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Cosa sta succedendo al cinema italiano? Domanda difficile ed impegnativa che coglie alla sprovvista lo spettatore più attento, mentre stranito si chiede se sia ancora possibile girare film decenti nel Bel Paese. Interrogativo lecito che ha cominciato a circolare tra le folle dopo l’uscita di Lo chiamavano Jeeg Robot, esordio al fulmicotone del bravissimo Gabriele Mainetti e vincitore di sette statuette del David di Donatello. Ora una risposta certa sembra sempre più vicina. Veloce come il vento è una rivelazione sorprendente, un film splendido e commovente intriso di adrenalina e una giusta dose di ironia tipicamente romagnoleggiante.
La storia è incentrata sulle vicende di Giulia – l’esordiente e brillante Matilda de Angelis – giovane promessa delle corse a quattro ruote e del turbolento rapporto con suo fratello maggiore Loris – uno straordinario Stefano Accorsi – ex campione delle corse, ma ormai tossicodipendente. Vibrante di passione per la velocità estrema e affranta nel profondo a causa della disastrosa condizione famigliare, Giulia dovrà vincere una sfida più grande di lei in cui la posta in gioco non sarà solo l’onore e la gloria della vittoria. Il giovane Matteo Rovere dirige un film avvincente ed emozionante in cui l’azione frenetica delle rombanti gare automobilistiche si amalgama perfettamente con scene più rilassate, che ritraggono la quotidianità non sempre felice della famiglia De Martino. Rovere delinea con grazia il rapporto amore-odio tra i due fratelli, spesso in lite tra loro ma nel profondo ancora legati da un amore fraterno che nel corso del film li condurrà ad una riappacificazione definitiva. Giulia, malgrado la giovane età, porta avanti la famiglia tra pesanti sacrifici e profonde incomprensioni, mentre Loris, rovinato dalla tossicodipendenza e dalla depressione, è una persona ingestibile che procurerà grossi problemi alla stabilità della famiglia. Distrutto nel corpo ma ancora lucido nell’anima, Loris conserva dentro di sé lo spirito e lo straordinario talento del pilota che fu, un brillante campione detto “il ballerino”, che si rivelerà fondamentale per la risoluzione degli eventi.
Un film che pone l’accento sull’importanza del sacrificio e dell’impegno, armi necessarie per l’ottenimento di qualcosa, ma anche su quello del riscatto e, se pur in maniera ridotta, della redenzione. Argomenti nobili trattati da Rovere in maniera decorosa e che ricordano in parte le atmosfere che contraddistinsero la saga cinematografica di Rocky, le condizioni sociali del portagonista e la scalata verso il successo. Un film che sa anche divertire e strappare molte risate grazie alla tipicità equilibrata ed intelligente della cadenza romagnola, marchio di fabbrica di molti personaggi, permettendo allo spettatore di immergersi maggiormente nella storia narrata.
Veloce come il vento è un’opera decisamente riuscita che, nonostante la troppa prevedibilità in certi passaggi, riesce a trasmettere così tanta energia e passione da tenere il fiato sospeso dall’inizio alla fine. Film come questi potrebbero essere la giusta risposta alla macelleria culturale che il cinema italiano propone da ormai trent’anni, un cinema profondamente afflitto da una crisi di idee e innovazioni ma che, puntando su giovani talenti volenterosi come Rovere e Mainetti, sarebbe in grado di superare. Forse il cinema italiano sta riacquistando una coscienza propria, manifestando i primi segnali di un profondo e radicale miglioramento che vogliamo vedere.

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Alberto Nisi

Alberto Nisi

Bergamasco di nascita ma non di tradizioni, troppo incline al cambiamento e alla curiosità per le cose nuove. Studio lingue e ho scelto Bologna per il suo enorme potenziale, il suo fascino e le sue possibilità. Sono un assiduo lettore ma vivo per la musica e per il cinema, che sono le mie vere “malattie”. Sogno di scrivere, di suonare in pubblico o di entrare nell'entourage di un film, ma c'è ancora molta strada da fare.
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