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Pensare, ripensare, arrabbiarsi un po’, spingersi oltre: scrivere. Lasciare che un pensiero si faccia lettera e poi pagina, comporta una certa responsabilità e perché no: una certa arroganza. Esprimere una propria opinione, farla uscire dal perimetro della propria riflessione personale e renderla idea pubblica è indice di presunzione. La presunzione, più o meno velata ma sempre presente, che ciò che venga scritto possa essere letto, riletto e apprezzato. O criticato, ma comunque ritenuto meritevole di attenzione. E niente è più bello che soddisfare questo desiderio nascosto (ma neanche troppo) e stringere un patto con i propri lettori: scrivere per questa rubrica di opinioni con sincerità e onestà intellettuale, senza dimenticare di divertirsi un po’.

Il bello di “navigare” (mai come in certi casi il verbo è così adeguato) per il web e, in particolare, per i mari tormentati di Facebook, è che capita di imbattersi in alcune terre abitate da strani e vivaci abitanti. Terre straniere in cui si rimane subito affascinati dalla forza e dal calore dei pensieri e delle opinioni sparati sotto forma di commento, proprio lì, in fondo ad una foto o ad un link. Oggi questo allegro navigare mi ha portato nella terra di Vittorio Sgarbi, re incontrastato di un reame molto particolare. L’argomento di “discussione” erano dei…beh, qui devo dare ragione a Re Vittorio: dei nonsocosa dietro le Torri. Promettendomi di andare di persona a vedere queste nuove opere d’arte sotto le carissime Garisenda e Asinelli, mi sono avventurato nella giungla dei commenti, armato di (in ordine sparso): una notevole nullafacenza, una pesante dose di masochismo e un po’ di sana e sincera curiosità.

L’argomento, più volte rilanciato, altro non era che Bologna o meglio: il declino della città e il suo degrado. Bologna: una città allo sbando, sporca, che ha venduto la sua anima a schiere di punk, figure metà umane e metà canine. Una Sodoma 2.0, città di perdizione tappezzata di scritte oscene e profumata da dubbie fragranze. La “città universitaria per eccellenza” non sarebbe altro che un grande bluff o meglio, un ricordo di un glorioso passato ormai lontano. E allora mi sono chiesto: ma è davvero questa la Bologna che conosco, la mia Bologna che mi accompagna da più di quattro anni? La mia intima risposta è stata immediata: definire Bologna sporca, non solo esteticamente ma interiormente, nella sua anima, vuol dire non aver capito questa città. Certo, la premessa è chiara e semplice: una città può non piacere e si può non entrare in sintonia con essa. Una città ha il suo lato oscuro, le sue carenze e le sue contraddizioni: ognuno di noi decide quale compromesso stringere, in base alle proprie esigenze e al proprio stile di vita. Bologna in particolare è intrinsecamente fatta per non piacere a tutti: è nella sua natura. La sua è la bellezza tipica di quei caratteri forti, dotati di una decisa e profonda personalità che può spiazzare o affascinare. Una bellezza discreta, intima, che non assale e non sconvolge ma conquista poco a poco. Non avendo particolari e celebri monumenti noti al grande pubblico eccetto le Torri, il Nettuno e Piazza Maggiore (e scusate se è poco eh!), Bologna si affida ad altri e più raffinati modi per incuriosire e farsi apprezzare. Bologna è prima di tutto Università e l’Università è Bologna: un binomio inscindibile, che si basa su secoli di cultura e convivenza tra mondi diversi. Università intesa come cultura, gusto per la conoscenza e il saper vivere bene, in armonia con quanto appreso e conosciuto, anche grazie alle storie e alle esperienze di chi vive e si lascia catturare da questo ambiente. Bologna è tolleranza e apertura intelligente che arricchisce se stessa e fa arricchire. Una città con la dimensione ideale, piccola e grande al punto giusto, sicuramente piena e profonda. Bologna è vita in continuo fermento, agitata dalle speranze di tanti che la vivono e sperano di farla propria.

Basare il proprio giudizio sulla città avendo come unico punto di riferimento la Zona universitaria e, in particolare, la sua contraddittoria Piazza Verdi, può essere fuorviante. Così come non si giudica una casa solo per il suo chiassoso cortile all’aperto senza aver apprezzato il suo salotto e le sue stanze più nascoste. Molti giudizi negativi provengono proprio da quegli studenti che sono la risorsa più preziosa, gli abitanti di una vera e propria città nella città. Questo è senz’altro indice di un disagio che sarebbe sbagliato e ingiusto sottovalutare. Sarebbe nocivo soprattutto per la città stessa negare come siano stati abbandonati a se stessi e al degrado più disarmante alcuni dei suoi luoghi più vitali: voler bene a Bologna vuol dire affermare ciò con fermezza e cercare di migliorare, ciascuno nel suo piccolo, lo stato attuale. Eppure la “Dotta” è in grado di offrire alcuni angoli di rara raffinatezza, pezzi di città che stupiscono per la loro eleganza e armonia. Senza dimenticare i colli, vera e propria cornice che abbraccia la città e che fa sentire un po’ di “quell’odor di Toscana”, per citare una celebre canzone dedicata a Bologna. Dimenticare tutto questo e non considerarlo nel giudizio complessivo, significa semplicemente limitarsi alla superficie, che sarà forse chiassosa e disordinata, ma rimane pur sempre un primo e superficiale strato di una realtà più complessa.

Ma forse è inutile cercare di spiegare quanto e cosa ha da offrire Bologna e, magari, il giudizio di chi è stato generosamente adottato da questa città non è (e non può essere) imparziale e obiettivo. A ciascuno la sua Bologna. Io, per quanto mi riguarda, tengo ben stretta la mia.
E vado a vedere questi famosi marmi sotto le Torri. Chissà che non ci scappi un’invettiva e non mi unisca al reame di Re Vittorio…

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
Alessandro Milito

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