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Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione“. Questa citazione di Voltaire è un’ottima base di partenza per trattare un tema urgente, attuale e vivo nel dibattito sociale e politico italiano: le condizioni incivili delle carceri.
Numerosi sono i richiami avvenuti da parte della Corte europea dei diritti umani, la quale nel 2009 condanna il nostro Paese a causa dei trattamenti inumani e degradanti che affliggono i detenuti, e nel 2013 emana la sentenza pilota relativa al caso Torrigiani, al quale è stato riconosciuto un risarcimento per le condizioni disumane nelle quali ha tergiversato durante lo sconto della sua pena.
Di fronte al sollecito europeo di porre un freno, nonché un netto miglioramento strutturale del sistema carcerario, l’Italia di primo acchito ha risposto tramite provvedimenti normativi volti a ridurre l’ingresso alle strutture, quindi minor numero di custodie cautelari oltre alla riduzione della detenzione di flusso.
Il carcere è un’istituzione storica volta all’espiazione della pena, ma la sua struttura, rassicurante per il popolo ed oggetto di propaganda politica polulista, è molto recente. Infatti, essa nasce al passo col modello di produzione capitalista, a livello di ossatura, ma soprattutto di scansione del tempo, in quanto assume valore nel momento in cui si sottraggono spazio e tempo al reo, nell’illusione di rieducare cittadini scorretti e riportarli all’interno della società e dei suoi valori. Ma questa idea malata di produzione è stata in parte superata, quindi non si vede il motivo per il quale continuare tale diabolico escamotage strutturale, volto all’allontanamento del soggetto “sbagliato” piuttosto che al suo inserimento. A livello europeo sono emerse correnti che sostengono l’abolizione del carcere, non per eliminarlo del tutto, ma piuttosto per superare tale stile istituzionale, così come è avvenuto per altri: basti pensare ai manicomi, benché al momento l’idea di eliminare una fonte sociale di sicurezza sembri impensabile.
Tale movimento è anche sostenuto all’interno del libro Abolire il carcere, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini scritto da Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, edito da Chiarelettere.
Ma come conciliare tale corrente di pensiero con la necessità di tutela? Ciò che più rileva è che l’abolizionismo è un pensiero strutturato sulla base della protezione dei cittadini: infatti, i dati ministeriali rilevano che solo il 10% dei detenuti ha commesso reati particolarmente riprovevoli, mentre il restante 90% si trova nelle carceri principalmente per la commissione di reati legati ad uno status sociale di difficoltà materiali e psicologiche. E l’attuale condizione all’interno delle strutture è peggiorativa di tali condizioni, infatti il 70% dei detenuti sono recidivi. E’ stato effettuato uno studio secondo cui tale percentuale è scesa del 24% laddove siano state applicate misure alternative alla detenzione. L’ostacolo più grande alla promozione di tali varianti è dato dall’opinione pubblica, la quale non riesce a discostarsi dall’idea di carcere come spazio fisico in cui allontanare e punire soggetti di dubbio spessore morale.mTale timore viene poi raccolto dalle fazioni politiche prevalenti, che strumentalizzano disagi sociali e inculcano l’idea che per avere sicurezza occorra armarsi contro qualcuno, per lo più immigrati o tossicodipendenti, operando una propaganda politica che ha in parte causato quel 90% di detenuti per reati minori, quindi sovraffollamento.
Sicurezza non è accanimento, tantomeno deterrenza o esclusione, ed i dati sulla recidiva ne sono la prova concreta. Sicurezza è uguaglianza sostanziale, inclusione del reo nel mondo civilizzato, è realizzazione della tendenza alla rieducazione affermata dal terzo comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione. Invece, l’aria stantia e rabbiosa respirata in un clima di restrizioni e sopravvivenza sta portando ad un aumento nel numero dei suicidi, non solo dei detenuti, ma anche della polizia penitenziaria, uccisa sul luogo di lavoro. Ambienti chiusi, con proprie regole e dinamiche, senza alcun controllo effettivo, in continua violazione di valori costituzionali, in cui ogni giono vengono compiuti reati mai denunciati.
Per far fronte a ciò è stato avanzato un disegno di legge sul reato di tortura, che è attualmente in sede di votazione, nonostante su tale tema vi sia il totale silenzio mediatico. Sono diversi i metodi alternativi adottabili dall’ordinamento per permettere lo sconto della pena nonchè la contemporanea risocializzazione del cittadino, come per esempio i lavori socialmenti utili, che consentono al reo un incontro educativo dall’interno, ma anche la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, per i reati con minor disvalore. Si parla così di “depenalizzazione“, soprattutto per l’importanza che viene data oggi al denaro, creando una maggior carica deterrente a livello psicologico. Quindi, considerando che un detenuto costa allo stato una media di 125 euro al giorno, moltiplicato per i giorni in un anno e per il numero dei detenuti, tale ingente somma di denaro potrebbe essere in parte investita per promuovere un’esecuzione della pena più costruttiva, che possa giovare prima di tutto ai cittadini in generale e solo in secondo luogo al detenuto. Un trattamento disumano alimenta il disagio che porta la commissione della maggior parte del numero dei reati, i trattamenti disumani tolgono umanità alla persona. Per quanto possa sembrare impossibile, una visione alternativa e costituzionalmente orientata della pena potrebbe essere la giusta strada per un Paese sensibilmente e umanamente più sicuro. Numerose sono le grida all’interno delle storie di tortura e violazione della natura umana, minima è la sensibilità dimostrata dalla società nei confronti di un tema che ha un concreto impatto politico, sociale, culturale ed economico. Con immenso senso di appartenenza a questo mondo occorre,invece, muovere un passo che porti al reinvestimento di umanità e risorse verso ogni singola persona, sfruttando la sensbilità verso un obiettivo concreto.

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Sotto Sopra

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In contrasto tra concreto e surreale, rivela il suo impeto esuberante e la sua introversa sostanza nella poesia, ispirata dal modo di sentire la vita, vissuta come un' eterna e toccante connessione.

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