L'UNIversiTÀ

Angela Nicolazzo

22 anni, di cui 3 trascorsi nella giungla delle Scienze Politiche, Angela, tra le altre cose, affronta il perenne jet lag emotivo e psicologico tra Bologna e Dublino grazie alla musica e alla scrittura.

YES, EQUALITY! Voci dal referendum irlandese

L’Irlanda – scrive Charles Haughey – è il posto in cui cominciano favole strane, e ogni lieto fine è possibile. Ce l’ha fatta, “history has been made” lo scorso 22 maggio, quando per la prima volta al mondo il voto popolare ha acconsentito al riconoscimento costituzionale (art. 41) dell’istituto del matrimonio al di là di ogni discriminazione di sesso. Ho concluso il mio Erasmus a Dublino un giorno dopo, con tutto l’orgoglio e l’emozione di aver lasciato un paese migliore di quello che avevo trovato nove mesi prima.
Dare giustizia alla portata rivoluzionaria dell’evento è possibile solo raccontandolo attraverso la voce di Rory O’Connell, 21 anni, studente di lingue, amico e collega presso il Trinity College. Senza filtri e pregiudizi, un’intervista a Bologna, dove lui stesso ha trascorso l’Erasmus qualche anno fa, una prospettiva interna su cosa è cambiato e cosa cambierà, in Irlanda e nel mondo.

Caro Rory, si dice che il ritmo che l’Irlanda ha impresso alla promozione dei diritti civili non abbia eguali nel resto dei paesi liberali in Europa. L’opinione pubblica è cambiata davvero così radicalmente in così poco tempo?
Effettivamente sì, le cose cambiano rapidamente in una piccola isola come come la nostra.
Solo nel 1993 omosessualità era un reato penale, e lo stesso divorzio fu istituito nel 1996 quando il referendum legislativo passò con uno stretto margine. Per le coppie omossessuali è riconosciuta dal 2010 la civil partnership, e per allora era tutto ciò che il mondo gay potesse ottenere. Credo che se il referendum dello scorso maggio fosse stato fatto solo cinque anni fa, difficilmente la proposta sarebbe passata. Gli stessi sondaggi erano sfavorevoli per più del 60%: nell’arco di pochissimi anni, come è evidente, le cifre si sono praticamente invertite.

Come spieghi un cambiamento così radicale nell’isola che, come l’Italia, è un paese fortemente cattolico?
In realtà anche il rapporto con la Chiesa Cattolica è cambiato nel corso degli ultimi vent’anni.
Negli primi anni novanta è esplosa un’ondata di risentimento e disillusione nei confronti del clero. In quel periodo vennero alla luce notizie di pratiche di discutibile eticità legate al mondo ecclesiastico, primo tra tutti un’usanza generale di rinchiudere segretamente in istituti simili a prigioni donne che lì avrebbero dovuto portare avanti le gravidanze al di fuori del matrimonio, o episodi di abusi sessuali ormai noti anche altrove. Abbiamo smesso di accettare aprioristicamente ogni verità professata dai prima intoccabili “uomini di Dio” quando l’Irlanda ha iniziato ad aprirsi al mondo, il commercio è diventato internazionale e con più soldi nelle tasche gli irlandesi prima emigranti hanno iniziato a investire di più in cultura e istruzione. E’ stata un pò una sfida, quella di mostrarsi al mondo come qualcosa di differente dall’ immaginario mondo rurale, fatto di contadini e pastori, e culturalmente sempre più di un passo indietro rispetto a un Europa che avanzava.

Gli anni novanta hanno quindi evidentemente preparato il terreno per le rivoluzioni sui diritti civili e politici degli ultimi tempi. Ricordo di esser stata particolarmente sorpresa dalla reazione del vescovo di Dublino, qualche giorno prima del referendum, nei confronti della campagna “YES EQUALITY”…
Esatto! Lui aveva pubblicamente abbracciato un potenziale esito positivo come un “wake up call” per la chiesa irlandese. Anche questo, vedi, è un chiaro segno del bisogno di ripulire un’immagine infangata dai recenti scandali, tanto che persino numerose suore e preti hanno espressamente incoraggiato la causa. Onestamente, non credo che per la gente di Dublino, e dell’Irlanda in genere sia stato il cattolicesimo l’elemento determinante per la scelta.

Tu sei nato e vissuto in Irlanda, e hai conosciuto bene l’Italia per il tuo anno in Erasmus e altre esperienze nel Bel Paese. I tratti in comune, specie in materia religiosa, sono tanti, eppure i risultati in termini di equità di genere non dicono lo stesso…
In Irlanda, specie nelle grandi città come Dublino, la fiducia nelle istituzioni clericali è andata gradualmente dissolvendosi, e nessuno più presta particolarmente attenzione alle proibizioni e alle condanne di atteggiamenti amorali. Si crede semplicemente alla dottrina, un pò per spiritualità, un pò per attitudine sociale. L’Irlanda ha rotto i ponti con la sua tradizione anglosassone dalla guerra civile e la Dichiarazione di Indipendenza dal Regno Unito nel 1922. E’ relativamente recente, la sua gente notorialmente più giovane e per la sua posizione geografica ed economica, incentivata a rinnovarsi per preservare l’autonomia e la centralità conquistata nemmeno un secolo fa. Lo dimostra il fatto che la stessa proposta di referendum nell’Irlanda del Nord è stata rigettata dal parlamento di Belfast (Regno Unito) che è ancora troppo segnata dalle cicatrici delle diatribe religiose e politiche interne per occuparsi di un tema così divisivo e sensibile.

Quali sono i freni al cambiamento in Italia allora?
L’Italia ha senza’altro una sua storia più fortemente radicata nella tradizione e nella cultura cattolica, è quindi geneticamente meno avvezza al cambiamento e alla rivoluzione, e, cosa decisiva in questo caso particolare, il tasso di invecchiamento della popolazione è sempre più alto, scoraggiando inevitabilmente il rinnovamento. In Italia ogni cambiamento in italia prende più tempo. E il cattolicesimo c’entra poco. Il problema sono i giovani.
Ad esempio, trovo che una città come Bologna sia tanto liberale quanto Dublino da questo punto di vista, mentre magari spostandoci altrove le cose cambiano.
Inoltre, gli stessi ragazzi italiani in Irlanda, nei gruppi su Facebook quali “Sopravvivendo a Dublino” avevano espresso il pieno sostegno alla causa.
E infine, la politica ha il suo peso. Come in altri grandi paesi, seppur liberali come Francia e Regno Unito, è più probabile riscontrare l’estremismo nelle propagande populiste, mentre L’Irlanda è per costituzione centrista e moderata, il conflitto contemporaneo non si è generato attorno a un nemico interno ma nei confronti dell’Inghilterra, antica dominatrice. Il senso nazionale è più coeso, le differenze tra le regioni non sono marcate come altrove.

Eppure la stessa Irlanda ha espresso il suo NO referendario all’aborto. Se guardiamo alla conquista dei dirititi civili come un percorso progressivo, è difficile non accorgersi delle ambiguità dell’attitudine del popolo irlandese nei confronti del cambiamento sul fronte del diritto alla libera scelta..
Ecco, l’aborto. Questo è un altro punto particolarmente controverso, è vero, e molti di noi si sono chiesti ripetutamente perche molti siano pronti ad accettare i matrimoni gay e negare l’aborto. Credo fortemente che la differenza sia da ritrovare nella profonda diversità delle due campagne in termini di comunicazione. La campagna per il YES era tutta basata sul concetto di equality, love, e quindi è chiaro che un messaggio positivo risulti più efficace e più di impatto rispetto allo slogan “give people a choice” attorno a cui si raccoglievano i sostenitori della legalizzazione dell’aborto. Le promesse in gioco erano decisamente meno ridondanti di un disegno di società tollerante e aperta, che è poi l’immagine che la nuova Irlanda vuole trasmettere di sé.

Mentre dall’altra parte le bandiere multicolore sventolavano in nome dell’equità, di diritti e responsabilità della società civile, gli oppositori della nuova svolta hanno a stento raggiunto il 38% del sostegno popolare. Perché i NO claimers si sono rivelati incapaci di porre un freno al percorso di sensibilizzazione del paese alla causa omosessuale? In termini pratici, era davvero radicale il cambiamento che si ostinavano a combattere?
Sostanzialmente, nulla è cambiato, se non un riconoscimento formale in Costituzione del matrimonio in quanto legittima unione civile a prescindere dal genere. Difatti, le civil partnership consentivano per legge già alle coppie omosessuali di intraprendere le procedure di adozione, svuotando di credibilità tutte le campagne che facevano leva sulla necessità di difendere il ruolo tradizionale della famiglia e di contrastarne le ripercussioni sull’educazione infantile. Risollevavano cioè tematiche già superate, tentando – con scarsi risultati – di mettere in discussione conquiste che persino i più scettici avevano ormai imparato a tollerare.

E i risultati hanno soddisfatto le aspettative pre-elettorali?
In generale, l’affluenza alle urne è stata eccezionalmente enorme tanto che molti giovani anche sopra i 18 hanno esercitato il loro diritto di voto per la prima volta, registrandosi appositamente per l’occasione (a differenza dell’Italia, il diritto di voto non è esercitabile automaticamente al compimento della maggiore età). C’era da aspettarselo: a differenza dei temi più strettamente economici e istituzionali, le questioni relative ai diritti civili hanno, più o meno direttamente, un forte impatto sulla everyday life di ogni cittadino. Il risultato del 62% è stato sensazionale, di gran lunga superiore a qualsiasi altra iniziativa elettorale negli ultimi tempi. C’era grande fiducia, ma nessuno immaginava, specie a pochi giorni prima del voto, che il gap tra i si e i no fosse così ampio.

Irlanda e Italia: che impatto avrà il cambiamento nella cultura dell’isola, e al di fuori?
Ovviamente in Irlanda, nel breve termine, non ci si può aspettare che l’intolleranza possa essere del tutto estirpata. Siamo ancora lontani, e la gente continuerà a non accettare ciò che non riesce a comprendere. Ma è stato un grande passo, un precedente con una forza propulsiva enorme, una sfida che tocca alle nuove generazioni cogliere.

The fight to spread the love has just started. Everywhere, now, it is time to change. E’ questo, imparando la lezione irlandese, il grande augurio da rivolgerci tutti.

Joe Caslin, murales pro referendum in George Street, Dublin.
Joe Caslin, street art pro-referendum in George Street, Dublin.

 

Dublin, as I know it

Le antiche leggende sui lepricani, folletti abitanti dei boschi delle terre irlandesi, narrano di grandi tesori nascosti e custoditi alla sorgente degli arcobaleni che accompagnano le frequenti piogge. Quello che il mito non racconta, e che chiunque abbia vissuto quei posti il tempo necessario a coglierne l’incanto sa, è quanto la realtà, in questa piccola, verde isola superi l’immaginazione.
Perchè l’Irlanda non nasconde niente, e mostra, pur discreta, la meraviglia dei suoi paesaggi e della vita che racchiude a ogni viaggiatore l’abbia incrociata sul suo cammino.
Descriverne la magia attraverso gli occhi di uno studente Erasmus non rende giustizia alla pienezza di ogni esperienza che qui si vive. Ogni tentativo di non risultare banale è come scattare una fotografia di quegli spettacoli in cui la natura si oppone a ogni riproducibilità, e come una fotografia, il ricordo e il valore è proporzionale al tempo e alla distanza che la separa dall’istante che cattura.
Raccontare l’Irlanda oggi, mentre la vivo, mentre i giorni scorrono, è parlare a metà di un’avventura ancora non finita, guardare indietro e realizzare a pieno, solo adesso per davvero, che bisognerebbe esser folli a lasciarsela sfuggire, almeno prima di aver condiviso con lei il tempo di due semestri accademici nella città che dell’Irlanda è l’anima.

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