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È stato vivace il dibattito in Senato accademico la mattina del 15 marzo, quando è stata sollevata la problematica della sicurezza all’interno della zona universitaria, o meglio, di come la questione è stata affrontata dall’Ateneo di Bologna. Domenica 6 marzo 2016, un articolo del Corriere della Sera riportava una notizia destinata a fare scalpore: l’Università di Bologna finanzia delle ronde armate nella zona universitaria, per salvaguardare la sicurezza del personale che ogni giorno lavora all’interno della più antica università del mondo occidentale (curioso come il Corriere parli solo dei lavoratori dell’università, senza ricordarsi del fatto che la stragrande maggioranza della popolazione dell’Alma Mater è composta da non lavoratori, ossia da studenti). Il rettore fin da subito ha difeso la sua scelta, affermando che non è giusto qualificare il servizio come ronda, ma piuttosto si dovrebbe parlare di guardiania. Un tipo di precauzione già attiva, in diversi palazzi dell’Ateneo, fra i quali il plesso di via Belmeloro, che ospita buona parte della popolazione studentesca della Scuola di Giurisprudenza, tanto da essere definita dal rettore stesso come una misura di ordinaria amministrazione.
Le voci critiche hanno fatto, giustamente, notare come la guardiania non abbia niente a che vedere con il provvedimento messo in campo da Unibo: le nuove guardie, infatti, non si limitano a presidiare gli edifici, ma pattugliano le strade di via Zamboni. D’altro canto, per quanto riguarda la palazzina di Belmeloro, il servizio si limita al cortile stesso dell’edificio, senza sconfinare sulla pubblica via o sulla pubblica piazza.
Il fatto che le nuove sentinelle dell’Alma Mater siano uomini armati è un controsenso evidente, dato che per legge non possono intervenire direttamente, ma devono limitarsi a segnalare certe situazioni alle forze dell’ordine.
E’ dei giorni scorsi la notizia che alcuni ragazzi dei collettivi che orbitano attorno alla Scuola di Lettere si siano, di fatto, scontrati con alcuni vigilantes, con tanto di lancio di uova e fortissimo clamore mediatico: di certo, il provvedimento non ha aiutato a distendere un clima già teso, per via di altre vicende tristemente note (leggasi, vicenda Panebianco) che non staremo qui ad affrontare, e sulle quali si potrebbero spendere fiumi di inchiostro.
Fatto sta che il messaggio passato con questo provvedimento non è accettabile, anche per il modo in cui la questione è stata posta dagli stessi giornali: leggere il nome della nostra università, associato ad una parola come ronde, è una pessima pubblicità per un Ateneo che dovrebbe avere fra i suoi principali obiettivi quello di garantire una didattica al passo coi tempi ed una ricerca di qualità.
Le ronde universitarie rappresentano il fallimento di un sistema d’istruzione che deve, in primis, educare alla legalità, non imporre la legalità. Sia ben chiaro: non è possibile negare l’esistenza di un problema di sicurezza all’interno della zona universitaria. Le criticità del quartiere sono sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, non deve essere l’università a fornire una soluzione al problema. Ci sono soggetti realmente competenti a garantire la sicurezza e l’ordine pubblico, ossia le forze dell’ordine, le uniche titolate ad intervenire.
Il provvedimento, ad onor del vero, è stato adottato in via sperimentale: il periodo di prova andrà avanti per tre mesi, dopodichè si valuterà se dargli una prosecuzione o meno. Non ci resta che sperare in un ripensamento, o per lo meno in una rimodulazione del servizio: perchè quelle pistole inutili, nella zona uniersitaria, non le vogliamo proprio vedere.

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Enrico Verdolini

Enrico Verdolini

Sono nato marchigiano e sono bolognese d'adozione. Mi sono iscritto a Giurisprudenza, ma ero tentato da Lettere Moderne. Mi piace leggere, ma anche guardare film e serie televisive: sono giurista, ma nerd nel tempo libero.

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