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Che cittadini saremo?
Il 2015 ci ha lasciato con un carico di incertezze. Incertezze che ci accompagnano da anni e che percepiamo nel dibattito pubblico e privato. Allo stesso tempo, l’anno appena passato ha aggiunto un bagaglio di nuove e cupe domande, lasciandoci con un retrogusto di inedita insicurezza. Un anno violento, il 2015, specie nei suoi mesi finali caratterizzati da quello che da più parti è stato etichettato come “l’attacco all’Europa” e dall’inizio di una “nuova guerra al Terrore”, per quanto nuova possa essere ritenuta la degenerazione di un sanguinoso conflitto, quello siriano, che imperversa ormai da cinque anni.
Un anno in cui più volte è stata rilanciata l’immagine del continente europeo minacciato, dell’Europa sotto attacco da parte di forze incredibilmente più forti e influenti dell’Unione stessa. Un’Ue che ha assistito con grande partecipazione alla “tragedia greca” e ha vissuto la crisi di un popolo mai fino ad ora percepito come così vicino, nel bene e nel male. Un’Unione (anche) di popoli in crisi di identità e incerta sul suo stesso futuro.
Il 2016 si apre con questa gravosa eredità e con gli sviluppi di quanto è già iniziato nei mesi precedenti. Fare pronostici è sempre difficile e l’impresa diventa davvero ardua se questi riguardano gli orientamenti principali che la società seguirà e vivrà.
Un’impresa che rischia di diventare superflua e velleitaria visti i continui cambiamenti che un mondo, multipolare e complesso come quello attuale, serba quotidianamente.
Eppure è possibile individuare sin da ora due temi che saranno al centro dell’agenda comune. Due temi strettamente legati tra loro, in grado di influire sul nostro essere cittadini, italiani ed europei. Il 2016 sarà l’anno in cui, in un modo o nell’altro, verranno riscritti i termini della nostra cittadinanza.

Il referendum costituzionale, annunciato per il mese di ottobre, rappresenterà la fase conclusiva di un lungo e articolato processo parlamentare e politico che ha come obiettivo la modifica della Carta del 1948. Una riforma sulla quale ha puntato tutto il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, collegando il suo futuro politico alla vittoria del Sì al referendum confermativo.
Un referendum che non richiederà alcun quorum come in quelli a cui siamo più abituati (ad essere chiamati) a partecipare. Sarà una lotta che vedrà contrapposti due schieramenti ben distinti e che avrà come oggetto una proposta, alla quale si risponderà con un sì o con un no.
Il referendum (specialmente quando riguarda la Costituzione) è lo strumento di democrazia diretta per eccellenza, la chiamata del popolo alle urne per effettuare una scelta che è ritenuta fondamentale per il percorso politico della Nazione. Esso rappresenta una chiamata di responsabilità del singolo in quanto cittadino e membro di una comunità che si riunisce per scegliere il proprio futuro.
Al di là del “romanticismo repubblicano”, la cruda realtà politica rappresenta un Presidente del Consiglio che punta tutto sul referendum, rendendolo di fatto un voto di fiducia collettivo nei suoi confronti. Non deve stupire: il personaggio politico di Matteo Renzi si basa sulla sua capacità innovatrice (o presunta tale) e sul suo fermo decisionismo. “Portare a casa” una riforma del sistema costituzionale, in grado di snellire il processo decisionale e rendere più efficiente quello legislativo, è indubbiamente un risultato di un certo rilievo. Il tutto senza dimenticare i tentativi che sono stati effettuati più volte da altrettanti leader forti (Craxi, D’Alema, Berlusconi) e desiderosi di lasciare un segno incisivo sulla struttura dello Stato e, in definitiva, la sua storia. Superare il cosiddetto “bicameralismo perfetto”, ovvero la completa parità di competenze tra Camera e Senato, ritenuto ormai inadeguato, è uno degli obiettivi che la politica italiana si pone da decenni senza però riuscire a raggiungerlo.
Il segretario del Pd vorrà quindi sondare il suo consenso con il referendum confermativo e, in caso di vittoria, potrebbe agevolmente continuare la sua carriera politica puntando alla riconferma per un ulteriore mandato. Un leader attento alla sua popolarità ma che necessita di un successo elettorale almeno pari a quello delle elezioni europee del 2014.
Matteo Renzi, infatti, nonostante la sua scalata al Partito democratico basata su una schiacciante vittoria alle primarie, non ha raggiunto Palazzo Chigi con un successo elettorale, ma con un voto del “vecchio” Parlamento del 2013. Sulla carta, una procedura perfettamente legittima in una Repubblica parlamentare. Sul piano politico, una debolezza che il Presidente del Consiglio deve colmare con una massiccia chiamata ai seggi. Un referendum che si colora quindi di un significato particolare.

Eppure, senza dimenticare tutte queste sfumature, è necessario tenere ben presente la vera posta in gioco. Proprio perché in questo caso non sarà necessario un quorum in particolare, nessuno farà una campagna basata sull’astensione e sul “restare a casa” ma, al contrario, ciascuno degli schieramenti cercherà di portare più cittadini a votare. Quale che sia la scelta che dovesse prevalere, è fondamentale che essa venga presa consapevolmente e sulla base di una sincera partecipazione democratica. Cambiare la Costituzione significa cambiare le regole del gioco collettivo che ci rende Nazione. Alterare il patto sociale che ci unisce non è e non può essere una scelta effettuata sottovoce. E non bisogna essere esperti di diritto per capire l’importanza della decisione da prendere.
Per questo motivo ognuno di noi dovrà ritagliare un piccolo spazio del suo tempo per cercare di capire, o almeno intuire, la proposta di cambiamento, evitando di affidare il proprio voto alle valutazioni altrui. Sarà necessaria un’attenta opera di divulgazione anche e soprattutto da parte della Rai, che dovrà svolgere appieno la sua funzione di servizio pubblico, in maniera imparziale, lasciando spazio alle diverse interpretazioni.

La speranza è che, questa importante momento politico e sociale, venga accompagnato da una dimostrazione di democrazia sincera e autentica. Se dovesse vincere il No, realisticamente seguirà un momento di riflessione di molti anni prima che qualcuno riprovi a modificare la Costituzione. Se dovesse vincere il Sì, questa verrà cambiata sostanzialmente e la sua modifica non potrà che incidere sulla nostra cittadinanza e sulle nostre istituzioni.

L’altro grande tema che si imporrà nel 2016 è una matassa ingarbugliata che purtroppo conosciamo molto bene. Sarà l’anno in cui tutti i nodi che riguardano l’Unione europea dovranno venire al pettine. Il disegno comunitario ha raggiunto il suo minimo storico. Mai fino ad ora era apparso così impotente ed inadeguato rispetto al tempo presente, quasi incapace di emozionare e tracciare il futuro dei prossimi decenni.
Prima sicura meta da raggiungere, ora problema da risolvere: l’integrazione europea vive un momento di ripiegamento e reazione; conquiste faticosamente ottenute, come la moneta unica e la libera circolazione, vengono oggi considerate come ostacoli e addirittura minacce.
L’ accordo di Shengen, quel miracolo politico e diplomatico che è riuscito ad abbattere frontiere secolari (causa di decine di sanguinose guerre) soffre l’imponenza del fenomeno migratorio che mette sotto pressione tutte le cancellerie europee. Da più parti si suggerisce la sua sospensione o, addirittura, la sua soppressione.
La Casa comune europea, esempio di unione di democrazie e popoli diversi tra loro ma con un patrimonio di valori in comune, si irrigidisce sotto l’attacco di cellule terroristiche sempre più attive. Ad essere messo in discussione è il modus vivendi europeo con le sue garanzie di libertà e il suo Stato sociale e da più parti viene sollevata un’inquietante domanda: possiamo permetterci tutto questo in “stato di guerra”? E se è veramente una guerra contro il terrore quella che stiamo affrontando, non è necessario cambiare alcune leggi per garantire maggiore sicurezza?

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Sono interrogativi inquietanti che si aggiungono ad un’altra domanda, diversa ma non meno importante e potenzialmente pericolosa: il Regno Unito deve continuare ad essere parte dell’Unione europea?
Il Premier David Cameron sta cercando di rinegoziare il rapporto tra il suo Paese e Bruxelles, nella speranza di presentarsi al referendum (da lui stesso promesso) sulla permanenza nell’Ue con la migliore proposta possibile. Anche lui, come gran parte dell’establishment britannico, sa benissimo quali effetti devastanti potrebbe avere un’uscita dall’Unione, condannando di fatto il Regno Unito all’irrilevanza politica: un esilio dorato per la City di Londra. Eppure, la tradizionale insofferenza di questo popolo verso la maggiore integrazione europea ha raggiunto un punto di non ritorno e richiede una scelta definitiva.
A questo punto ci si trova dinnanzi al dilemma: qual è il prezzo del Regno Unito? Quanto siamo disposti a pagare per Londra? Accettare le condizioni di Cameron vorrebbe dire contribuire ad “annacquare” il disegno europeo, con il rischio che altri stati “scettici” (Polonia, Repubblica ceca e altri) possano fare lo stesso ricatto un minuto dopo. Rifiutarle vorrebbe dire perdere un pezzo fondamentale dell’Unione, un’enorme risorsa culturale oltre che economica e aprirebbe un pericoloso precedente.
La Costituzione, l’Unione possono sembrare concetti vaghi e poco concreti. Probabilmente per certi aspetti lo sono, specie quando vengono utilizzati per fini che hanno poco a che fare con la loro natura. La percezione dei loro effetti sulla vita di tutti i giorni può apparire flebile se non inesistente. Eppure, con un occhio più attento, non è difficile notare come un loro cambiamento possa influire sulla vita di tutti i giorni. Prendere un aereo, atterrare in Germania, oltrepassare il confine senza bisogno di alcun passaporto, sedersi in un bar e pagare con la stessa moneta: sono piccoli grandi gesti che ormai possiamo (ancora) fare senza problemi. Sono gesti rivoluzionari, e la loro forza sta proprio nell’essere diventati quotidiani, scontati. Essere chiamati ad una consultazione che regolerà il futuro politico del proprio Paese, votare Sì o No, contare per davvero nel processo decisionale al di là delle proprie origini, condizioni sociali e competenze professionali: è la forza utopica della Democrazia.
Questi sono valori che, silenziosi ma presenti, ci condizionano e formano il nostro essere cittadini.
Sono valori per i quali varrà la pena lottare nel 2016.

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
Alessandro Milito

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