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“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”

L’articolo 33 della nostra Costituzione esordisce con queste parole: quest’articolo ed il succcessivo numero 34 parlano di università, scuola ed istruzione come parte essenziale della nostra società.
L’università, dunque, non è soltanto una comunità, fatta di insegnanti, ricercatori, studenti: università è prima di tutto sinonimo di libertà.
La mattina del 20 gennaio ero nell’aula studio di via Zamboni 27. Stavo per cominciare il lavoro della mattinata, quando al mio computer ho letto un titolo dell’Huffington Post che mi ha lasciato di stucco: “Pakistan, strage di studenti”. La notizia si è diffusa molto rapidamente, grazie ai giornali online e ai social: alle nove e mezza del mattino (le cinque e mezza in Italia) quattro terroristi avevano fatto irruzione nell’università di Charsadda, nelle aule e nei dormitori del campus, facendo strage di ragazzi e ragazze. L’attentato è stato poi rivendicato dalla frangia pakistana dei talebani, come ripercussione per una serie di operazioni antiterrorismo condotte ai confini con l’Afghanistan.
Il Pakistan non è nuovo a questo genere di attentati: già nel dicembre 2014, i talebani del gruppo Ttp assalirono una scuola di Peshawar, frequentata da ragazzi fra i 6 ed i 16 anni figli di militari pakistani, uccidendo quasi 150 persone.
Avevo i libri già sul tavolo di fronte a me, pronti per l’ennesimo ripasso, ma non riuscivo a cominciare senza prima leggere fino in fondo l’articolo. Era successo tutto da pochissime ore, e ancora non si avevano informazioni dettagliate. Mi sono guardato attorno: la biblioteca di Scienze Giuridiche era affollata come sempre nel periodo d’esami. C’erano un sacco di miei amici e di persone che conosco di vista: qualcuno preparava il prossimo appello di diritto civile, o di canonico, mentre i più diligenti del quinto anno stavano scrivendo la tesi.
Mi sono rimesso a studiare un po’ sovrappensiero. Mi ci è voluto qualche tempo prima di trovare la giusta concentrazione. E’ passata qualche ora, e mi sono incontrato con un amico per pranzo assieme. Prima di riprendere lo studio ho controllato al computer se c’erano novità.
Ho letto un secondo articolo. L’università di Charsadda è un ateneo di piccole dimensioni, che conta grosso modo 3.000 studenti. Il giorno dell’attentato, l’intera comunità era in festa: l’ateneo è intitolato a Bacha Khan, leader pakistano della non-violenza che seguiva l’esempio del più famoso Mahatma Ghandi. Per l’evento, era prevista una lettura pubblica dei testi delle sue poesie, a cui stavano partecipando all’incirca seicento persone. Non conoscevo Bacha Khan, ma da una breve ricerca nella Rete scopro che si battè in vita contro la scissione del Pakistan dall’India, essendo favorevole al mantenimento di un unico stato in cui potessero convivere la popolazione musulmana e quella indù.w
Sono tornato a leggere i miei appunti di diritto tributario: stavo ripassando una delle parti più complesse del programma, quella sul calcolo del reddito di impresa. Nel giro di poco tempo mi sentivo già stanco. Mi sono fermato un attimo a metà pomeriggio, per riprendere le forze. Ho preso uno snack alle macchinette, ed ho acceso di nuovo il pc. Un professore di chimica dell’università pakistana è morto in un estremo tentativo di difendere i suoi ragazzi. Ha preso una pistola, ha detto agli allievi di chiudersi in un’aula, e ha cercato di difenderli. Attaccare l’università vuol dire attaccare un’incubatrice di innovazione. Vuol dire colpire un’idea ancora prima che nasca, nel momento stesso in cui sta prendendo forma.”L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”: una libertà che si concretizza nel momento stesso in cui il professore accompagna la crescita dei suoi studenti, una libertà che è stata stroncata ancora prima di spiccare il volo.
Quel professore non ha difeso il suo laboratorio, non ha difeso le sue provette, non ha difeso la sua ricerca. Quel professore, negli ultimi istanti di vita, ha pensato a mettere in salvo il vero frutto del suo sforzo: i suoi ragazzi, le giovani menti alle quali ha cercato di trasmettere la sua passione e l’esperienza degli studi. Quella del professore è stata, insomma, un’ultima difesa della propria libertà, e noi tutti dovremmo essergli grati per questo eroico gesto.

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Enrico Verdolini

Enrico Verdolini

Sono nato marchigiano e sono bolognese d'adozione. Mi sono iscritto a Giurisprudenza, ma ero tentato da Lettere Moderne. Mi piace leggere, ma anche guardare film e serie televisive: sono giurista, ma nerd nel tempo libero.

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