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Per il fuorisede che ritorna a casa
In treno, in aereo, in autobus o in macchina il fuorisede prima o poi, in modo gioioso o malinconico deve tornare a casa.
Non nella casa in terra straniera per la quale paga esosi affitti e che ha addobbato seguendo un dubbio gusto nel campo del design ma a Casa.
La casa che lo ha visto crescere, la casa delle delusioni amorose liceali, quella in cui sa che ad aspettarlo ci sono parenti, amici e genitori.
Durante questa mistica transumanza il fuorisede fantastica sulle prelibatezze culinarie che lo attendono, pregusta il recupero delle numerose ore di sonno perse durante i recenti periodi di studio o più semplicemente sente avvicinarsi la presenza materna apportatrice di magici rifacimenti di letti o piegamenti di vestiti.
Il culmine della contentezza viene raggiunto all’arrivo, ad attendere il figlioletto che vive lontano sono presenti parenti lontani e vicini, nonni e cugini che passavano per caso da li.
Ed eccolo lì, spuntare come un eroe che torna dal fronte, il fuorisede comincia a salutare le due trecento persone accorse per l’evento con il fare sbarazzino di chi si è emancipato perché cittadino di una città più grande e moderna (nel suo cuore rimpiange il piccolo paesino di provenienza ma mai e poi mai lo ammetterà).
Il resto è storia, finita la mezzora di saluti e baci si viaggia come in una millenaria processione verso casa, la valigia la prende il papà, non perché il figlio sia stanco dal viaggio ma perché ritenuto stanco per la vita fredda e grama lontana dal nido familiare.
E la mamma? Questa figura mitologica metà dietologa metà balia? La madre si commuove, non per il ritorno del figlio ma per lo stato in cui lo trova. Il figlio è magro. Non si discute. Nonostante abbia preso 20 kg per via dell’alimentazione tutta kebab e pizzaBo. Il figlio è magro e pallido per dogma.
La madre vive questa condizione come una sconfitta esistenziale, una messa in discussione delle proprie capacità genitoriali inficiate dalla distanza dal pargoletto deperito.
In quanto bambino del terzo mondo di 80/100 kg il fuorisede va fatto mangiare, e per farlo la madre ha già preparato prima d’andare a prenderlo una cena che oscilla tra le 3000 e le 4000 calorie a portata, corredata di cibi sconosciuti alla convenzione di Ginevra a grandezza Giuliano Ferrara.
E il nostro fuorisede come reagisce al tutto? All’inizio è in paradiso, abituato alla freddezza dei troll che lo circondavano che si ostinava a chiamare coinquilini il fuorisede è commosso da questa esplosione di calore umano tale da fare invidia all’Etna. Si gode quella serata, ignaro di come quell’apprensione sconosciuta in terra straniera cambierà effetto sul proprio io.
Il cambiamento comincia dal giorno dopo, precisamente la mattina, la mitica figura centrale del nostro racconto si sveglia con fare rilassato alle ore 13:40 trovando un altro immenso pranzo preparato per le sue adesso meno fameliche fauci, ma tale calo dell’appetito (dovuto alla sontuosa cena della sera prima) non viene ritenuto possibile dalla madre che in virtù del dogma sopra citato inizia a vedere vestiti sempre più larghi e corpi sempre più deperiti. È l’inizio della fine, alimenti che vengono nascosti e spacciati per deglutiti solo per non essere calati a forza nello stomaco del povero studente che rimpiange la libertà culinaria tanto disprezzata nei magri periodi d’esame.
Allora il fuorisede decide di uscire, per non dover giustificare perché ad un’ora dal pranzo non ha ancora ingerito quella leggerissima fetta di pandoro al cioccolato, chiamato un amico ritorna nell’arena che lo aveva visto protagonista (ma quando mai!): la piazza del paese.
Qui è tutto un salutare ed aggiornare su quando si è arrivati, come vanno gli esami e quando si ripartirà, immancabile infatti la domanda “ma quando riparti?” che mette in dubbio la felicità mostrata da chi la formula.
Tra di loro i fuorisede si annusano come animali rari, mirano a mostrarsi integrati al massimo nella nuova città, vantano l’atmosfera “di Lì”, la pulizia e l’educazione che da buoni criticoni non ravvisano nei propri concittadini. Il fuorisede gioca anche la carta del maledetto lontano dalla famiglia, con tutte le ragazze che gli capitano a tiro, ricevendo lo stesso numero di rifiuti di un qualunque liceale ma almeno usando argomentazioni e tecniche più affinate, insomma come perdere ma con tanto stile.
Sconsolato torna a casa e li trova un’altra limitazione della propria libertà data per scontata fuori dalla terra natia, il padre che in modo apprensivo aspetta lo scapestrato figlio ad orari improbabili, eppure non è una cosa inaspettata, il terrorismo psicologico a suon di “quando torni? Che combini?” era cominciato dalle 10 di sera, ma si manifesta in tutta la sua potenza appena varcato l’uscio di casa.
Malinconico della fredda casuccia straniera il povero eroe si corica a letto, consapevole che l’indomani sarà un altro giorno, uno in meno dal ritorno nella città degli studi, dove ricominciare a fantasticare sulla vita a casa con i suoi.
Che vita grama.

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Gabriele Morrone

Gabriele Morrone

Faccio parte di S.U fin dall'inizio della mia carriera universitaria presso la facoltà di Scienze politiche e ho iniziato a collaborare con questa rivista in modo sempre più assiduo e appassionato. Mi sono posto fin dal principio l'obiettivo di raccontare quello che vedo in modo mai banale e patinato, osservando da vicino una città meravigliosa come Bologna attraverso gli occhi di chi è abituato alle contraddizioni della propria isola natia: la Sicilia.
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