Ma, finita l’Università, che fai? Resti o torni a casa? Questa è la domanda che tanti studenti fuorisede a Bologna, specie se provenienti dal nostro Mezzogiorno, si sono sentiti porre, almeno una volta. Una domanda alla quale, inevitabilmente, hanno dovuto dare (dopo averla trovata) la loro personalissima risposta. Dietro una domanda di questo tipo c’è una legittima curiosità: il desiderio di sapere se, finita l’esperienza bolognese, questa venga messa da parte, appesa come un titolo sul muro dei ricordi e delle esperienze; oppure, al contrario, se abbia ancora qualcosa da dire e che, con forza, si sostituisca definitivamente al mondo passato, fatto di luoghi e conoscenze miste a nostalgia. Una domanda che tocca nel profondo lo studente, che si avvia a concludere il suo corso di studi e si ritrova di nuovo, immediatamente e quasi senza rendersene conto, di nuovo davanti ad un bivio fondamentale. Questa domanda si collega ad una risposta, sofferta o meno, ragionata o istintiva. Una risposta che tante volte entra in contatto con uno dei temi sul quale noi tutti, come cittadini italiani, ci interroghiamo fin dall’inizio della nostra esperienza nazionale: la cosiddetta (e ormai mitica) questione meridionale.

Dentro questo mondo fatto di domande e richieste mai sopite, rientra il tema dell’emigrazione. Sia chiaro: in un mondo globalizzato, “piccolo” ed interconnesso, nascere e crescere in un luogo per poi lasciarlo e trasferirsi in un altro, e poi in un altro ancora, è la norma. Anzi: è una legittima pretesa ed anche un prezioso privilegio (che vediamo messo a dura prova in questi giorni fatti di muri da innalzare in frontiere riscoperte). Se poi si pensa alla grande massa di studenti italiani che, conclusa la loro esperienza formativa, cercano (e spesso trovano) lavoro all’estero, il tema dell’emigrazione Sud-Nord all’ interno del nostro piccolo territorio nazionale può sembrare del tutto marginale ed indifferente.

Ancora: è bello immaginarsi cittadini del mondo, liberi di scegliere il luogo dove si intende costruire la propria storia e vivere l’incredibile varietà delle nostre città, veri e propri micro-cosmi a sé stanti: Patria est ubicumque est bene, dicevano i latini, con illuminante saggezza. A maggior ragione, da cittadini italiani, è giusto sperimentare. E, allora, stando così le cose, perché l’emigrazione dal Meridione è un problema? E perché il “resti o torni a casa”, domandato ad uno studente del Sud, è una domanda particolarmente sensibile?

Perché un intero pezzo del nostro Paese ha un bilancio eternamente in rosso. E non è il bilancio fatto di numeri e moneta (anche quello tradizionalmente negativo): è il bilancio delle speranze e dei sogni ad essere col segno meno. Una comunità che investe sui suoi giovani, che li cura (attraverso il servizio sanitario pubblico) e li istruisce (attraverso la scuola pubblica) e che, quindi, mette da parte momentaneamente le sue forze più fresche ma che, alla fine, vede queste stesse forze andar via, verso altri lidi, è una comunità che perde. E il Sud Italia è una comunità perdente da troppo tempo. Certo, esistono molte realtà positive ed attrattive, ciascuna con la propria storia da raccontare; ma il dato complessivo è quello di un continuo emigrare di forze giovani e produttive verso contesti più promettenti. Un Futuro che scappa via, una promessa mantenuta altrove. Bologna, invece, deve la sua forza alla sua straordinaria capacità di riuscire a dare e, allo stesso tempo, a ricevere molto.

La bolognesità è una ricetta fatta di solide tradizioni, tra le quali prevalgono quelle della solidarietà e della tolleranza, elementi che rendono la città delle Torri la perfetta meta per tanti studenti. Studenti che, una volta laureati, decidono di ricambiare quanto ricevuto da Bologna: e lo fanno restandoci e popolandola. Difficile lasciarla, Bologna. A volte, il rapporto che uno studente fuorisede (e quindi non pendolare) con le sue due città (Bologna e quella di sua provenienza) è quello che si ha con una coppia di genitori separati. Il legame rimane per entrambi, si cerca di mantenere un contatto, attraverso un difficile dosaggio di affetti e tempistiche differenti. Oppure, proprio come accade con situazioni analoghe, si arriva a preferire un genitore piuttosto che un altro (se non, addirittura, odiarne e sconfessare uno). Chi mantiene un contatto, un rapporto con la sua città di provenienza, e quindi sente ancora come parte integrante del suo Io tutto ciò che la riguarda, sa che prima o poi dovrà rispondere a quella domanda. Molto spesso la risposta è dovuta all’esigenza per eccellenza: il lavoro. Un bene che il Sud Italia non è mai riuscito a corrispondere per davvero, specie negli ultimi decenni, alle sue giovani generazioni. Ma non è l’unico elemento ad incidere: molte piccole realtà provinciali del Mezzogiorno, proprio perché perennemente in perdita nel bilancio delle risorse umane, non sono in grado di offrire un contesto culturale e sociale fresco, attrattivo e vincente. Come un cane che si morde la coda, come un’equazione senza risultato: si vorrebbe “tornare giù” ma “giù è tutto più difficile” e quindi si “rimane su”. E quindi, inevitabilmente, il cerchio si stringe e ricomincia la contraddizione: se non si “torna” le cose non “cambiano” e quindi, non si “torna”. Sono discorsi che fanno, ormai, parte del nostro vocabolario nazionale, dato che possono essere, con qualche accortezza, applicati anche al rapporto Italia-Estero. Eppure, la loro forza ed influenza è enormemente maggiore in certe realtà meridionali e solo chi ha avuto modo di toccare con mano questo tema è in grado di capire l’entità dell’emergenza. Che fai, resti o torni a casa? Una domanda difficile. La classe politica e, quindi, i cittadini meridionali devono lottare per cambiare la risposta. I giovani meridionali devono riconquistare le loro città. Perché, decidere se restare o meno nella brillante Bologna, è più semplice e bello se è davvero possibile sceglierlo.

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Alessandro Milito

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
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