Piazza Verdi
Piazza Verdi

Studiare a Bologna comporta una serie di regole scritte e non scritte da seguire, alcuni personaggi topici da incontrare e certi totem da scoprire.

Piazza Verdi è il primo, vero confronto a cui si è chiamati subito dopo aver ottenuto il badge universitario (con tanto di foto indecente che si conserverà a futura memoria).

Ma cerchiamo di capire che cosa sia questa piazza, questo simbolo della Bologna universitaria, croce e delizia della “vecchia signora dai fianchi un po’ molli”.

Sua maestà della saggezza a portata di click (meglio nota come “Wikipedia”) non ci è di grande aiuto. Alla voce “Piazza Verdi (Bologna)” l’Oracolo si limita a ricordarci che “Piazza Verdi, dedicata al musicista italiano Giuseppe Verdi, è una piazza di Bologna e si trova nel cuore della zona universitaria.” per poi aggiungere qualche altra indicazione stradale e un timidissimoLa Piazza, soprattutto in periodo estivo, è utilizzata per manifestazioni culturali all’aperto.” Stop. Nient’altro. Nulla riguardo alle quotidiane, e non solo estive, manifestazioni di umanità che quest’angolo di Bologna può offrire.

E allora torniamo alla domanda iniziale: che cos’è Piazza Verdi?

E il bello viene proprio qui: Piazza Verdi non esiste, esistono tante piazze, tante immagini che ognuno di noi tiene stampate in mente e che riappaiono immediatamente non appena si passa da quelle parti, si cita quel luogo.

Provate a chiudere gli occhi e pensate alla piazza: che cosa vedete?

Qualcuno potrebbe vedere branchi di enormi bestioni al guinzaglio o con birra di ogni tipo alle mani. Potrebbe condire il tutto con alcuni effetti speciali (come certi odorini non proprio raccomandabili).

Qualcuno dalla mentalità più pragmatica potrebbe pensare alla birra venduta anche a tarda notte e a basso costo (ma qui ci sono varie interpretazioni) da impavidi “commercianti” improvvisati che, sfidando le ordinanze del fu sceriffo Cofferati, sono la dimostrazione vivente di come le leggi della domanda e dell’offerta muovano il mondo. Birra ma non solo: audaci professionisti dell’accordo cercano in tutti i modi di rifilarti una bici o comunque qualsiasi altra cosa che ti faccia “viaggiare”, in tutti i sensi.

Qualcun altro ancora potrebbe obiettare che ahimé, anche nel 2015 la birra lascia dietro di sé una bottiglia: e questa non sparisce da sola se non la si butta nel cestino. E tante sono le bottiglie di vetro che tappezzano la nostra cara piazza subito dopo l’Apocalisse serale.

Altri più clementi potrebbero vedere in Piazza Verdi il punto di incontro per eccellenza, l’oasi di rifugio dopo tante ore passate in aula studio, con tanto di caffè liberatorio in compagnia.

Insomma: questa Piazza è nella mente di chi la osserva e prende forma, così come “gli abitanti” che la popolano, in maniera diversa in base alle esperienze personali e agli che ognuno le collega. 

Volendo semplificare l’eterna disputa, possiamo indicare due schieramenti inconciliabili e in costante lotta fra loro.

Da una parte i Puritani, anti piazzaverdiani per eccellenza, vorrebbero armare una crociata di pulizia per riportare quello spazio ai fasti del passato (?); armati di lanciafiamme e senso civico, i Puritani si indignano per il degrado non solo avvertibile ma addirittura tangibile, “odorabile”. Molti di loro preferiscono mettere un’enorme “X” sulla Zona universitaria ed evitarla in blocco, lasciandola alla sua perversa degenerazione.

Dall’altra parte si ergono i Realisti, portatori di uno stoico pragmatismo. La piazza c’è, è quello che è, la si accetta con i suoi pregi e difetti perché, in ogni caso, è il disordinato salotto dell’Università. Il realista non si oppone all’ordine costituito, si inserisce nel contesto e lo vive appieno, come e quando può. E quindi birra, canna, chitarra seduti a terra, panino a 2.50 euro, pizza, pasta portata da casa (sarà venuta bene?) caffè, libri, tablet e pc sui tavolini per un ripasso: tanti, tantissimi i modi di vivere la piazza.

La verità è che non si è Puritani o Realisti semplicemente, interamente; in ognuno di noi, questi schieramenti si fronteggiano e quotidianamente prevale uno e, subito dopo, l’altro.E questo è dovuto alla caratteristica principale della piazza: quella di essere un organismo in continuo movimento, una “Via Zamboni quadrata”, la sintesi dell’Università con tutti i suoi molteplici aspetti.

Un luogo ricco di contraddizioni che trasuda umanità da tutti i pori. L’unico posto in cui è possibile trovare, a pochi passi di distanza ma separati da un mondo intero, quelli in fila per andare all’Opera del Teatro comunale e quelli che non hanno nessuna fila da fare, buttati per terra senza troppi perché (o forse sì?). Da una parte vestiti eleganti, giacche e cravatte, musica, teatro; dall’altra cani, alcool e droga, corpi e visi scavati, esistenze incerte: il tutto nello stesso identico luogo, senza barriere tangibili.

Capire la particolarità di Piazza Verdi non vuol dire giustificarla, non vuol dire chiudere un occhio e lasciarsi andare ad una indifferente assoluzione.

La Piazza è sporca, il quotidiano lavoro di pulizia richiede ingenti risorse pubbliche e non riesce e non riuscirà mai, da solo, a togliere la puzza dell’inciviltà: è giusto indignarsi e lottare affinché questo cambi.

Allo stesso tempo, ridurre a questo Piazza Verdi vuol dire non capirla, non conoscere questa Bologna ed abbandonarsi ad una visione limitata. 

E il miglior alleato del degrado è il pregiudizio che porta alla ghettizzazione e al considerare come zona franca, abbandonata a se stessa, ciò che è, in realtà, il cuore di questo grande campus all’aperto: la nostra Bologna.

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
Alessandro Milito

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