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Una delle serie tv oramai diventata un fenomeno a livello mondiale, tanto da essere seguita dallo stesso presidente americano Barack Obama – il quale non ha mai fatto mistero di esserne un fan- si chiama House of Cards, “Gioco di carte”. È un thriller politico ambientato nei corridoi del congresso Usa e della Casa Bianca prodotto da Beau Willimon. Si tratta di un adattamento dell’omonima miniserie televisiva prodotta dalla BBC, a sua volta basata sul romanzo più famoso di Michael Dobbs, pubblicato per la prima volta nel 1989, ancora considerato il thriller politico per eccellenza. Incentrato sulla vita e le ambizioni del politico machiavellico Francis Urquhart, il romanzo fu già adattato negli anni Novanta dalla BBC ricevendo un enorme successo di pubblico e critica. Ora, nella più recente versione USA, il Parlamento inglese viene sostituito dal Campidoglio americano per narrare la storia trasversale della corruzione attraverso le vicende della politica statunitense.
Il successo, oltre alla bravura degli attori, alla regia e alla notevole cura dei dettagli, è frutto anche dall’aspetto melodrammatico della storia, fatta di manipolazioni, tradimenti e violenza, degni di un dramma shakespeariano. L’immagine di un uomo, Underwood, che da solo tiene in pugno una nazione con l’intelligenza e l’inganno come uniche armi. Si tratta di un’epica che si fa racconto morale, di una teatralità assolutamente spettacolare, alimentata dal regista che riesce a creare quasi un gioco attraverso il quale il pr04-kevin-spacy-house-of-cards-1.w529.h352.2xotagonista, rivolgendosi direttamente alla macchina da presa, coinvolge lo spettatore, quasi fosse un dialogo a tu per tu.
Quest’ultimo, infatti, verrà coinvolto nei suoi piani, creando un rapporto empatico col protagonista.
Credo che i fan di HoC si dividano in tre tipologie. Quelli che lo guardano per ispirarsi: il telefilm per loro è un manuale di istruzioni per essere un uomo di potere. Quelli che tendono ad esorcizzarlo sostenendo che “i personaggi sono americani, il potere è americano, da noi non funziona così, da noi tale realtà non trova alcun riscontro”. E, infine, quelli che hanno bisogno della “copertura” della politica per raccontare a se stessi e agli altri che non stanno guardando quello che stanno guardando.
Tuttavia, per gli appassionati della serie, bisogna sottolineare le critiche negative su questa terza stagione, definita sia dal New York Times sia da Vanity Fair lenta e monotona.
Appare un Frank Underwood stanco, indebolito e privo d’idee, quasi in balia degli eventi, non riuscendo a piegarli in suo favore come abile calcolatore; stesso discorso per Mrs.Underwood, è opaca e sembra aver perso verve, dimostrandosi non a proprio agio nel ruolo di First Lady: capricciosa a tal punto da chiedere al marito di intervenire in suo favore non rispettando protocolli ufficiali, peggiorando, in maniera drastica, il personaggio che tutti abbiamo amato.
Eppure, nonostante tali critiche, Netflix ha rinnovato House of Cards per una quarta stagione, che farà il suo debutto nel 2016.
Un finale di stagione in cui lasceremo Frank in uno stato di transizione. Claire ha lasciato il Presidente, che stava lottando la battaglia della propria vita per la nomination dei Democratici. Dal lato positivo, Doug è ritornato al suo fianco.
Per quanto mi riguarda, la vera domanda è: “Come farà Frank a “funzionare” senza Claire?”
Aspetteremo, con l’inizio del 2016, le sorprese che questa serie continuerà a regalarci.

 

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Simona Cartia

Simona Cartia

Nata a Siracusa, frequento il terzo anno di Giurisprudenza @Unibo. Perseguitata dalla noia di una vita ordinaria, mi rifugio nel frenetico mondo del cinema e della serie tv.

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