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“Provare ad avvalorare l’ipotesi che Giulio Regeni fosse un uomo al servizio dell’intelligence significa offendere la memoria di un giovane universitario che aveva fatto della ricerca sul campo una legittima ambizione di studio e di vita”. Possiamo leggere queste parole in una nota diffusa dalla famiglia del nostro giovane connazionale assassinato al Cairo, a pochi giorni di distanza dalla sua morte. Giulio Regeni, infatti, era prima di tutto uno studioso di formazione europea, avendo compiuto il proprio percorso d’istruzione a cavallo fra Italia e Gran Bretagna. Era una persona curiosa ed intellettualmente vivace, e la sua vicenda ci insegna molto a proposito dell’importanza e della dignità di qualsiasi forma di ricerca accademica. In una sua lectio magistralis tenuta presso l’Università di Camerino, Elena Cattaneo, docente di fama internazionale e Senatore della Repubblica, ha coniato una bellissima definizione di ricerca: fare ricerca non vuol dire scalare una montagna, ma vuol dire percorrere un deserto in cui non è stata tracciata alcuna strada. E’ il ricercatore stesso che deve trovare la giusta via: incontrerà poche altre persone sul suo percorso. Deve fare attenzione, perchè se il deserto è troppo affollato, allora vuol dire che la strada non è quella giusta. La ricerca, in definitiva, è qualcosa di bello e importante: vuol dire smettere di studiare per sè stessi, e cominciare a studiare per gli altri. Esattamente questa era stata la scelta di vita di Giulio Regeni: Giulio faceva ricerca; aveva smesso di studiare per sè stesso, e aveva cominciato a studiare per gli altri. Si era allontanato dal proprio paese d’origine: anche lui aveva iniziato ad esplorare il deserto, avventurandosi fra le sabbie dell’Egitto, dove nel periodo della Primavera Araba sono fiorite decine e decine di sindacati indipendenti. E’ proprio ad una delle loro assemblee che aveva dedicato il suo ultimo pezzo scritto per Il Manifesto: “Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del paese” scriveva Regeni “mentre l’Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa.” La ricerca, per definizione, è una delle massime forme di libertà.
Ce lo dice la nostra stessa Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento“. I nostri padri costituenti sapevano quanto fosse importante questa affermazione: infatti, Mussolini aveva preteso che i professori universitari giurassero fedeltà al fascismo, e la loro libertà di ricerca era stata calpestata dal regime. Una volta finita la dittatura, era fondamentale ribadire il valore di tale libertà e i costituenti decisero, addirittura, di lasciarla impressa nella nostra Costituzione. Giulio Regeni conduceva un’attività di studio indipendente: il suo lavoro non era sotto il controllo di nessun capo; non doveva rendere conto a nessun potere politico, non aveva limitazioni di sorta. L’autonomia della sua ricerca, tuttavia, si è andata a scontrare con una dura realtà: le si è opposto il regime oppressore di Al-Sisi, che ha strappato la vita di Giulio. Le sono state scaraventate contro le torture e le violenze, che hanno soffocato il suo personale lavoro. Una delle più grandi ingiustizie di questa vicenda, subito dopo il barbaro omicidio, è che la particolarissima tesi di dottorato di Giulio Regeni non potrà mai essere completata: la ricerca di Giulio, in qualche modo, rimarrà imperfetta. “Eppure i sindacati indipendenti non demordono” proseguiva Regeni nel suo ultimo articolo “Si è appena svolto un vibrante incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (Ctuws), tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano.” Il movimento dei lavoratori, tuttavia, non costituisce l’unica sacca di resistenza: le università sono fra gli ultimi baluardi contro il regime di Al-sisi. Ce lo dice anche Roberto Saviano in uno dei suoi ultimi articoli: “Giulio è stato rapito, torturato ed ucciso dal Mukharabat, i servizi segreti egiziani. Il motivo? Gli uomini della sicurezza egiziana sarebbero ossessionati dalle informazioni che circolano negli atenei: è questa l’opinione condivisa da chiunque faccia ricerca in Egitto“.
Alla luce di ciò, dobbiamo chiederci per quanto tempo ancora la ricerca accademica, in Egitto, rimarrà un’attività indipendente. Proprio in nome della libertà dell’università che era cara a Giulio a tal punto da portarlo a sacrificare per essa la vita, noi studenti così come tutto il Paese, ora, dobbiamo essere capaci di compiere un gesto: dobbiamo essere, in primis, noi ragazzi che animiamo ogni giorno le università d’Europa a pretendere che venga fatta luce sulla vicenda di Giulio Regeni. Dobbiamo chiedere che venga compiuta un’ultima attività di indagine, un’ultima ricerca in mezzo al deserto. Dobbiamo mettere da parte ogni paura, per addentrarci anche noi fra le sabbie d’Egitto. Il percorso non sarà facile, non sarà scontato, e potrà ancora una volta cozzare con gli interessi nascosti di un maledetto regime: non ci deve ingannare la folla di ricostruzioni farlocche che troveremo in mezzo alle dune.
Alla fine, se ci mobiliteremo con tenacia e convinzione, potremo arrivare in fondo al deserto, fino alle rive del fiume Nilo, e specchiandoci nella sua corrente finalmente vedremo la limpidezza della verità che abbiamo a lungo cercato.

Enrico Verdolini
Rappresentante di Sinistra Universitaria in Senato Accademico

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Enrico Verdolini

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Sono nato marchigiano e sono bolognese d'adozione. Mi sono iscritto a Giurisprudenza, ma ero tentato da Lettere Moderne. Mi piace leggere, ma anche guardare film e serie televisive: sono giurista, ma nerd nel tempo libero.

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