Cronache di una domenica insolita per Bologna, una città libera, aperta, ma fedele a se stessa. Con non poco disagio, stamattina mi sono intrufolata fra bandiere dai colori che non sono i miei per la pura curiosità di capire gli animi di quella gente in Piazza Maggiore, lì per manifestare un pensiero politico. Temevo di destare sospetto, perché non applaudivo, non annuivo, ma, al contrario, mi irrigidivo, tamburellavo freneticamente le dita su ogni superficie. In effetti cercavo di resistere al nervosismo che genera un ambiente diverso, eppure mi ero recata lì intenzionalmente e per un fine. Volevo sentire e osservare le persone che erano attorno a me, cercare di comprendere cosa pensassero e quanto fosse profondo il solco della nostra diversità ideologica. Infatti, mentre le chiacchiere di Meloni, Salvini e Berlusconi le avrei potute recuperare dai giornali e dalla televisione, quest’indagine socio-culturale era questione di empatia. E’ stato aperto anche il baule della storia, considerati i troppi riferimenti al passato, a quel 1994 di 3597229-006-kY6E-U43130331377573F2G-593x443@Corriere-Web-Sezionicui resta una sola figura centrale, allora protagonista, mentre oggi timida comparsa che tenacemente non si rassegna allo scorrere del tempo. Tuttavia questa realtà emergeva dallo spirito della gente: con la velata riconoscenza rivolta ai vincitori che furono o con il generale rispetto che si nutre verso gli anziani, la folla borbottava paziente in attesa di Salvini, accolto come una fresca boccata d’ossigeno, dopo che si apre una finestra. Ponendo in secondo piano i contenuti degli interventi sul palco che non hanno aggiunto nulla di nuovo ai rispettivi indirizzi politici, ho trovato una moltitudine di persone piuttosto composta, ma dall’accento prevalentemente padano. Nessuna meraviglia nell’udire veneti e lombardi dalle verdi tinte nel cuore della rossa Bologna: mi è sembrato come di essere ad una partita di calcio in cui tifosi in trasferta siedono da ospiti. Mi è parso che, con il beneficio dell’udito raffinato e dello sguardo vispo nonostante la piccola statura, stessi assistendo ad un raduno di fedelissimi fuori dal soliti confini. E poiché la libertà di manifestare pacificamente il proprio pensiero è un diritto costituzionalmente garantito, non mi scandalizza l’evento odierno, credendo che a partecipare a questa festa siano stati i soliti invitati. Certamente mi indigna sentire che c’è chi ha come “unico sogno nel cuore” quello di “bruciare il tricolore”, così come non tollero le bombe carta lanciate in forma di protesta. Ma non reputo così raffinato protestare per un’invasione di campo, al massimo di tradizione, perché non siamo in guerra, a dispetto di ciò che si potrebbe supporre a causa del continuo ronzare degli elicotteri della Polizia sul cielo di questa magnifica città, che consente lo scambio di opinioni. Senza scomodare il triste ricordo di un sofferente Berlinguer fischiato a Padova dalle opposizioni durante il suo ultimo intervento pubblico, ipotizzo che in una roccaforte leghista non sarebbe mai stata ammessa un’analoga manifestazione di sinistra senza contestazioni limitative di ogni natura. E’ vero, alcuni nella notte hanno danneggiato le linee dell’alta velocità per “sabotare un mondo di razzisti e di frontiere”, così come si sono registrati attimi di tensione sul ponte Stalingrado fra i cosiddetti antagonisti e la Polizia, ma è un effetto assai residuale rispetto a ciò che sarebbe potuto succedere e che puntualmente accade in altri contesti. Questa non è una giustificazione ovviamente, ma solo una considerazione a posteriori. La violenza è sempre deprecabile e qualora un evento come quello odierno leda il nostro credo politico, che la difesa sia proporzionata all’offesa: oggi su quel palco è stato espresso un pensiero politico, discutibilissimo, ma che è rimasto sul piano della dialettica. Pertanto è efficace ricordare a Salvini di “stare attento, perché a Bologna ancora fischia il vento”, così come è necessario che a questo disconoscimento di un’identità politica e culturale che non ci appartiene consegua l’affannata ricerca della nostra. Ciò che conta è non essere rimasti indifferenti agli avvenimenti e aver preso coscienza di un evento insolito, ma non invalidante. Tornando a casa per via Santo Stefano mi sono sentita serena per non aver visto attorno a me troppi insospettabili (i bolognesi, appunto!), certa che non fossimo 100.000, ma dubbiosa circa le conseguenze di queste ore. I fatti si possono interpretare malamente e spetta alla nostra intelligenza saper discernere la grandiosità mediatica di un fenomeno dal suo effettivo contenuto concreto. Di sicuro gli estremismi di ogni genere fanno male  alla democrazia e ho riflettuto sull’importanza del pensiero e dell’azione per un uomo libero. Oggi, pur nel dissenso prevalente rispetto alla situazione, sentivo di dover partecipare per essere consapevole di quella realtà, per essere vigile e ancor più convintamente distante dal populismo, per essere sentinella di me stessa. In tal modo credo si possa scegliere una corrente da seguire, che non sia un’opzione dedotta per esclusione fra alternative anonime e confuse, ma sia la nostra proiezione, la rappresentazione più autentica possibile del nostro libero essere e volere.

Anna Rita Francesca Maìno

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Anna Rita Francesca Maino

Anna Rita Francesca Maino

Sono nata a Matera e attualmente vivo a Bologna, dove studio Giurisprudenza. Non amo descrivermi, ma descrivere, anche perché leggermi significa un po' conoscermi. Scrivo per passione e credo che carta e penna facciano miracoli: "curano i dolori, consolidano i sogni, restituiscono la speranza".
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