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Mi hanno chiesto di parlare delle emozioni di quest’anno. Ho risposto di sì anche se non conosco le vostre, e non conosco appieno neanche le mie. Forse nessuno può dire di conoscerle realmente prima di averle consumate del tutto, mangiate fino in fondo. Emozioni che ci divorano, che ci aspettano, che esistono mentre siamo impegnati ad esistere da un’altra parte, emozioni che non sanno chi siamo, emozioni per cui dimentichiamo chi eravamo, emozioni che ritorneranno, un’altra volta, ed emozioni che se ne andranno per sempre insieme a chi ce le aveva portate per la prima volta.
Ma ci sono emozioni però che, a differenza delle altre, sono collettive: non nel senso che non le viviamo individualmente, ma nel senso che le viviamo un po’ tutti e ci fanno assomigliare davanti agli eventi, davanti alle cose straordinarie e anche di fronte a quelle normalissime. Il 2015 ce lo ricorderemo sì per gli incontri fatti, per quelli troppo poco vissuti, per le questioni lasciate in sospeso, per quelle che avremmo voluto riaprire, per i silenzi che abbiamo cominciato, per i discorsi che abbiamo chiuso, ma ce lo ricorderemo anche per una serie di sentimenti diffusi scoppiati nella nostra vita a seguito di più occasioni comuni, come se il nostro corpo fosse invisibilmente legato al corpo del mondo e respirasse e vivesse tramite il filtro di sensazioni che stiamo contemporaneamente vivendo tutti.
Paura: la lunga notte di Parigi ci ha fatto spegnere le luci per un po’. A casa, a lavoro, in tutti i posti di vita, abbiamo messo da parte noi stessi, e abbiamo cominciato a guardare fuori dalla finestra. Una finestra chiusa ovviamente, perché il dolore sarebbe potuto entrarci in casa e dovevamo stare attenti a chi frequentare, a dove andare, a quanto vivere. Una paura che non è durata poi così tanto, presto ci siamo rimessi gli abiti della noncuranza e abbiamo spostato i nostri pensieri altrove. Traghettati dall’idea che meno se ne parlasse, meno la guerra esistesse, abbiamo cominciato il nostro gioco del silenzio.
Immensità: Samantha Cristoforetti va nello spazio. È la prima donna italiana a farlo. Ma non sentiamo di più l’intensità dell’evento per una questione di orgoglio femminista, ne percepiamo di più l’intensità perché stavolta si tratta di uno “spazio” condiviso. Abbiamo immagini, abbiamo collegamenti, c’è un filo che unisce la nostra terrena quotidianità alla quotidianità dell’universo. Dalle foto satellitari siamo infinitamente invisibili, e questo ci regala un senso di leggerezza che ridimensiona la grandezza delle nostre faccende. Mentre osserviamo cosa si vede di noi, ritornano le domande a cui il nostro io più introverso sarà affezionato per sempre: “ Chi siamo?”, “ Dove andremo?”, “Quanto è reale il senso delle cose che proviamo o che crediamo di vivere?”
Silenzio: era il 3 Settembre 2015 e tutti ci siamo dovuti fermare un momento. Fu il giorno in cui il dolore del mondo si tolse definitivamente le maschere e assunse le sembianze di quelle di un bambino disteso senza vita sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. Il capo affondato nella sabbia umida, la magliettina rossa ancora fradicia di acqua e di paura. Fino a quell’istante avevamo avuto tutti le nostre teorie personali sull’immigrazione, tuti avevamo avuto uno o più argomenti con cui sostenere una conversazione sul tema. Ma dopo quella foto le parole si asciugarono bruscamente. Sarebbero riprese a vivere dopo un po’. Ma per una buona ora, quantomeno, siamo stati zitti quanto quella spiaggia, costretta ad ospitare una colpa molto più grande di lei.
Speranza: fede o non fede. Dio o bisogno di Dio, questo è stato l’anno di Papa Francesco. Il viaggio a Cuba, quello in Africa. Parole spese per l’amore libero. Gesti che si sono pronunciati in favore dell’uguaglianza dell’altro. Ognuno ha le sue religioni interiori, le proprie spiegazioni su chi siamo, ma vedere un pontefice più cristallino nella promozione della vita, ha come dato a tutti un senso di fiducia più grande nella vita stessa. Ed indipendentemente da quanto crediamo che dopo di qui ci sia qualcosa, guardare a questo cambiamento può aprire un bisogno di infinito dentro, o semplicemente, può far dare valore ad un mistero che non avevamo considerato.
Mondialità: Expo è stata la parola chiave. Ogni terra è un confine, ed ogni confine un sapore. Culture espresse in un piatto, e piatti intesi come pretesti per scoprire cosa c’è al di là del perimetro che ci vede vivere. File eccessive, contestazioni organizzative, questa però è una polemica che lasciamo al di fuori del recinto delle emozioni. Perché Expo ci insegna che quella fila chilometrica, e assolutamente discutibile, noi siamo comunque disposti a farla e che quindi il senso della curiosità supera sempre quello dell’insofferenza. Che il senso della ricerca, supera quello dell’intolleranza. Uno stupore per il Mondo che si è manifestato a Milano, ma che si realizza di continuo anche nel nostro intimo.
Nostalgia: questa giornata ha a che fare con i bilanci, ed anche con quelli delle emozioni. Nessuno può dire di non essere cambiato. Forse di poco, forse non troppo. Ma ognuno si porta addosso un viaggio da cui esce diverso, più coraggioso, meno forte, più se stesso, meno chi aveva finto di essere stato. Ed anche le emozioni più brutte, quelle più spericolate, anche le emozioni a cui accodiamo tutti i riferimenti negativi di questo anno, ora assumono la forma di una cosa che è stata e che in quanto vissuta può dire di possedere una sua definizione, un suo margine di conoscibilità. Tutto oggi diventa nostalgia. Tutto oggi diventa una cornice, a suo modo pregiatissima, entro cui infilare un quadro di quello che abbiamo capito e di quello che abbiamo capito non capiremo mai. Lo appenderemo da qualche parte, dentro di noi, e continueremo questa collezione del vivere e dell’essere, sempre, spregiudicatamente, noi stessi.

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Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

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