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Il trattato sui parametri d’ingresso nella comunità europea.
Ecco fino ad un anno fa l’unica nozione che mi balenava in mente quando qualcuno pronunciava “Maastricht”.
Non ero mai stato sfiorato dall’idea di approfondire le mie conoscenze circa questa piccola città olandese sulle rive del fiume Mosa, se non in occasione di una sciagurata interrogazione di storia durante il mio 3° anno di liceo.
Una volta a Bologna, Maastricht aveva cominciato a diventare un nome frequente a causa della tipologia di materie studiate, ma nel momento in cui ho preso la decisione di usufruire del progetto di scambio Erasmus, avevo in mente mete più calde e rinomate (Spagna, Grecia o giù di lì).
Pensate che mi ero anche informato sul tipo di materie dell’Università di Madrid da farmi convalidare sotto le due torri, eppure Maastricht (forse a causa dello studio intensivo di storia contemporanea) aveva iniziato ad apparirmi come la destinazione perfetta per chi, come me, volesse studiare relazioni internazionali e magari un domani, burger king permettendo, intraprendere una carriera diplomatica.
Non restava che informarsi: il prof responsabile del progetto? Lo stesso a cui avevo dovuto dimostrare il suddetto studio in storia. Le procedure? Complicate, ma fattibili. Le prove? Un colloquio in inglese con (ormai posso svelare il nome del prof) Cavazza e una lettera di presentazione nella quale dimostrare il mio interesse per l’Olanda accademica e non ludica. Risultato? Arrivo incredibilmente 5° in graduatoria e quindi vengo selezionato per svolgere quest’esperienza all’estero.
Era il tempo di fare i conti con le mie sensazioni, e non lo dico perché voglio apparire così didascalico da suddividere passo per passo la narrazione, ma perché durante tutto l’iter burocratico non avevo realizzato che stavo compilando i moduli che mi avrebbero portato lontano dagli affetti e da casa per ben 6 mesi.
Certamente Bologna aveva costituito un primo distaccamento dalla mia Sicilia, ma anche qui ero riuscito a creare il mio microcosmo, fatto di birre in piazza verdi, passeggiate per via del pratello e cene dai colleghi, e ora?
Ora toccava immaginarsi nel cuore della bistrattata Europa, collega di studenti di tutte le parti del mondo a seguire lezioni in una lingua straniera, costretto ad usare (si spera) l’inglese per ordinare caffè oscenamente lunghi o freddi piatti olandesi.
Devo dire che la realizzazione non è stata facile, l’euforia iniziale aveva rapidamente ceduto il passo ad un malinconico pensiero “E se non riuscissi ad inserirmi?”. Insomma, non è detto che riesca a stringere lo stesso numero di amicizie che sono riuscito a stringere a Bologna e non è neanche detto che riesca a godermi la città come sto riuscendo a fare all’ombra di San Petronio.
La visione paranoica e tetra si era impossessata della mia mente, fino a quando ho cominciato a valutare la cosa da un punto di vista diverso, ho infatti analizzato in modo razionale l’opportunità dicendomi: “ tra due mesi m’imbarcherò su un aereo che mi trasporterà in un paese straniero , ma nel quale non potrò fare altro che venire a contatto con culture e visioni del mondo diverse, un paese che attraverso il suo sistema di trasporti mi permetterà di raggiungere città del calibro di Amsterdam, Parigi e Berlino in meno di due ore, un paese che propone un metodo di apprendimento totalmente rivoluzionario (il PBL, molto più pratico e meno teorico), un paese che mi potrà donare finalmente la percezione di essere parte di un grande sogno che è l’Europa unita, ovviamente badando alla frizzante vita sociale che solo gli olandesi riescono a costruire.”
Mi mancherà Bologna, ma se ripenso che in un anno sono passato dal sentirmi perennemente in gita perché in una città diversa da quella in cui sono nato a considerare la stessa città casa, credo che in 6 mesi potrei anche amare quel micro mondo chiamato Maastricht e magari chiamare anch’esso casa, o meglio thuis.
Niente d’aggiungere, auguratemi solo buon viaggio.

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Gabriele Morrone

Gabriele Morrone

Faccio parte di S.U fin dall'inizio della mia carriera universitaria presso la facoltà di Scienze politiche e ho iniziato a collaborare con questa rivista in modo sempre più assiduo e appassionato. Mi sono posto fin dal principio l'obiettivo di raccontare quello che vedo in modo mai banale e patinato, osservando da vicino una città meravigliosa come Bologna attraverso gli occhi di chi è abituato alle contraddizioni della propria isola natia: la Sicilia.
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