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50 gradi di libertà: una mostra per riflettere
Possiamo davvero decidere? Liberi si nasce o si diventa? C’è libertà o ci troviamo in una gabbia
digitale? Sono solo alcune delle questioni che emergono nell’esposizione “50 gradi di libertà” aperta
al Mambo fino allo scorso 22 novembre. Queste, apparentemente facili da sciogliere, sono in realtà
offuscate dall’attenzione che riserviamo a relazioni, studio, divertimento e infine lavoro. Eppure se
non sappiamo qual è il nostro grado di libertà, non siamo nemmeno in grado di sfruttarlo ed
apprezzarlo sino in fondo. Così in occasione di questa mostra nella dotta Bologna, mi sono presa la
libertà di rifletterci (se non in questa città, dove?).
Nella sala più grande dell’esposizione al museo di arte moderna, era impossibile non rimanere
immobili di fronte ai video che illustravano alcuni dei momenti più intensi e tragici della storia (le
guerre mondiali e il nazismo) e le sperimentazioni psicologiche che sono state in grado di
sconvolgere il nostro modo di agire nei confronti del prossimo (l’esperimento dei prigionieri
nell’Università di Stantford). Immagini atroci scorrevano di fronte ai miei occhi: in alcuni frangenti
c’erano delle persone con dei numeri sullo schermo, prigioniere ma consapevoli di trovarsi in una
gabbia, subito dopo si vedevano i ricercatori dell’esperimento dell’università di Stantford.
Recitavano così bene che facevano del male ai soggetti dello studio. Erano manipolati, influenzati e
oppressi dai loro stessi ruoli senza che potessero avvertirlo. Sono stati proprio quegli errori a
spingere i nostri antenati a lottare e capire che cos’è la libertà. Posso percepire ora quella
consapevolezza come se fossi stata io a conquistarla, ma sono davvero libera? altre è come se
predominasse un pilota automatico nella nostra mente.
Se riconsideriamo alcune delle più grandi conquiste dei nostri tempi ce ne accorgeremo: dalla
possibilità di leggere, a quella di curarci, essere educati, imparare nuove lingue, informarci,
comprare i prodotti, unirsi nei sindacati e votare, avere un’assicurazione e infine ad utilizzare la
tecnologia, diamo per scontate gran parte di queste libertà. Eppure se grandi artisti e scienziati non
avessero espresso concretamente la loro immaginazione, oggi non potremmo dedicarci allo studio,
alla lettura o allo sport quando fa buio.
Stessa cosa sarebbe avvenuta senza l’Unione Europea: al di là delle perplessità, ristabilire la pace e
unire gli stati in una comunità ci ha permesso di viaggiare e conoscere altre lingue e culture, come
mai era avvenuto nel corso dei tempi. Un’altra libertà, appunto.
Ma se davvero abbiamo a disposizione ogni strumento utile per incanalare energia e creatività,
allora la risposta alla prima domanda è “si, sono libera”? Nikolaj Berdjaev diceva che la libertà è
innanzitutto disuguaglianza. Essere liberi dovrebbe ad esempio garantire a noi giovani studenti la
possibilità di inseguire le nostre aspirazioni e le nostre passioni e di far propri degli ideali a
prescindere dalle conseguenze.
In altri termini, non dovremmo sentirci colpevoli se studiare Virgilio e Tacito è per noi una
vocazione. Eppure lo facciamo e, nel peggiore dei casi, scegliamo altro per ragioni che opprimono il
nostro volere: una di queste è la paura di fallire. Ecco perché, dal mio punto di vista, liberi si nasce
e si diventa: a dimostrarlo sono non solo coloro che durante le rivoluzioni degli anni ’60 hanno
manifestato con coraggio per acquisire nuovi diritti, come era illustrato in uno dei video di “50
gradi di libertà”, ma anche chi ogni giorno opta per la strada più difficile.
Ho sempre pensato che esistano due facce di una stessa medaglia: solo una di queste corrisponde
alla nostra realtà. Nel mio ideale c’è sempre una persona che abbandona una posizione di stallo per
seguire le sue intuizioni e conquistare i suoi sogni: il motore è la volontà che decide se e come
cambiare.
Questa è la parte della società che preferisco, mentre nell’altra c’è l’inconsapevolezza. I protagonisti
sono, nel primo caso, i premi nobel dell’arte e della scienza o personalità forti, indipendenti e
volenterose, nel secondo, persone comuni che usufruiscono di strumenti come smartphone o tablet
ininterrottamente, ingabbiandosi da soli in quel modo virtuale. Neppure noi studenti siamo esenti da
questo meccanismo. Ma, al di là di ogni strumento, a renderci meno liberi sono le nostre sensazioni.
Dopo i terribili fatti di Parigi, andare ad un concerto, seguire una partita di calcio e terminare la
cena in ristorante per alcuni è diventato un incubo: venerdì 13 novembre a Parigi ha ristabilito la
paura in molti di noi. Ecco che cosa ci opprime davvero. Il terrore, anche se impercettibile, è in
grado di ostacolare ogni giorno la nostra libertà: non siamo più padroni di chi siamo, chi
diventeremo e cosa facciamo. Solo ribellarci alla stessa paura, può ridarci allora il nostro grado di
libertà.

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Maria Grazia Sanna

Maria Grazia Sanna

Nata a Sassari in Sardegna, dopo alcune esperienze all'estero, prosegue gli studi in Comunicazione pubblica e d'impresa a Bologna. Qui si aggrappa al suo sogno di scrivere per un giornale e fare di una passione un mestiere, con la consapevolezza di avere ancora tanto da imparare.

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