Quando mi hanno chiesto che rapporto avessi col mare ho pensato che sì, quella fosse una bella domanda che richiedesse e meritasse una risposta ragionata, una fotografia scattata per l’occasione. Non è una domanda facile, come tutti quei punti interrogativi che ti riguardano direttamente e vanno a toccare un aspetto che influisce, silenzioso ma fedele, sulla formazione di una persona.
Sul mare si è letto e scritto di tutto e anzi, si potrebbe azzardare un suo posizionamento al secondo posto nella classifica dei topoi letterari (la parolina in greco, la terrificante tentazione del vecchio liceale classico ndr), subito dopo l’Amore. Si potrebbe azzardare, ma è meglio rimanere sul condizionale e abbandonare per un attimo il mondo del giàscritto e delle classifiche, per concentrarsi su un mare del tutto personale ed intimo. Descrivere e parlare non del Mare con la M maiuscola ma (cercare di) raccontare il mio personalissimo mare, piccolino ma, almeno per il sottoscritto, non meno importante.
A ciascuno il suo mare dunque. E allora, di quale mare stiamo parlando?
Il mio mare è quello in cui si specchia la città calabrese di Crotone: la mia città. Il mio mare è quindi il Mar Ionio, un mare egocentrico e con manie di protagonismo, salvato solo da una piccola “n” (proprio lì, in mezzo al suo nome) dalla ripetizione del pronome più ingombrante e rumoroso. Lasciando da parte questi dilemmi lessicali che un tempo mi assalivano, immaginiamo quindi questo mare, il più profondo e il più a Sud di quelli che bagnano le nostre coste. Già: le coste. Perché è difficile immaginare un mare senza pensare alla costa che sembra dargli forma, quel pezzo di terra che si interrompe e si fa (prima) spiaggia, (poi) acqua.
E quindi, ogni volta che leggo o sento parlare del mare, la mia mente vola subito al golfo della mia città, dalla punta della Lega navale con le sue barche al Capo che prende il nome dell’antica colonna greca, unica rimasta di un (maestoso e impegnativo) passato. Una forma ad U schiacciata che pare abbracciare il mare, quasi a volerlo accogliere senza lasciarlo andare. Ora, è bene chiarire una cosa: non sono un “marinaio”, non sono mai salito su una barca a vela e la mia escursione marittima più importante l’ho avuta attraversando in traghetto lo Stretto di Sicilia. Il mio rapporto con il mare è quindi quello di un passante, o meglio: di un passeggiatore. Passeggiatore di lungomare esperto: ecco il titolo. Anche perché lo ammetto: non ho mai amato particolarmente passare ore e ore in spiaggia e in acqua, d’estate. Per intenderci: sono il classico soggetto che, dopo un tuffo, raramente si ributta in acqua e, dopo una partita a carte, a schiacciasette o una chiacchierata, non vede l’ora di tornare a casa (mi aspetto molti inviti quest’estate).
Prima di trasferirmi a Bologna e di indossare i panni del classico studente fuori sede calabrese (che, magari, studia Giurisprudenza), non avevo mai capito come e in che modo il mare fosse parte di me e come mi avesse influenzato. Vivere in una città di mare ti porta a considerare come un elemento “dovuto” e “ovvio” ciò che in realtà merita di essere ritenuto un vero e proprio privilegio naturale. Ma si sa: la nostra natura, il nostro carattere, possono dimostrarsi tremendamente ingrati e il valore di alcune cose lo si viene a scoprire solo quando si perde la loro quotidianità. Come molti studenti fuorisede, ho vissuto (e superato) il primo periodo di scoramento e spaesamento nelle prime settimane a Bologna (e non parlo dei primi giorni in cui tutto sembra bellissimo e stupendo: parlo dei giorni in cui capisci che sì, non sei in gita, non “torni a casa” ma è questa la tua nuova casa). In quelle settimane a volte mi sentivo come soffocare. Il motivo? Da qualsiasi parte mi voltassi, da qualsiasi parte mi dirigessi, non c’era nessun lungomare, nessuna apertura. Mi sentivo chiuso, senza, appunto, sbocco sul mare. Da qualche parte mi pare di aver letto che una città senza mare è come un ascensore senza specchio: ecco, la sensazione era più o meno quella.
Oggi vivo e amo Bologna e sono sicuro che ne sentirei la sua mancanza se mi allontanassi troppo da lei. Eppure, quella sensazione lì, quel desiderio di passeggiare e avere al mio fianco qualcosa di tanto più grande e vivo, non mi ha mai abbandonato. Dopo un paio di settimane bolognesi, vorrei subito scappare e regalarmi una passeggiata sul mio lungomare. Sono persino arrivato a fantasticare una Bologna con il mare come “città perfetta”…ma l’ho scartata subito: non sarebbe Bologna.
Ogni volta che torno a Crotone, corro subito verso il mare; perché sì, ho bisogno di sentirlo, di beccarmi in faccia la sua brezza o il suo vento forte, di odorarlo (e perché no: anche di sentire un po’ di quella “piacevole” puzza di pesce del porto). Ho bisogno di guardarlo, di sedermi e confrontarmi con lui. E lo fotografo, sempre, in continuazione: facile fotografare il mare.
Poi lo saluto. Ma è sempre un arrivederci. Perché io ho bisogno del mare, ma non di uno qualsiasi: ho bisogno del mio mare.
Alessandro Milito
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