L’ultimo anno di università è  un tragico spartiacque tra il mondo vero e la fine degli alibi di cui possiamo servirci per non entrarci. L’ultimo anno di università di giurisprudenza è uno spartiacque ancora più tragico tra la fine delle illusioni sulla giustizia e quelle più profonde che avevamo su noi stessi. Siamo arrivati qui per svariati motivi e ora vorremo rimanerci per sempre. Ma non perché fuori sia meglio, e non perché abbiamo capito veramente quale sia il mestiere dell’avvocato e quale la verità da difendere. Ma perché fuori non avremo maschere, mentre qui tutti ne abbiamo una. Sì, siamo noi stessi, ma con mille riserve e protezioni. Abbiamo rimandato sempre a un altro giorno la decisione su cosa rispondere a chi ci avrebbe domandato “e dopo cosa vuoi fare?”. Ci siamo tenuti stretta la scusa che comunque il settore è in crisi  e si lavora con quello che si trova. Ma la verità è che sì, il settore è in crisi, ma comunque non più di noi, che quello che vogliamo fare non lo sappiamo ancora. E ci piace l’dea del tribunale, dello studio legale, ma rimangono idee aggrappate al loro limite: l’astrattezza, l’assoluta invisibilità. Siamo cambiati molto dal primo giorno di università. Eravamo meno fragili di adesso. Adesso siamo o troppo euforici o troppo perplessi. E quando siamo spensierati subito ritorna come una canzone malinconica il pensiero che fra poco sarà tutto finito o tutto per la prima volta iniziato. Sappiamo di un po’ tutto e di molte cose niente, e di quello che abbiamo studiato ricordiamo i concetti chiave, gli schemi generali. Ma basterà per essere migliori di come siamo entrati? e quella storia che gli “studi forgiano” per quanti sarà valsa? A tratti ci sentiamo quasi più deteriorati, ed è come se l’eccesso di nozionismo che abbiamo interiorizzato ci avesse reso  più distaccati da alcune nostre originarie essenze. Si badi bene che questo discorso, così come queste righe non hanno la pretesa di valere per tutti. Quelli col fuoco sacro del diritto esistono, sono in mezzo a noi. O anche, più semplicemente, gli appassionati che, per caso o per volere, hanno fatto di una curiosità la loro strada e della legge e dei suoi sviluppi la loro futura vita. Ma parlo a noi, gente distratta, incerta, gente che ha seguito un’ispirazione non chiara e che ora però si ritrova a dover affrontare con la stessa chiarezza apparente un percorso non scontato.  C’è chi diventerà comunque un avvocato, anche se adesso ancora non lo ha in mente e lo disprezza pure. C’è chi dopo la laurea farà quel classico viaggio che gli cambierà la vita, quello dove avverrà un incontro importante  o dove soltanto scoprirà di essere una persona totalmente diversa da come si era immaginata. C’è chi tornerà giù, al paese. E invece lì scoprirà che non è cambiato niente, che tutto tace e che i rumori non ci sono, così come non ci sono le occasioni e, lentamente, si riabituerà a quella sordità, a quell’ assenza di rivoluzione. Si chiederà aiuto alla famiglia e ci si inventerà qualcosa, realizzando di non essere cresciuti e di essere addirittura regrediti rispetto agli anni in cui si era andati via di casa. Perché quantomeno allora l’incoscienza aumentava la maturità e il coraggio. C’è chi invece si metterà a fare qualcosa di assurdo, tipo il pittore o l’artista. Perché questi anni di commi a memoria e di leggi derogate da altre leggi  hanno avuto la forza di liberare dentro di noi e di rendere necessaria un’altra porta, quella della creazione, della fantasia. E si, saremo tutti cosi, pezzi diversi di uno stesso percorso, sparsi nel mondo ma partiti da quel mondo che abbiamo per pochi anni condiviso insieme. E c’era sembrato tutto, c’era sembrato che nulla lo potesse dividere o spezzare. Ci siamo fatti scudo con i nostri respiri e con le nostre cene insieme, con i nostri discorsi in biblioteca mentre cercavamo di studiare ma era più forte la fame che avevamo dentro di conoscere chi ci era seduto accanto. Speravamo di poter rimanere intrappolati in questa rete senza fili di incontri che ogni giorno ci cambiano la vita, e, invece, l’ultimo anno serve anche per capire chi ci è rimasto intorno. Abbiamo scambiato parole con tutti e alcune le abbiamo credute perfino importanti, ma pochi volti ad oggi sono rimasti ad aspettarci. E guardandosi indietro gli altri possono essere un ricordo superficiale o fondamentale. Nel mondo  del lavoro avremo ancora tempo per sviluppare incontri? O saremo numeri che dovranno continuamente dimostrare di avere qualcosa di più adeguato e di più giusto degli altri? Le risposte sono scontate, così come i miei dubbi. È naturale che cambierà il modo di approcciarci alla realtà e quindi anche il nostro modo di essere valutati per questo, ma sta davvero finendo il tempo in cui possiamo sentirci liberi di stimare qualcuno senza sentire anche il bisogno di superarlo. Probabilmente si, probabilmente no. Forse è solo un’esagerazione fuori luogo portata  avanti dalla malinconia. Ma è soprattutto questo l’ultimo anno di università: malinconia. Che non è tristezza, perché siamo comunque felici di metterci alla prova fuori. Ma non è nemmeno allegria, perché sappiamo che con questo capitolo si dirà addio anche alla leggerezza, che è quel velo di colore che ci ha fatto volare finora sopra tante cose, come i nostri limiti. Ecco, a voi allora, che vi sentite certe volte stringere da questo vuoto esistenziale per la fine dell’università, sappiate che siete in buona compagnia. Perché, diversi o profondamente simili che siamo, abbiamo tutti addosso L’Ateneo-di-Bologna-torna-a-lottare-contro-le-lauree-“fracassone”questa sensazione di imminenza e di conflitto tra sentimenti che ci tormenta. Di cui il bello però è che ci sta facendo vivere giorno per giorno questo ultimo anno, senza tralasciare nessuna emozione o intuizione. La legge ci ha aiutato fino a un certo punto e continuerà a farlo sempre con i suoi limiti. Sappiamo e sapremo che ci sono delle regole, delle prassi e delle procedure senza le quali le cose non accadrebbero. Ed è forse la legge stessa ad essere la scienza, tra tutte, più simile alla vita in maniera complessiva: per ogni cosa che vorremo fare ci sarà sempre un permesso da chiedere e per ogni cosa che non faremo o che non vorremo fare ci sarà sempre uno che ci chiederà conto della nostra omissione. E non sarà sempre giusta, questa legge. E quando non sarà giusta non potremo comunque essere noi a dire che è sbagliata.

Alessandra Arini.

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Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

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