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Si è parlato a lungo del recente approdo in Italia della piattaforma statunitense di streaming Netflix che vanta la produzione di serie TV del calibro di quelle partorite dalla rinomata HBO. Una di queste è sicuramente Narcos, la cui prima stagione da dieci episodi è ideale per chi non ama le serie interminabili e prolisse, e che si distingue dalle solite biografie sui criminali.
Tutto ruota intorno alla figura del più famoso narcotrafficante della storia, il colombiano Pablo Emilio Escobar Gaviria (interpretato da Wagner Moura). Le vicende che hanno portato un semplice contrabbandiere di Rio Negro ad insinuarsi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, nelle maggiori sfere del potere internazionale diventando il più ricco e temuto produttore e trafficante di cocaina, sono narrate in modo realistico e fedele dalla efficace voce fuoricampo dell’agente della DEA -Agenzia Federale Antidroga statunitense- Steve Murphy (interpretato da Boyd Holbrook). Questi, insieme all’agente Javier Pena (Pedro Pascal) fa parte del ‘Bloque de Busqueda’, un’unità speciale della polizia colombiana, la quale rappresenta l’unica speranza che all’epoca ci fosse qualcuno di onesto effettivamente intenzionato a porre fine all’espansione di Escobar.
Ciò che affascina è innanzitutto l’autenticità dei dialoghi, ottenuta mantenendo la recitazione in lingua originale (Spagnolo) e doppiando unicamente le parti in principio in Inglese. La veridicità è inoltre garantita dalla ricostruzione delle ambientazioni e dall’alternanza di fiction e di immagini o video autentici risalenti a quel periodo, i quali permettono allo spettatore di non dimenticarsi che si tratta di fatti realmente accaduti, così evitando il rischio di cadere nel frequente cliché di mitizzare o idealizzare criminali, talvolta consentito dalla finzione cinematografica.
Il potere ottenuto da Escobar e dal suo cartello di Medellín in così breve tempo -deteneva l’80% della produzione di cocaina e il 30% delle armi che circolavano illegalmente, incassando circa 60 milioni al giorno- si spiega con la sconvolgente e dilagante corruzione di politici e forze di polizia, che gli ha consentito di eliminare qualsiasi ostacolo alla costruzione del suo miliardario impero della droga, permettendogli di crearsi un’immagine popolare di benefattore (storico il suo appellativo di “Robin Hood”) e di farsi eleggere anche deputato del partito liberale, nonostante la sua responsabilità in numerosi assassini di ufficiali, agenti, politici e civili.
Contemporaneamente allo sviluppo delle vicende della sua vita, tra le guerre contro il cartello rivale di Cali e la DEA e la sua lotta volta ad abolire l’estradizione negli USA (“meglio una tomba in Colombia che una cella negli Stati Uniti”), si sviluppa anche la storia della Colombia stessa, attanagliata dai frequenti rapimenti ad opera dei guerriglieri comunisti facenti parte dell’organizzazione M-19, che legandosi per un periodo anche al narcotraffico e a don Pablo, si sono resi complici di attacchi e stragi.
Il ritmo della storia alterna momenti rilassati ad altri incalzanti e concitati, e la stessa figura di Escobar è costruita in modo complesso: è un criminale spregiudicato e non mancano scene crude di omicidi od esecuzioni a sangue freddo; ma allo stesso tempo è una persona in cerca di riscatto, fortemente legato alla sua terra e alla sua famiglia, che ha costruito le sue ricchezze dal nulla e ha cercato di comprare tutto, persone comprese, per guadagnarsi rispetto e riconoscenza.
Tutto il cast di attori è il risultato di una scelta azzeccata, a partire dagli agenti federali (già noto ai più Pedro Pascal ne “il Trono di Spade”) sino agli altri patrònes del cartello nonché ai personaggi politici coinvolti, ma gioca un ruolo essenziale l’impeccabile interpretazione di Wagner Moura, la cui collaborazione con il regista Josè Padilha aveva dato i suoi frutti già in passato (“Tropa de Elite”, Orso d’Oro per il miglior film al Festival di Berlino del 2008). È decisamente una serie ben riuscita che permette di figurarsi un quadro veritiero sull’origine del narcotraffico e sulla storia di un paese segnato dalla sua influenza.

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Camilla Claudia Rossi

Camilla Claudia Rossi

Sono nata a Bologna ma confinata nei meandri delle sue campagne, studio Giurisprudenza perché ho sempre desiderato farlo e non perché il mio segno zodiacale è la Bilancia. Il doppio nome altezzoso cela una personalità semplice: amo la musica anni Settanta, i tramonti, i miei cani, l'odore dei libri nuovi, il cinema e le serie TV ma non il buffering dello streaming.
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