A nostre spese  abbiamo imparato che ogni discussione post elettorale che si rispetti  oramai si giochi sulle piattaforme dei social network . Abbiamo anche imparato di  come più che una discussione si tratti di serie di monologhi moralizzatori che di regola vengono lanciati al cittadino che non ha fatto il suo dovere, al cittadino che non è degno di essere chiamato tale, al cittadino che, seguendo le indicazioni di questi appelli, dovrebbe letteralmente nascondersi  e non farsi vedere in società per almeno un paio d’anni.

A me, non piacciono le generalizzazioni ed, onestamente, non mi piacciono nemmeno quelli che vogliono fare i portatori sani di coscienza civica solo per un giorno. Perché sì, ammettiamo che dia anche  la sensazione di un certo potere raccogliere like virtuali  facendo i Che Guevara della situazione, però ogni monologo, ogni appello, ogni discorso deve avere con sé le radici del rispetto verso il discorso dell’altro.  Anche il silenzio ha la sue ragioni. Possiamo non condividerlo e possiamo ritenere quelle ragioni vane, ma la prima lezione di democrazia da cui ripartire, a mio avviso, è proprio quella di comprendere il silenzio civico nel suo significato.

Nella votazione referendaria di ieri il silenzio era una risposta specifica. Che ci piaccia o no, il referendum abrogativo nasce proprio con il vincolo di un quorum elettorale da raggiungere. Quindi, se voglio esprimere il mio dissenso rispetto alla proposta che mi viene fatta politicamente, posso decidere di non andare a votare contribuendo al non raggiungimento del quorum e quindi al suo fallimento. Certo, c’è chi potrà  ravvisare  in questo comportamento un atteggiamento di non considerazione rispetto alle sorti del paese, ma c’è chi leggendo più lucidamente, potrebbe anche notarci  una concreta presa di posizione contro la consultazione referendaria.

Poi che, ovviamente, ieri ci siano stati milioni di italiani che non abbiano votato per pure ragioni di noia, di disinformazione, di distanza dal problema, anche questo è legittimo credere che sia accaduto. Ma ce ne sono stati molti altri che non hanno votato perché erano con consapevolezza contrari alla riuscita di questa consultazione. È sempre facile fare un grande mucchio di tutte le personalità e di tutte le vicende, perché, ammucchiando e omologando, quando si punta il dito contro non si deve fare lo sforzo di distinguere tra le ragioni dell’uno e dell’altro. Ma distinguere è sempre il primo passo per scegliere cosa conoscere.

Io ho votato, ma ho votato No.  E  non mi sento un mostro per questo. E, malauguratamente, non sono nemmeno la figlia del proprietario di un pozzo petrolifero nell’ oilplat Adriatico. Ho votato no perché questo quesito era posto malamente e non ravvisavo nella legge attuale una grave minaccia. Non ho una conoscenza ambientale così specifica, ma con i miei mezzi ho cercato di informarmi.  E posto che, da nessuna legge  attualmente vigente, è previsto l’ impianto di nuove trivelle, si sarebbe trattato esclusivamente del  decidere se continuare a mantenere in vita quelle già esistenti fino all’ esaurimento dei pozzi sottostanti.  Io ho votato affinché queste si mantenessero in vita perché credo che non si possano smantellare di colpo creando il problema della disoccupazione in circa 7.000 lavoratori e rispettive famiglie. Ho votato no perché credo che il fatto che questi impianti  si trovino a 12 miglia dalla costa garantisca comunque il rispetto di un certo  vincolo ambientale. E ho votato no perché credo, forse scioccamente, che di questo petrolio ne abbiamo ancora bisogno. Perché ritengo che l’energia rinnovabile non la potremo avere domani, ma che prima serva un piano effettivo che programmi con gradualità ed intuito in toto il rinnovamento. E se questo piano di rinnovamento ed investimento non lo abbiamo già pronto, finirebbe che comunque dovremmo compensare l’attesa andando ad importare il petrolio all ’estero.

Probabilmente una scelta ignorante, discutibile, ed arrogante la mia. Ma comunque, una scelta. Che merita lo stesso rispetto che meritano tutte le altre  risposte di questo paese.

The following two tabs change content below.
Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Comment *