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Non conoscevo Giulio Regeni né la sua attività di ricerca, prima che divenissero tristemente note. Scosso dalle sue vicende – come tanti, specie se legati da una qualche comunanza nel mondo della ricerca – ho letto ex post qualche suo contributo, qualche sua cronaca anche di natura giornalistica dall’Egitto.
Non sono nemmeno un granché simpatetico con certe premesse ideologiche dell’attività di Regeni, lo dico con sincerità ma anche con grande rispetto, perché premesse ideologiche nell’attività di studio possono esserci, sono legittime, e anche benvenute quando chiaramente postulate, come Regeni faceva, da studioso serio.
Anche alla luce di queste premesse, l’impressione che ho ritratto dall’approccio col lavoro di questo sfortunato giovane uomo – e che si unisce al naturale sconcerto e all’indignazione per la vicenda di vita – è di grande dignità ed onestà. Regeni era un vero ricercatore, si poneva delle reali domande su effettivi, drammatici problemi, e indagava genuinamente alla ricerca di possibili chiavi di lettura, con passione. Era una persona che, da par suo, e come ogni ricercatore dovrebbe fare, analizzava i fenomeni cercandone una comprensione diretta, ed anche sfidando certe vulgate ridicole: la prima, catastrofica, abnorme, è proprio nell’etichetta sloganistica delle “primavere arabe” che ne accompagnerà ogni ricordo, come copertura posticcia di fenomeni ben più complessi e delicati, complessità e delicatezza di cui Regeni, in vita e in morte, ci ha rammentato.
Il primo modo per onorare la memoria di Giulio alla luce di tutto questo è, per me almeno, contestualizzarne così, con rispetto vero e profondo, l’attività, cercando di comprenderne i commendevoli moventi e le serie implicazioni.
Il secondo modo – ovvio ma da rimarcare – è ricercare la verità e la giustizia postume che Giulio merita nella chiarezza della sua morte, e che meritano la sua famiglia, i suoi amici, la sua comunità di colleghi, da ultimo il suo paese nativo ed anche l’Egitto, che era amato Paese d’adozione, come il Governo italiano mi pare stia facendo e come deve continuare a fare, anche nei necessari consessi internazionali. Una serie di persone, i familiari almeno, hanno diritto a questa verità e a questa giustizia.
Il terzo modo per onorare la memoria di Giulio – e questo è anche un personale auspicio politico – è quello di riflettere senza infingimenti sulla vicenda di Regeni per farne tesoro a livello di comunità. E’ ormai chiaro che Giulio è stato torturato, non è stato ucciso per odio privato o criminalità comune. C’è orrore e sdegno per questa vicenda, ma permane un paradosso dietro questo pur sincero sentimento collettivo, che si percepisce: si è già ricordato in questi giorni, ma è giusto rimarcarlo, che è l’Italia per prima a non riconoscere, nel proprio codice penale, un formale reato di tortura.
Ciò nonostante la ratifica più di venticinque anni fa della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984; ciò nonostante in sede parlamentare si siano succedute, e si siano abortite, decine di disegni di legge in materia; ciò nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia condannato l’Italia della scuola Diaz di Genova espressamente per vicende di tortura, e si appresti a condannarla ancora per quelle di Bolzaneto, a memoria di quello che sappiamo può accadere nelle nostre caserme e nei nostri istituti penitenziari, dove affidiamo l’incolumità di un cittadino allo Stato o a chi per lui (il caso Cucchi è qui, ancora aperto, mentre scriviamo, ad interrogarci).
Sarebbe un bel gesto, mentre ci indigniamo giustamente e con forza per vicende insieme vicine e lontane, riflettere alla luce di queste cose su quello che ci accade intorno, anche più vicino, e indirizzare produttivamente le nostre reazioni: è stato già proposto da qualcuno, e qui solo ci si associa, che per commemorare il nome di Giulio si chiami Legge Regeni qualcosa di così atteso ed importante come una legge italiana sul reato di tortura, in memoria di un giovane italiano torturato qui ed ora, e perché si possa dimostrare, più che con tanta retorica, che dagli orrori della vita si può talvolta apprendere davvero.

Leonardo Pierdominici
research associate European University Institute, Firenze, e Università di Bologna

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