Ognuno di noi ha la sua opinione, un intimo collage formato di frasi e parole lette e sentite qua e là; ma anche di conoscenze, esperienze personali, letteratura, filmografia. Un’opinione propria, maturata autonomamente, o forse suggerita da qualcos’altro o addirittura imposta da qualcun’altro. Un’opinione che varia in base alla propria religione, alla propria esperienza e visione politica. Un’opinione: ognuno ha la propria, anche il più distratto.

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C’è la sensazione che si sia (faticosamente) arrivati ad una sorta di resa dei conti per quanto riguarda le cosiddette unioni civili. Una sfida che non lascia indifferenti e che chiama all’appello ciascuno di noi, in una doppia dimensione: quella della sfera etica ed intima del singolo ma anche quella politica e sociale. L’argomento delle unioni civili è tornato sotto i riflettori dopo che l’Italia è stata condannata con una sentenza pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte, con una pronuncia dai torni fortemente evocativi, ha criticato il nostro Paese per la mancata tutela dei diritti delle coppie dello stesso sesso. L’Italia, e in particolare il parlamento italiano, malgrado il costante e attivo operato di alcune corti nazionali (tribunali, corti d’appello e Cassazione), sono stati accusati di aver mantenuto al riguardo un’inerzia legislativa ormai insostenibile. L’Italia viola la Carta europea dei diritti dell’uomo nel momento in cui non riconosce i diritti delle coppie omosessuali. A questa pronuncia, letta (e forse già dimenticata) da pochi, si sono aggiunti i più noti referendum irlandese (che ha legalizzato il matrimonio tra omossessuali) e la recente riforma del diritto di famiglia fatta in Grecia. Ancora: oltreoceano ha fatto discutere la storica pronuncia della Corte suprema degli Stati Uniti che ha praticamente imposto a tutti gli stati membri di garantire i matrimoni gay. In questo contesto è nato quindi l’impegno del Presidente del Consiglio Renzi di emanare al più presto una legge che possa riformare la materia (un impegno in ritardo: la legge era stata promessa entro il 2015).

E siamo quindi arrivati all’ormai celebre disegno di legge Cirinnà, dal nome della senatrice del Partito democratico prima firmataria (altro caso in cui un parlamentare, prima d’ora poco noto, acquisisce notorietà grazie ad un suo controverso provvedimento: l’atto e la persona che si fondono in etichetta). La maggior parte dei dibattiti che ruotano attorno a questa proposta di legge si concentrano su uno solo dei suoi aspetti: la cosiddetta stepchild adoption (qualcuno potrebbe borbottare contro l’utilizzo di un ennesimo inglesismo-politico. La scelta è tra questo è “adozione del figliastro”: a ciascuno la sua)

La senatrice Monica Cirinnà (Pd)
La senatrice Monica Cirinnà (Pd)

L’opinione che si è diffusa di più è che questo disegno di legge permetterebbe l’adozione di bambini a coppie omosessuali, andando a generare di fatto un nuovo tipo di famiglia: quella con genitori dello stesso sesso. Il punto divisivo per eccellenza è quindi questo, tanto che l’intero provvedimento pare aver perso peso ed interesse in confronto ad esso: una parte è diventata superiore al tutto e lo ha fatto proprio. Ora: non intendo criticare il fatto che il dibattito si sia polarizzato solo su questo elemento e che, la grande informazione, abbia tralasciato di approfondire significativamente l’intero disegno di legge. Certo, sarebbe stato più utile e “istruttivo” che l’attenzione venisse concentrata su una visione di insieme della proposta ma il mondo dei se e delle possibilità non va a braccetto con quello della politica, specie quando essa si fa dibattito di massa e, in definitiva, democrazia. Anzi, è bello che un tema così importante diventi oggetto di una discussione così sentita e analizzata sotto diversi livelli e sfumature. I temi etici coinvolgono e appassionano in misura maggiore di una legge di stabilità e, nonostante non siano affatto meno complessi (anche dal punto di vista tecnico-giuridico), permettono a ciascuno di noi di pensare e dire la propria (o, almeno, lasciare l’illusione di farlo). Anche il mero impatto visivo di due (ideali) piazze, contrapposte pacificamente tra loro è un toccasana per la democrazia e per la Politica stessa. Non può che farci bene il ricordare come e in che modo la politica parlamentare possa incidere direttamente sulla Politica con la p maiuscola e, in definitiva, sulla vita di ciascuno di noi. Insomma: è bello vedere una partecipazione democratica e civile così sentita, al di là dello schieramento scelto.

Un dibattito di questo tipo però rischia di cadere in alcuni errori. Anzi, uno dei principali ostacoli per una legislazione sulle unioni civili in Italia è sempre stato il dibattito stesso. Mi spiego: il tema, che già si presta facilmente a faziosità e divisioni, è sempre scivolato dal piano della discussione su una riforma da fare (o non) a quello della crociata, della guerra santa.

A giant crowd of pilgrms attend the mass celebrated by Pope John Paul II 19 October 2003 on St Peter Square at the Vatican for the beatification of Mother Theresa. Thousands of pilgrims flocked to the Vatican just six years after the death of the nun they called the "Saint of the gutters". AFP PHOTO PATRICK HERTZOG
Il Vaticano

Per intenderci: l’arena del “mondo cattolico” vs “i gay” può essere comunicativamente evocativa ma non sposta di un millimetro la questione delle unioni civili, non arricchisce la nostra consapevolezza come società. I vari pasdaran del primo schieramento si dicono credenti di una religione che fa del rispetto del prossimo e della tolleranza uno dei suoi pilastri fondamentali; nonostante questo, avanzano pretese di monopolio etico e culturale che uno stato sinceramente laico non può e non deve accettare. Quando affermano di difendere la famiglia danno per scontato che esista un unico modello familiare, un’unica istituzione immutata nel tempo; oppure. Sono consapevoli dell’esistenza di altri modelli di vita familiare. ma considerano questi come delle degenerazioni pericolose, in grado di mettere in crisi i “veri” valori della società. Questa pretesa di superiorità morale e di difesa delle “radici” culturali nazionali è solo l’anticamera di una pericolosa e antidemocratica intolleranza.  Eppure questo mondo merita rispetto, anche e soprattutto perché rappresenta una parte importante della nostra società. La Chiesa cattolica, nonostante i profondi cambiamenti degli ultimi decenni, rappresenta comunque un patrimonio importante della nostra cultura nazionale: non capirlo è un errore, negarlo è ottusità. Per questo fanno parte del medesimo mondo intollerante quelli che tacciano di bigottismo e pochezza culturale chi partecipa ai vari family day e chi si dichiara contro le unioni civili. Anche costoro si ritengono portatori di una verità assoluta, unici detentori di un modello culturale vincente. La “spocchia” intellettuale, il ritenersi sempre e comunque all’avanguardia e politically correct, sono alcuni dei peccati mortali di una certa sinistra nostrana. Questo atteggiamento va sempre criticato in quanto è perfettamente speculare a quello stesso mondo ultraconservatore che vorrebbe contrastare.

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Una delle piazze della manifestazione per le unioni civili del 23 Gennaio

Personalmente, da laico, ritengo inconcepibile che una democrazia come la nostra non abbia ancora affrontato un tema così importante ma, al contrario, abbia perseverato nell’evitarlo e nel rinviare qualsiasi scelta. Fino ad oggi ha sempre prevalso il partito del Benaltrismo: “ci sono cose più importanti: prima il lavoro, la casa, le tasse…”. Questo modo di pensare è indice di un conservatorismo cieco e più infido, in quanto utilizza temi caldi per rinviarne altri. Il vuoto normativo, che si traduce in un vuoto di tutela, è una non scelta e, in quanto tale, è immensamente peggio di una decisione anche contraria all’idea delle unioni civili stesse. Sarebbe stato molto più coerente e giusto affrontare la situazione di petto, con franchezza e onestà intellettuale ma, per lo meno, considerarla per davvero in tutta la sua interezza. Invece siamo arrivati al punto in cui sono le scelte di altre nazioni e altre corti che ci costringono a definire l’agenda politica, con un senso di (nostra) profonda vergogna.

Ancora, da laico, ritengo una barbarie che le coppie omosessuali non abbiano gli stessi diritti di chiunque altro. Stare a discutere di presunte “lobby gay” che vorrebbero condizionare la nostra politica nazionale o imporre un nuovo modello valoriale è, semplicemente, delirio misto a complottismo di bassa lega. Naturalmente non bisogna semplificare eccessivamente una questione notevolmente complessa. Non bisogna dimenticare che la nostra Costituzione recita che la famiglia è un’istituzione naturale fondata sul matrimonio. Lasciando da parte le diverse interpretazioni che si possono dare di queste parole, è evidente che permettere un’unione o un matrimonio omosessuale comporta automaticamente che la coppia assuma (giuridicamente) il rango di famiglia: con tutto quello che ne consegue per quanto riguarda i figli e i diritti sugli stessi. Personalmente non ho nulla in contrario ad estendere giuridicamente il concetto di famiglia anche a coppie dello stesso sesso ma, del resto, comprendo la complessità che comporta il riformare un aspetto così sensibile per la nostra società. Una società che però è cambiata notevolmente da quella conosciuta dai costituenti del 1948. Una società che si evolve in continuazione e con essa anche la sua Costituzione materiale. Il fatto è che si tende troppo facilmente a confondere il piano del matrimonio come sacramento e quello del matrimonio come rapporto giuridico. Certo, considerare il matrimonio come un rapporto giuridico può essere poco romantico e poco stimolante…eppure ci permette di comprendere con maggior chiarezza quale sia il punto della questione. Lo Stato, se laico e fondato sul principio di uguaglianza, non può permettere che solo alcuni dei suoi cittadini possano unirsi e formare l’istituzione familiare. Permettere che questa possibilità possa essere colta solo da eterosessuali vuol dire rendere l’istituto della famiglia portatore (e privilegio) di un unico modello culturale quando, invece, la famiglia c.d. “di stampo tradizionale” è solo uno dei tanti modelli possibili. Permettere le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso vuol dire arricchire la società e non intacca minimamente alcuni valori che anzi, hanno tutto il diritto di continuare la loro legittima affermazione. Legiferare in tal senso vuol dire ampliare la nostra democrazia, non restringerla o privarla di identità. Proprio per questo bisogna essere cauti nell’utilizzare l’idea dell’amore quando si discute di una legge: questo può portare solo confusione e scarsi risultati pratici.

Invece, l’incredibile e attuale bellezza, in continuo rinnovamento, dei principi fondamentali della nostra Costituzione fa parte del nostro patrimonio comune. Un patrimonio per il quale è giusto essere fieri.

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Articolo 3 della Costituzione italiana

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]” (articolo 2)

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.” (articolo 3, secondo comma)

Forse, l’opinione da ascoltare è proprio questa.

Alessandro Milito

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
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