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Alicante
Un’arancia sul tavolo
il tuo vestito sul tappeto
e sul mio letto tu
dolce presente del presente
Frescura della notte
calore della mia vita.

(Jacques Prèvert)

Spiegare una poesia è sempre commettere un delitto crudelissimo. È come scucire tutto d’un tratto un vestito per capire da dove comincino le rifiniture e di che colore sia la stoffa interna. Ci sono cose che si possono smembrare per guardarle meglio e altre che sarebbe più opportuno forse lasciarle così come sono, intatte. Perché anche le poesie così come i nostri stati d’animo se analizzati rischiano di morire. Capire il perché di una strofa talvolta equivale all’inutilità di capire un nostro atteggiamento. Esiste, è. Senza un significato forzato, senza una parafrasi di sottofondo.
La poesia che ho scelto, infatti, non la spiegheremo. Sarebbe senz’altro sciocco tanto è chiara. Ma la leggeremo cercando di dare un volume più intenso alle parole che ha dentro. Fino alla dimensione scolastica, ero prettamente convinta che la poesia fosse orpello retorico, fosse rima contro rima, fosse una canzonetta ben fatta che cercasse l’approvazione del suo pubblico. Uscita fuori dal dovere di leggerle, ed entrata dentro il piacere di leggerle per volere, ho capito che la poesia era tutt’altro che questo. È, anzi, nella maggior parte dei casi, il tentativo di una persona come noi di fotografare un momento che gli ha donato la sensazione di una sensibilità estrema. Come se il poeta, mentre vive, mentre cucina, mentre ama, si dovesse fermare un attimo per mettere insieme i pezzi di quello che gli è successo.
Siamo ad Alicante, in Spagna. Che è una città di mare. Il poeta ha probabilmente finito di consumare un momento di passione con la donna di cui velatamente ci parla e si mette a descrivere con la semplicità tipica di chi ha nella testa emozioni più forti, e non può badare al resto, l’ambiente circostante.
Sul tavolo c’è un’arancia. Ancora intera o sbucciata o mangiata per metà? Non lo sappiamo. Ma l’arancia ci dà il primo colore presente nella stanza: l’arancione. Gli occhi del poeta cadono ora in basso e sul tappetto c’è il vestito di lei. Il fatto che sia sul tappeto ci dà l’idea della fretta con cui devono essere entrati nella stanza. “nel mio letto tu”. Tu è il nome più bello con cui ci possiamo sentire chiamati da un altro. Perché indica scelta, appartenenza. Sei tu in mezzo agli altri. È un pronome che definisce l’idea del rapporto esclusivo. Il poeta sceglie di chiamare così questa donna. Che ora dorme nel suo letto. Mio e tuo. Lei che è sua dorme in un letto che gli appartiene come lui appartiene a quella donna in quel momento.
Dolce presente del presente. Presente, come sappiamo, non vuole dire solo ora, adesso. Ma presente in italiano vuol dire anche dono. Quindi in un solo verso il poeta riesce a fare due dediche con due significati diversi ma con parole uguali. Può voler dire: donna che rappresenti l’attualità piena di questo momento presente. Ma può voler dire anche: donna che sei il dono di questo tempo che sto vivendo.
Frescura della notte, calore della mia vita. Anche a noi sembra di sentirlo il caldo che quella notte deve esserci ad Alicante. Le persiane completamente aperte e le tende bianche che non si muovono perché non c’è un alito di vento. Eppure quella donna è il fresco, perché è il modo di non pensare a quel caldo. Ed è anche però il forte calore della vita, che invece è fredda . Perché non è sempre estate ad Alicante, ma soprattutto non è sempre estate nella nostra esistenza. E nell’inverno, nelle cadute, nelle sere di prova, quella donna è comunque il riparo, la protezione, è l’idea di un amore che copre tutte le cose.
Ecco, non abbiamo appreso nulla di più rispetto alla lettura inziale, ma abbiamo sicuramente vissuto con altri occhi l’esperienza che in certi momenti ci è venuto naturale fare nostra. Le poesie non parlano quasi mai di cose estranee al nostro vissuto, ma quasi sempre nel raccontarcele ci danno intuizioni nuove per comprendere quelle che erano accadute anche a noi stessi. Non leggetele con snobismo, né col pregiudizio di non poterle mai comprenderle fino in fondo. Leggetele come foste voi i destinatari delle cose che dicono, e come foste voi gli scrittori che hanno bisogno di destinarle a qualcuno.

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Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

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