L'UNIversiTÀ

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SE EQUITALIA MUORE

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A pochi giorni dal via libera in CdM alla Legge di Bilancio 2017, il premier Renzi si è espresso ad una nota emittente radiofonica chiedendo che si evitassero le polemiche ad personam per entrare nel merito della riforma.
“Mi piacerebbe” – ha aggiunto Renzi – “trovare qualcuno dell’opposizione che dica: ‘Io sono contro Renzi, ma sull’abolizione di Equitalia io sono con lui'”.
Ciò che salta all’occhio, almeno per noi piccoli contribuenti, è l’abolizione, o presunta tale, di quello spettro che ha attanagliato le vite di milioni di italiani, Equitalia. Facile dire di cosa si tratti: Equitalia è la longa manu dell’Agenzia delle Entrate, nata sotto l’idea di due note menti, Visco e Tremonti. È stata l’applicazione che però è andata un po’ a rotoli, creando un effetto vessatorio tra contribuente e Agenzia.

Equitalia non è l’ente a cui spetta il controllo della lotta all’evasione, compito dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza. Per difetto il ruolo principale di Equitalia è quello di andare a risolvere i contenziosi legali o sul pagamento delle imposte.
Sul piano strettamente materiale Equitalia invia delle cartelle di pagamento ai contribuenti che non hanno versato l’imposta nei modi e nei tempi dovuti.
Questi interventi consentiranno una maggiore autonomia gestionale dell’ente di riscossione.
La domanda che sorge spontanea è: che fine faranno milioni di “padri di famiglia” dopo l’abolizione di Equitalia? Nessun problema, il nostro Premier ha pensato a tutto! Si andrà ad incorporare il personale in “esubero” all’interno dell’Agenzia delle Entrate con il medesimo inquadramento contrattuale. Ragionando per conseguenze non andremo lontani. Si, verrà eliminato l’odiato spettro che prende il nome di Equitalia con una ricollocazione del personale ma la riscossione sarà sempre dietro l’angolo.
Quindi qual è l’obbiettivo perseguito da Renzi con l’abolizione di Equitalia? Rimpinguare le tasche dello Stato in un lasso di tempo relativamente breve, di fatto, conosciamo il motto: Pagare tutti, pagare subito.
Come? Scorporando dalle cartelle di pagamento more ed interessi che verranno quasi azzerati, potendo pagare sola la multa o l’imposta con una maggiorazione fissa del 3%.
Tutto ciò riuscirebbe a far rientrare nelle casse dello Stato 4,2 milioni di euro.

Sulla manovra si è espresso anche il Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, spiegando che non si tratta assolutamente di un condono, perché si pagherá il valore al netto della cartella di pagamento.
Lo stesso circa il tema scottante della voluntary disclosure che si focalizzarà sulla speranza di far emergere tale ricchezza. Ricchezza su cui bisognerà pagare delle imposte. Sempre Padoan ha aggiunto che tale riforma non è da qualificare come mero spot elettorale, affermando che potrà apportare solo del bene al Paese.

Ad entrare sempre più nel dettaglio è stato, invece, il viceministro dell’economia, Enrico Zanetti, spiegando come e cosa si dovrà pagare. Pagheremo l’imposta per intero, mentre verranno scomputate le sanzioni e gli interessi di mora, plus che fa lievitare l’importo delle cartelle stesse di oltre il doppio.
Si ragiona sui tempi ed i modi per “aderire”, preso atto che non si tratta di elidere presidi, ma di andare a rideterminare il carico fiscale sugli evasori.

Ma l’UE? Fermi tutti! Si assisterà ad una “rottamazione” delle cartelle di pagamento, ma con le dovute precisazioni. L’Iva, imposta di matrice europea, rimarrà. Ad oggi non vi è stato un accordo tra Italia ed Unione Europea.

Provando a tirare le somme, la riscossione andrà nelle mani dell’Agenzia delle Entrate e cercando di snellire le procedure che portano alla mera riscossione, lo Stato vedrà rimpinguate le proprie casse; anche per questa volta Renzi avrà regalato mezzo sorriso all’italiano medio.
Giuseppe Pisciotto

Storia di un sogno

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La prima volta che una casa editrice mi ha risposto (alle mie tonnellate di mail) proponendomi un contratto di pubblicazione, ho pensato immediatamente alla mia maestra di italiano.
Mi ricordo ancora quando alle elementari provava a leggere i miei compiti in classe.
“Dai Mattia non puoi scrivere delle cose del genere…hai una scrittura indecifrabile, sembri analfabeta” oppure “Hai dei seri problemi in italiano, meno male che hai la mamma insegnante, fatti dare qualche ripetizione”. Bene, ho 20 anni, faccio l’università e l’anno scorso ho scritto un libro. È nato quasi per scherzo, volevo “buttare” su carta alcuni fatti che mi sono successi nel corso di questi anni; un po’ come fosse un diario. Anche per questo ho deciso di non dare un nome al protagonista, ma di chiamarlo semplicemente X. Dopo aver fatto leggere ai miei amici alcune pagine dei racconti che avevo scritto, uno di loro mi disse: “Minchia zio, ma spacca sta roba, sembra l’incrocio tra Fight Club e Trainspotting!!” In effetti, nonostante avesse usato un linguaggio alla Club Dogo, non aveva tutti i torti: una storia che racconta le vicende di un antieroe (alla Irvine Welsh) nauseato dalla società dei mass media alla Studio Aperto, dell’apparenza alla Fabrizio Corona e del consumismo della famiglia del Mulino Bianco; che come unica “via di fuga” trova rifugio nella violenza. Come storia poteva funzionare! Così decisi di iniziare a scrivere seriamente arrivando ad un certo punto a delle paranoie alla “Misery non deve morire”. Finita la fase di stesura (non avendo una lira per pagare un editor decente) dovetti correggere tutte le bozze e devo ammettere che è veramente un lavoro ignobile; difatti se riuscivo a martellarmi i genitali rileggendo le cose che io stesso avevo scritto…non riesco immaginare la flemma di un’altra persona nello svolgere lo stesso lavoro. Finito questo martirio, iniziava la parte più complessa: inviare l’elaborato alla casa editrice. Non oso pensare come appaiano queste mail ai vari direttori editoriali: Salve, sono il signor nessuno, ho scritto un manoscritto, se avete del tempo mi farebbe piacere se gli deste un’occhiata. Per questo la maggior parte delle proposte vengono cestinate senza neanche essere lette. Il primo responso che ricevetti recitava più o meno così: “Il testo mi piace ma non è in linea con la nostra linea editoriale, contiene troppe parolacce”. Proprio così, coloro che avevano pubblicato 50 Sfumature di Grigio sostenevano che il mio manoscritto fosse troppo volgare. A dir la verità lo era, ma dovendo scrivere un libro dove i protagonisti sono miei coetanei, lo slang diventava indispensabile per una narrazione coerente. In seguito ricevetti oltre 30 proposte di pubblicazione, tutte a pagamento, della serie: “Sei bravo ma rimani sempre il Signor Nessuno, quindi devi pagare 2000/3000 euro come “contributo”, così se il tuo libro non vende, noi non finiamo con il culo per terra”. Più che case editrici sembravano delle copisterie. In sostanza, puoi essere bravo quanto vuoi ma: “servono i soldi per fare i soldi”. Dopo un’infinita serie di proposte assurde (ricevevo telefonate anche alle nove di sera per sapere se avevo valutato le loro offerte oppure no), finalmente mi contattò un’editore per un contratto di E-book (tutto a sue spese). Come dire, non avevo ricevuto tutta la scatola ma almeno un cioccolatino lo avevo preso. Quando vidi il primo resoconto vendite non ci potevo credere: 120 copie in un mese! Forse neanche Dan Brown aveva venduto così tanto! Non male calcolando che per la stesura del libro mi è bastato dare un’occhiata a qualche pagina del mio vecchio diario di quarta superiore. Per la versione cartacea, invece, decisi di sfruttare l’autopubblicazione: no editori cagacazzo, no commissioni e 50% sulle vendite (al posto del 5% di un normale editore). Adesso non pensiate sia semplice intraprendere la strada dello scrittore, devi lavorare duro e devi accettare dei veri e propri colpi di karate in faccia; però se siete così pazzi da crederci, allora prendete un pezzo di carta e cominciate a buttare giù i vostri pensieri se pensate di avere qualcosa da dire.
I sogni sono la linfa della nostra vita, non costano nulla, sono gratis e se qualcuno cerca di infrangerteli, te ne puoi fottere perché sono l’unica cosa che non potranno mai portarti via. Se volete veramente sapere cosa succede quando realizzi un sogno, sostenetemi, acquistate il mio libro e sarete felici di averlo fatto.

Mattia Fossati

Dei modi di onorare la memoria di Giulio Regeni

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Non conoscevo Giulio Regeni né la sua attività di ricerca, prima che divenissero tristemente note. Scosso dalle sue vicende – come tanti, specie se legati da una qualche comunanza nel mondo della ricerca – ho letto ex post qualche suo contributo, qualche sua cronaca anche di natura giornalistica dall’Egitto.
Non sono nemmeno un granché simpatetico con certe premesse ideologiche dell’attività di Regeni, lo dico con sincerità ma anche con grande rispetto, perché premesse ideologiche nell’attività di studio possono esserci, sono legittime, e anche benvenute quando chiaramente postulate, come Regeni faceva, da studioso serio.
Anche alla luce di queste premesse, l’impressione che ho ritratto dall’approccio col lavoro di questo sfortunato giovane uomo – e che si unisce al naturale sconcerto e all’indignazione per la vicenda di vita – è di grande dignità ed onestà. Regeni era un vero ricercatore, si poneva delle reali domande su effettivi, drammatici problemi, e indagava genuinamente alla ricerca di possibili chiavi di lettura, con passione. Era una persona che, da par suo, e come ogni ricercatore dovrebbe fare, analizzava i fenomeni cercandone una comprensione diretta, ed anche sfidando certe vulgate ridicole: la prima, catastrofica, abnorme, è proprio nell’etichetta sloganistica delle “primavere arabe” che ne accompagnerà ogni ricordo, come copertura posticcia di fenomeni ben più complessi e delicati, complessità e delicatezza di cui Regeni, in vita e in morte, ci ha rammentato.
Il primo modo per onorare la memoria di Giulio alla luce di tutto questo è, per me almeno, contestualizzarne così, con rispetto vero e profondo, l’attività, cercando di comprenderne i commendevoli moventi e le serie implicazioni.
Il secondo modo – ovvio ma da rimarcare – è ricercare la verità e la giustizia postume che Giulio merita nella chiarezza della sua morte, e che meritano la sua famiglia, i suoi amici, la sua comunità di colleghi, da ultimo il suo paese nativo ed anche l’Egitto, che era amato Paese d’adozione, come il Governo italiano mi pare stia facendo e come deve continuare a fare, anche nei necessari consessi internazionali. Una serie di persone, i familiari almeno, hanno diritto a questa verità e a questa giustizia.
Il terzo modo per onorare la memoria di Giulio – e questo è anche un personale auspicio politico – è quello di riflettere senza infingimenti sulla vicenda di Regeni per farne tesoro a livello di comunità. E’ ormai chiaro che Giulio è stato torturato, non è stato ucciso per odio privato o criminalità comune. C’è orrore e sdegno per questa vicenda, ma permane un paradosso dietro questo pur sincero sentimento collettivo, che si percepisce: si è già ricordato in questi giorni, ma è giusto rimarcarlo, che è l’Italia per prima a non riconoscere, nel proprio codice penale, un formale reato di tortura.
Ciò nonostante la ratifica più di venticinque anni fa della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984; ciò nonostante in sede parlamentare si siano succedute, e si siano abortite, decine di disegni di legge in materia; ciò nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia condannato l’Italia della scuola Diaz di Genova espressamente per vicende di tortura, e si appresti a condannarla ancora per quelle di Bolzaneto, a memoria di quello che sappiamo può accadere nelle nostre caserme e nei nostri istituti penitenziari, dove affidiamo l’incolumità di un cittadino allo Stato o a chi per lui (il caso Cucchi è qui, ancora aperto, mentre scriviamo, ad interrogarci).
Sarebbe un bel gesto, mentre ci indigniamo giustamente e con forza per vicende insieme vicine e lontane, riflettere alla luce di queste cose su quello che ci accade intorno, anche più vicino, e indirizzare produttivamente le nostre reazioni: è stato già proposto da qualcuno, e qui solo ci si associa, che per commemorare il nome di Giulio si chiami Legge Regeni qualcosa di così atteso ed importante come una legge italiana sul reato di tortura, in memoria di un giovane italiano torturato qui ed ora, e perché si possa dimostrare, più che con tanta retorica, che dagli orrori della vita si può talvolta apprendere davvero.

Leonardo Pierdominici
research associate European University Institute, Firenze, e Università di Bologna

Questa candela rimarrà accesa per Giulio

Piazza Santo Stefano, Bologna
Piazza Santo Stefano, Bologna

Amnesty International è un’organizzazione non governativa, una delle principali organizzazioni mondiali che si occupano di diritti umani.
É nata nel 1961, tra un brindisi e un articolo di giornale: l’avvocato inglese Peter Benenson, indignato dalla notizia della condanna a sette anni di reclusione per due studenti portoghesi, colpevoli di aver brindato alla libertà in un caffè di Lisbona – nel periodo del regime dittatoriale di Antonio de Oliveira Salazar – ha deciso di “accendere”, per la prima volta, la candela di Amnesty International.
Il 28 maggio del 1961 il settimanale londinese The Observer ha pubblicato la sua lettera aperta “The Forgotten Prisoners”. Benenson ha cominciato quella lettera con le seguenti parole: “Aprite il vostro quotidiano un qualsiasi giorno della settimana e troverete la notizia di qualcuno, da qualche parte del mondo, che è stato imprigionato, torturato o ucciso poiché le sue opinioni e la sua religione sono inaccettabili per il suo governo”. Inoltre, ha esortato i lettori a esercitare pressione sui governi: Se a protestare è una persona sola l’effetto è limitato. Se sono in molti l’effetto è miracoloso”. É stato proprio questo “appello per l’amnistia” a segnare la nascita di Amnesty International.
Del simbolo dell’associazione, ormai emblema della protezione dei diritti umani nel mondo, è lo stesso Benenson a chiarircene il significato: “In passato i campi di concentramento e altri buchi infernali del mondo erano immersi nell’oscurità. Oggi sono illuminati dalla candela di Amnesty, una candela avvolta dal filo spinato. Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: ‘Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità‘”.
Peter Benenson é scomparso il 25 febbraio del 2005 in seguito ad una polmonite, ma la sua candela è rimasta accesa.
La candela amnestiana oggi arde in 150 Paesi, contando più di tre milioni di membri attivi nella difesa dei diritti umani.
La luce della candela deve continuare a illuminare la vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano scomparso la notte del 25 Gennaio al Cairo e ritrovato ucciso il 4 febbraio in un fosso di Giza. L’autopsia ha confermato che Giulio, prima di ricevere il mortale colpo al collo che ha provocato la rottura di una vertebra cervicale, fosse stato sottoposto a torture continuative per nove giorni.
Chi lo ha rapito? Dove è stato tenuto prigioniero? Quali sono stati gli esecutori materiali delle torture sul giovane e quali, ancora, i mandanti? Perché? Su che cosa stava lavorando Giulio? Chi ha costruito le discordanti versioni rilasciate dopo la sua morte? Chi e secondo quali modalità sta indagando sul caso? Come stanno collaborando con le nostre autorità?
Attualmente in Egitto per essere torturati – dichiara il portavoce della sezione italiana Amnesty International Riccardo Noury – non serve avere un background come quello che si era ipotizzato, essere un agente o un presunto collaboratore di un qualche servizio segreto, tesi comunque ritenuta inverosimile, ma è sufficiente fare ricerca o occuparsi dei diritti umani. Segni come quelli sul corpo di Regeni sono stati ritrovati tante altre volte su corpi egiziani.
La sua uccisione ha messo in evidenza la situazione di drammatica repressione e violazione dei diritti umani in Egitto. Il Cairo è avvolto da una cappa di violenza e di paura. “Da quando Al Sisi è salito al potere, le organizzazioni per i diritti umani hanno registrato centinaia di casi di sparizioni e oltre 1700 condanne a morte e decine di migliaia di arresti. La tortura è praticata abitualmente nelle stazioni di polizia e nelle carceri, compresi i centri segreti di detenzione. La libertà d’espressione e manifestazione pacifica sono pesantemente limitate e i difensori dei diritti umani e i giornalisti subiscono abitualmente persecuzioni e processi irregolari”.
Basti pensare alla campagna promossa dalla tv di Stato egiziana che invita a “non aprire il tuo cuore allo straniero perché una parola può salvare una Nazione”, evidenzia Riccardo Noury.
Ovviamente non può essere Amnesty International a condurre le indagini, ma quello che chiediamo è che le autorità egiziane forniscano una ricostruzione veritiera dell’omicidio, portando avanti un’inchiesta approfondita, rapida e indipendente.
Il direttore generale di Amnesty International, Gianni Ruffini, a tal proposito, ha invitato il Ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, e l’amministratore delegato di Eni spa, Claudio Descalzi, chiedendo al primo, attraverso l’ambasciata italiana al Cairo, e al secondo, in virtù degli accordi commerciali intercorrenti tra Italia ed Egitto, di fare il possibile per sollecitare le autorità egiziane.
Inoltre, insieme a la Repubblica Amnesty International Italia ha lanciato una nuova campagna nazionale “Verità per Giulio Regeni” per non permettere che l’omicidio del ricercatore italiano cada nel dimenticatoio. Uno striscione di dieci metri sarà esposto fuori dagli uffici della Sezione Italiana e sarebbe auspicabile che questo gesto, se pur simbolico, si estendesse ai Comuni italiani, alle Università e ad altri centri di cultura del nostro Paese.
Si è, inoltre, tenuto un presidio davanti all’Ambasciata d’Egitto a Roma per chiedere verità sulla scomparsa di Giulio.

Scuola di Giurisprudenza, Palazzo Malvezzi - Bologna
Scuola di Giurisprudenza, Palazzo Malvezzi – Bologna

Noi, gruppo universitario Amnesty International (GG089) di Bologna, in qualità di cittadini, di attivisti, ma anche e soprattutto in quanto studenti, come lo era Giulio, chiediamo verità sul caso. Ci siamo mobilitati, lasciando in tutte le aule studio di Bologna post-it recanti il messaggio “Verità per Giulio Regeni”; abbiamo raccolto e divulgato informazioni tramite social network. Abbiamo registrato anche un video, che contiene pensieri, speranze e paure di studenti universitari come noi, come Giulio, per raccontare quanto accaduto.
Insomma, nel nostro piccolo, speriamo e pretendiamo che, anche attraverso le nostre attività, Giulio non venga dimenticato. La nostra sete di verità e giustizia è forte, come lo deve essere la luce di Amnesty International nell’oscurità di questo momento storico.

Maria Morbiducci
Attivista e tesoriera del gruppo giovani 089 Amnesty International

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