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Alcuni sistemano con cura dei cartoni raggrinziti per formare una specie di letto contro i ripiani di marmo, altri cercano riparo sull’erba accanto alle vecchie altalene arrugginite, i meno fortunati si arrangiano con le foglie dei salici che fanno da contorno alla piazza caotica.
Ecco lo scenario che si staglia davanti agli occhi di chiunque entri in questa piccola città di provincia della Sicilia occidentale. Uno spettacolo di uomini e lavoratori che s’innesca fin dalle prime ore del giorno e che trova tregua solamente verso le 10 della mattina, quando ormai quasi tutti gli agricoltori hanno raggiunto le proprie terre dalle quali estrarre i frutti, che a fine giornata daranno un senso monetario alla fatica.
Ahmed, Abdul, Dimitri sono alcuni nomi dei tanti che in Settembre prestano le proprie braccia per raccogliere quell’uva che dopo mesi diventerà vino pregiato, pronto ad imbandire le tavole di mezza Europa. Bianco d’Alcamo DOC, questo è invece il nome del suddetto vino, venduto anche a 15 euro nei supermercati dell’Emilia ma che a monte vede un ricavo di pochi centesimi per numerosi chili di materia prima.
Queste sono le proporzioni di questa guerra tra poveri: da una parte la moltitudine di uomini color caramello che affollano le piazze siciliane, dall’altra gli agricoltori sempre più soli nel portare avanti un’occupazione antica e piena di tradizione, ma ormai svilita e poco soddisfacente.
Questa guerra come detto, inizia qualche ora prima dell’alba, gli agricoltori guidano fino alle piazzole e vengono assaltati da questi moderni schiavi che richiedono un’occupazione, la scelta è veloce e razionale, si preferiscono coloro che hanno già lavorato nelle proprie terre o chi per requisiti fisici potrebbe apportare un maggiore beneficio alla raccolta.
Caricato un numero di uomini congruo al lavoro prospettato, i camioncini si indirizzano verso gli appezzamenti di terreno che fanno da cornice alla piccola cittadina. Cominciando alle 6 si avrà una pausa sotto qualche albero di carruba verso le 13 per poi concludere con il buio.
I lavoratori faranno ritorno alle bidonville improvvisate, i più fortunati usufruiranno delle docce messe a disposizione dalla Protezione Civile, che qui si muove come in una qualsiasi favelas sudamericana assicurando a questi lavoratori stagionali un pasto caldo la sera e pochi e insufficienti posti per dormire in tenda.
È questa l’immagine di un’Italia dimenticata, di un piccolo puntino sullo stivale dove un popolo abituato ad emigrare si confronta con l’accoglienza. Una terra dove tutto per fortuna o purtroppo rimane immobile.
Appunto l’indomani il tutto ricomincerà, lontano dalle discussioni di chi parla di accoglienza o respingimenti, lontano da chi divide il mondo in buoni e cattivi, da chi diffondono a gran voce slogan razzisti e rassicuranti dalle poltrone di un talk show.
Sarebbe interessante mettere davanti a quest’immagine coloro che sbraitano, per comprendere se un briciolo d’umanità può scaturire davanti al sorriso gentile di Abdul o al letto d’erba di Amhed.

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Gabriele Morrone

Gabriele Morrone

Faccio parte di S.U fin dall'inizio della mia carriera universitaria presso la facoltà di Scienze politiche e ho iniziato a collaborare con questa rivista in modo sempre più assiduo e appassionato. Mi sono posto fin dal principio l'obiettivo di raccontare quello che vedo in modo mai banale e patinato, osservando da vicino una città meravigliosa come Bologna attraverso gli occhi di chi è abituato alle contraddizioni della propria isola natia: la Sicilia.
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