) avverte sulla necessità, ormai improrogabile, di ridurre del 95% le emissioni di CO2 entro il 2050 solo per poter contenere il surriscaldamento globale entro i 2°C. Attualmente le emissioni dei cosiddetti “gas a effetto serra”, come riporta l’Agenzia Europea per l’Ambiente, sono provocate essenzialmente da “combustione di carburanti fossili (carbone, petrolio e gas) nella produzione di energia, nel trasporto, nell’industria e nell’uso domestico (CO2), nell’agricoltura (CH4) e le modifiche della destinazione dei suoli come la deforestazione (CO2), la messa a discarica dei rifiuti (CH4), l’utilizzo dei gas fluorurati di origine industriale”.
I rischi connessi a una costante sottovalutazione del cambiamento climatico da parte di Governi e Imprese impegnate nel settore energetico potrebbero rivelarsi fatali nell’immediato futuro, come riporta uno studio condotto da Legambiente.
Le possibili conseguenze di un inefficiente apporto normativo ed economico sul tema comporterebbero irreversibili desertificazioni delle zone più calde del Pianeta, un assoluto aumento di fenomeni disastrosi quali inondazioni e alluvioni, una disastrosa compromissione degli ecosistemi naturali, un innalzamento del livello dei mari tale da mettere in pericolo le popolazioni delle zone costiere e tale da intaccare, attraverso le infiltrazioni di acqua salata, la disponibilità di acqua dolce, una proliferazione di forme patologiche, nonché, come conseguenza di queste radicali modificazioni, un ingente fenomeno migratorio dovuto all’invivibilità assoluta con la quale determinate zone dovranno fare i conti.
La fine non è vicina, tuttavia, abbiamo ancora la possibilità di ridurre i rischi connessi al climate change: proprio oggi la Costa Rica, come riporta l’Independent, celebra i suoi 75 giorni di fornitura energetica green ai suoi abitanti, un risultato esemplare che già da subito ha mostrato i suoi effetti positivi con un aumento consistente delle piogge. Essere consapevoli della situazione reale è il primo e fondamentale passo per modificarla; tutti i settori scientifici devono in via prioritaria occuparsi del contrasto al cambiamento climatico, come forma principale di tutela ambientale, e noi stiamo ancora parlando di trivellazioni? Questo referendum si mostra funzionale alla manifestazione di una volontà coesa verso l’utilizzo di rinnovabili come fonte prioritaria di approvigionamento energetico, e questo è possibile nell’immediato. La politica di contrasto all’effettiva utilità di questo referendum dimostra esclusivamente la volontà di mantenere uno status quo non più sostenibile: gli ostacoli conseguenti al mancato accorpamento del referendum alle elezioni amministrative o alla difficoltosa possibilità di votare “fuori-sede” per studenti e lavoratori sono lo specchio di una preoccupante opera di minimizzazione della partecipazione sociale alla politica attiva.
Vorrei proporvi, in coclusione, oltre a quanto detto sino ad ora, poche ragioni per le quali è necessario votare, in primis, ma soprattutto votare “SI”:
– rendiamo effettivo il nostro diritto alla cd “democrazia diretta”, dimostriamo che le risorse investite per i referendum non sono sprecate, dimostriamo di essere consapevoli e non passivi ricettori nella società moderna;
– chiediamoci quali sono le potenzialità economiche del nostro Stato e cerchiamo di darci una risposta, davvero l’approvigionamento di combustibili fossili è la nostra potenzialità? Davvero preferiamo mettere da parte la nostra ricchezza ambientale per un “pugno di barili”? La green economy è l’obiettivo principale e per raggiungerlo non possiamo più permetterci di prendere le parti di poche lobby del petrolio svendendo il nostro mare in cambio del 7% delle estrazioni (fra le royalties più basse al mondo);
-c’è una falsa convizione che attraverso le trivellazioni l’Italia riuscirà a recedere la dipendenza energetica dall’estero, quanto di più falso;
-un voto sociale e la costituzione di una grande coalizione per la transizione energetica impegnata anche sul fronte del climate change possono rappresentare i primi benefici “oltre quesito” di una vittoria dei “SI”.
Il 17 aprile va’ a votare “SI”, perché qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare è possibile finché la Terrra sarà in grado di accoglierti: “L’uomo appartiene alla Terra. La Terra non appartiene all’uomo”(Toro Seduto). Buon voto!

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Grazia Di Cesare

Grazia Di Cesare

Mi chiamo Grazia Di Cesare sono abruzzese, ho 23 anni e frequento il quinto anno della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. Scrivere è una delle mie passioni più grandi sin da piccola, amo il giornalismo d'inchiesta e d'attualità. Mi piace leggere, viaggiare sono una curiosa per natura, amo la natura e mi piace l'avventura e scoprire sempre posti, cose e persone nuove.

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