Viviamo in un presente complicato in cui le certezze di sempre sono messe in discussione e non possiamo prevedere con conclusioni affrettate se si tratterà di un fallimento o di un’evoluzione. Fra questi pilastri d’argilla c’è anche la famiglia, la sua concezione, le sue radici e i suoi valori. Senza avventurarsi sui temi delle unioni civili, delle adozioni o della maternità surrogata, riflettevo semplicemente su quanto possa essere frustrante trascorrere la festa del papà o della mamma immuni da cascate nel cuore, qualora sia assente un destinatario per questi auguri. E’ una mancanza che può essere fisica, ma soprattutto emotiva. I vuoti interiori sono soggettivi, indefinibili, e ci si può sentire orfani pur non essendolo, ma per mia immensa fortuna sono ipotesi a me sconosciute. Credo che i figli non siano di chi li mette al mondo, ma di chi li accompagna per mano nella vita, trasmettendo umanità, educandoli all’amore e al rispetto, all’onestà e alla dignità. Ci sono uomini e donne che fanno figli e poi ci sono i padri e le madre.
Di norma diffido per indole dalle date convenzionali, ma il 19 Marzo è una tenera eccezione. Mi piace rinnovare sottovoce la gratitudine profonda che nutro nei confronti di chi ha immortalato la mia infanzia in una collezione di scatti che cresce con me. Alcuni padri compiono gesti eccezionali in nome di questo amore, come Mark Zuckerberg, che, assieme a sua moglie Priscilla, ha commosso il mondo, quando alla nascita della loro figlia Max, si è impegnato a donare il 99% delle sue azioni di Facebook – dal valore di 45 miliardi di dollari – per promuovere il potenziale umano e l’uguaglianza fra tutti i bambini attraverso la Chan Zuckerberg Initiative.
Altri dedicano ai propri figli poesie o canzoni che, anche se diventano successi mondiali, sono scritte soprattutto come fossero carezze intime e private da donar loro ad ogni lettura, ad ogni ascolto.
I più, invece, vicini o lontani, sfidano le difficoltà quotidiane e provano a vincerle per il bene dei loro cuccioli.

Luigi Guerricchio, anni '90, Matera - foto di Giuseppe Maíno
Luigi Guerricchio, anni ’90, Matera – foto di Giuseppe Maíno

Penso ai padri con evidente ottimismo, nonostante non sia possibile generalizzare, ma offenderei la mia storia familiare se non lo facessi. Le sbavature e le incomprensioni sussistono fisiologicamente in tutte le relazioni umane, come in quelle con i padri. Quella paterna è una figura unica e fondamentale che viaggia in prima classe anche con gli scioperi o con i guasti al motore. In senso lato è ai padri che si ritorna quando si cercano le origini dei fenomeni, le radici dei perché, come nel caso dei nostri padri costituenti.
E’ ancor più particolare il rapporto che si instaura fra i padri e le figlie, perché condiziona inevitabilmente lo sguardo che queste avranno sugli uomini, il modo in cui li ameranno, il rispetto che da loro pretenderanno.
Parte di qui il grado di aspettativa che non è la prosecuzione del filo paterno, ma un trampolino verso la sfera maschile nella quale ci si orienta anche grazie a quel linguaggio non verbale appreso a casa.
L'Aquila, 2009 - foto di Giuseppe Maíno
L’Aquila, 2009 – foto di Giuseppe Maíno

Ricordo certe frasi di mio padre, che nel bene e nel male, hanno condizionato la mia infanzia e la mia crescita, come quando a sei anni mi ha insegnato a prelevare ad uno sportello bancario, svelandomi con fiducia quelle cinque cifre segrete ed emancipandomi con così poco. Oppure quando qualche anno dopo mi ha spiegato in poche parole la differenza fra la destra e la sinistra, che “pensa un po’ di più alla gente poverella e per bene come noi”. Ha custodito per sempre la mia infanzia e quella dei miei fratelli in pellicole chilometriche di bagnetti, vacanze al mare e primi giorni di scuola, oltre all’infinito repertorio fotografico, prezioso come noi. Mi ha accompagnata a scuola per sedici anni dal primo giorno di asilo all’ultimo del liceo, cantando Battisti o in silenzio assonnato, cercando invano un dialogo mattutino o nervoso nel traffico, ma sempre abilissimo alla guida e, molte volte, in ritardo!
Polignano a mare (BA), anni '90 - foto di Giuseppe Maíno
Polignano a mare (BA), anni ’90 – foto di Giuseppe Maíno

L’ho visto piangere in un paio di circostanze anche se non avrei voluto, ma è servito per conoscere meglio la sua profonda sensibilità, che è l’obiettivo della sua macchina fotografica. Non sa tutto di me – perché nessuno lo sa – e le distanze esistono fra di noi, però non mancano le ragioni per accorciarle, come quella fiducia incondizionata nei miei confronti che non mi abbandona mai e mi fa sentire contemporaneamente libera e protetta. E’ curioso della mia opinione e crede in me, sempre. Questa certezza non ovvia è come un vento che soffia dentro e scuote le parti migliori di me, che pensano al domani col sorriso.

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Anna Rita Francesca Maino

Anna Rita Francesca Maino

Sono nata a Matera e attualmente vivo a Bologna, dove studio Giurisprudenza. Non amo descrivermi, ma descrivere, anche perché leggermi significa un po' conoscermi. Scrivo per passione e credo che carta e penna facciano miracoli: "curano i dolori, consolidano i sogni, restituiscono la speranza".
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