C’è chi ha detto di  aver visto  passeggiare nel cielo di Piazza Quirinale un numero di colombe superiore al normale il giorno dell’elezione,  c’è chi ha raccontato tutto con un bagaglio di particolari meno minuzioso, più scarso, ma in entrambe le chiavi di lettura, la faccia del racconto della nomina di Mattarella, a presidente della Repubblica, ha assunto i toni di un episodio tra il mitico e il salvifico.

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  La cosa curiosa infatti, forse tipica del nostro essere italiani e del nostro dover autorappresentarci le tutte le faccende che qui si consumano, è proprio questa rincorsa al senso, al perché escatologico di ogni avvenimento. Una rincorsa al senso, dicevo, che si attesa anzitutto nelle somiglianze, nei paragoni:

Sergio Mattarella ha da appena un mese dato inizio al suo mandato, ed è già il nuovo Papa Francesco. Ed è già l’uomo da cui ci si aspetta una sobrietà incorruttibile, un’ evangelico messaggio parzialmente laicizzato di speranza.  Chissà, magari, seguirà davvero le orme di Francesco, ma non è tanto questo il punto, quanto il bisogno tutto personale del cittadino medio di dover aspettare un “salvatore”, l’esigenza spontanea di doverlo accostare, per esempio, a una figura non politica, ma religiosa.  Lo aspettiamo sì, o no, questo Salvatore? E lo abbiamo trovato?  Ogni volta che la televisione ci  riferisce un particolare della vita di Mattarella che riscontra similitudini con la nostra , mostriamo entusiasmo. Che si tratti del suo appartamentino di 50 metri quadrati al centro di Roma, piuttosto che del verde delle tapparelle di casa uguale alle nostre, si, quello è un “salvatore” più vicino a noi, più vicino alla possibilità di salvare anche noi stessi.   Mattarella che utilizza un volo di linea per raggiungere la sua Palermo,  è un Presidente che fomenta l’entusiasmo già nato e che avvia una partecipata attesa alle sue prossime mosse da uomo comune.  Un dipinto forse caricaturale, ma per lo più onesto.

Questo fenomeno mi lascia  con un buon numero di spiegazioni addosso, ma, a dire il vero, anche  con  un altro paio di domande che escono fuori dalla coperta. Sono note, infatti, le ragioni di questo entusiasmo , ma forse dovremmo riconoscergli il loro non essere abbastanza. C’è bisogno di qualcuno che sappia tagliare le gambe agli sprechi e ridare piedi alla normalità dell’essere sobri e contenuti, ma questo non può essere il valore esclusivo di un termometro che deve contenere anche  tutto il resto.  Fino agli anni ’90, cercavamo un Presidente autorevole, che assorbisse su di sé i segni della storia più storica. Ora lo cerchiamo normale, mediatore, come dovesse essere un filo di congiunzione ideale fra i punti in comune tra la sua ordinarietà e la nostra. Una ricerca di personaggi, quindi, variabile, al variare delle debolezze del paese, che però, ha la fortuna audace di trovare in Mattarella un mediatore buono. Un uomo fuori dalla logica di qualsiasi debolezza e pronto ad essere l’uomo giusto in qualsiasi tempo.

Ci sono immagini che  più di altre mi danno il senso di questa grandezza: Mattarella col pullover sporco del sangue del fratello Piersanti , i suoi occhi spenti dentro l’esperienza della morte. La sua pelle bianca immobile, congelata dal freddo di quel pomeriggio a Palermo di trent’anni fa. La mafia che uccide un giudice che stimavi è l’esperienza di un dolore grande, la mafia che ti uccide un fratello, è l’esperienza di un dolore infinito. Da lì, si apre sempre un bivio, puoi scegliere di diventare un uomo che non crede più nello Stato, o puoi decidere di diventare un uomo dello Stato.  Sergio, un uomo dello Stato già lo era, impegnato da sempre nella politica, però da allora ebbe uno scatto di determinazione non più contenibile. Chissà, se la Storia, con questo incarico, non lo abbia voluto risarcire del senso di impotenza  sperimentato.

Parla poco, Sergio,  e ha una cadenza discorsiva pacata, non troppo frettolosa di raggiungere le pretese televisive. Gesti sommessi, discorsi meditati in uno spazio di riflessione autentico e tanta soggezione verso il significato di ogni azione.

Non credo all’ipotesi di  un nuovo Papa Francesco,  sarebbe una clonazione troppo scontata in questo Paese che è bravo a giocare sempre la carta dell’imprevedibilità, credo piuttosto nelle dimensione di una rivoluzione borghese che sappia riportare ordine e prestigio ai luoghi del potere.  Continueremo ad apprezzarlo per le cose che mostra di avere in comune con noi, ma inizieremo ad amarlo soprattutto per quello che possiede di profondamente diverso.  Avvicinare l’uomo alla politica vuol dire umanizzare la politica   ed individuare nel suo contesto soggetti con i nostri medesimi obiettivi, ma avvicinare l’uomo alla politica vuol dire anche riportare ai suoi occhi i pregi e la distanza dal mero interesse che chi si occupa del bene comune deve avere dentro. Una qualità rara che forse ci ostacola nella creazione di paragoni facili, ma che ci migliora nella lettura complessiva del corso delle cose.

Alessandra Arini

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Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

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