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Ogni mistero, specie se annidato sulla sfera politica delle relazioni tra stati, può finire per disperdere all’infinito le tracce che dovrebbero portare ai responsabili. La sensazione è che il giallo della morte di Giulio Regeni possa protrarsi a lungo, senza trovare risposte. La tragedia che ha colpito il nostro concittadino friulano sembra aprire una finestra di coinvolgimento nell’opinione pubblica, rispetto al tipo e alla quantità di rapporti che ci sono tra il nostro Paese e l’Egitto, oltre a riportare all’attenzione le dinamiche di potere interne a uno dei più rilevanti attori del Medio Oriente.
L’ordine di grandezza delle relazioni tra i due Paesi non sembra affatto trascurabile. Non è certo una novità che i Paesi arabi, da sempre, rappresentano un’area di interesse per gli Stati europei che, come il nostro, si affacciano sul mar Mediterraneo. E sono in tanti, a dire il vero, a bussare alla porta del generalissimo Abdel FattahAl-Sisi. Ci sono le banche, per cominciare, con il primo gruppo bancario italiano, Intesa San Paolo, che dal 2006 ha acquisito il quinto istituto di credito egiziano Bank of Alexandria, muovendo 5 miliardi di euro e rendendolo di fatto l’unico istituto a capitale straniero nel paese arabo. Banche, ma anche energia, altro settore sul quale l’Italia può fare la voce grossa rispetto agli altri competitor internazionali. L’estate scorsa Eni ha scoperto le potenzialità del supergiacimento Zhor, una miniera da 850 miliardi di metri cubi di gas, che porta con sé un indotto di gasdotti e infrastruttre. A tutto ciò, si aggiungano una miriade di legami che intrecciano gli interessi della nostra cara piccola e media impresa con le piattaforme imprenditoriali egizie.
Relazioni che, dunque, sembrano fitte e intense, al punto tale da chiedersi legittimamente se questo possa rappresentare o meno un elemento utile per minacciare Al-Sisi e lo stato maggiore egiziano, qualora non venga fatta chiarezza su questo mistero.
Eppure sappiamo che é stato proprio lo stesso Presidente egiziano a rassicurare il Governo italiano circa l’impegno delle forze di intelligence egiziane per far luce sulla morte di Regeni. Ma sappiamo anche che al momento è in azione una task-force investigativa italiana. L’efferatezza riscontrata sul corpo di Giulia sembra scatenare, infatti, la sensazione che possa trattarsi di omicidio politico, nemmeno questa certo rappresenta una novità. Ciò che non risulta chiaro ancora a nessuno è il perché colpire proprio un ricercatore, e perché questo ricercatore. Che possa trattarsi di uno scambio di persona, di un effettivo spionaggio o un semplice abbaglio della polizia egiziana, bisogna sempre partire dal lavoro che Regeni faceva sul territorio egiziano.
Ciò che è risaputo ai più, perché rimpallato su tutti i media, è che, oltre ad essere stato un articolista del Manifesto, pur pubblicando sotto pseudonimo, Giulio Regeni guardava ai sindacati indipendenti egiziani per i suoi interessi di ricerca.
Perché proprio i sindacati? Perché rimarcare la definizione di “indipendenti”?

Per andare in profondità e cercare di capire cosa tutto questo possa implicare, bisogna fare un passo indietro e tenere presente le dinamiche della politica interna dello Stato arabo. L’Egitto di questi anni ci fa tornare alla memoria i fatti del 2011 e la “primavera” di quei popoli che arrivarono, per extrema ratio, a destituire i propri raìs. Come accaduto in Tunisia, Libia e Yemen, anche gli egiziani ottennero la testa del proprio dittatore, Hosni Mubarak. Come nel giro di tre anni si sia arrivati da Mubarak ad Al-Sisi non è altro che la storia ordinaria di come le rivoluzioni del continente africano vengano facilmente tradite, in un susseguirsi di colpi di Stato, gelando i sentimenti della primavera araba, già bollata come grande illusione. Laddove la politica è troppo debole, sono i militari a prendere in mano le sorti di questi Paesi. Come in questo caso. Una giunta militare accompagna l’uscita di scena di Mubarak e indice elezioni libere per il 2012. La stessa giunta, un anno più tardi, destituisce con un golpe guidato da Al-Sisi, allora ministro della difesa, il neo-eletto presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, il cui stesso governo non aveva mancato di assumere derive autoritarie a sfondo religioso e senza peraltro porre freno alle proteste per l’inasprirsi della crisi finanziaria egiziana. Da un raìs a un altro. Al-Sisi, infatti, ha consolidato il proprio potere quando, nel 2014, il suffragio popolare gli ha fatto toccare una di quelle percentuali bulgare – 96% – alle quali siamo stati già abituati dalle esperienze passate di altri regimi mediorientali. Un dato che gli ha permesso di soffocare l’opposizione, arrestando circa 20mila persone, sospettate di ostilità verso il nuovo assetto di potere, in nome della lotta al terrorismo. Concetti che è, tuttavia, difficile distinguere in Egitto. Pur trattandosi di un paese in cui la confessione islamica è prevalente, ciò non intacca la natura laica che le sue istituzioni hanno voluto assumere dal momento della decolonizzazione in poi. Motivo per il quale il multipartitismo e l’opposizione liberale sono tollerate. A farne le spese sono, invece, le frange dell’estremismo, sia politico che religioso. E poi ci sono i sindacati e con essi, di conseguenza, i diritti dei lavoratori egiziani. Anche questi duramente colpiti dal golpe di Al-Sisi in poi. E’ qui forse che si può collocare la rischiosa attenzione di Giulio Regeni per il sindacalismo indipendente. Le medesime ragioni per le quali lo stesso preferiva non firmare i suoi articoli, temendo per la propria incolumità. Prima della presenza di sindacati indipendenti bisogna, innanzitutto, riscontrare la presenza di un sindacato “ufficiale”, l’Egyptian Trade Union Federation (ETUF), federazione sindacale diretta dallo Stato e quindi difficilmente da considerarsi “indipendente”. Obiettivo esplicito di Al-Sisi è rafforzare la collaborazione tra l’ETUF e il governo, in maniera tale da marginalizzare il ruolo dei sindacati indipendenti nella rappresentanza dei lavoratori egiziani. I sindacati indipendenti si erano moltiplicati proprio a partire dalla rivoluzione del 2011, distinguendosi fra questi, in aperta contrapposizione all’ETUF, l’Egyptian Federation of Independent Trade Unions (EFITU) e l’Egyptian Democratic Labour Congress (EDLC).
Gli ultimi frammenti di questo interessante contesto socio-politico è lo stesso Giulio Regeni a fornirceli, attraverso l’articolo pubblicato dal Manifesto lo scorso 5 febbraio, a firma di Giulio, nonostante l’opposizione dei famigliari. Il raìs sembra essere riuscito nel suo intento di indebolire le frange indipendenti, dal momento che le due principali formazioni indipendenti sembrano agire ormai in maniera troppo frammentata e per lo più a livello locale. Troppo colpite dalle operazioni di repressione e cooptazione del governo, che, da due anni a questa parte, impedisce loro di convocare una assemblea generale. Regeni si trovava a riportare le loro ultime istanze, l’idea di stare uniti e veicolare una nuova protesta che guardasse ancora una volta a piazza Tahrir, cuore della rivoluzione.
E’ molto difficile riuscire a incrociare ricerca e giornalismo, trovandosi questi a viaggiare quasi sempre su binari paralleli. L’esperienza di Giulio dimostra che è possibile farlo, soprattutto se è la passione ciò che unisce questi diversi fini. La ricerca della verità del giornalismo, da una parte, la rigorosità e i canoni della ricerca accademica dall’altra. Un binomio che alla fine può rivelarsi troppo scomodo per alcuni.

Gianluca Scarano
Dottorando in Sociologia economica e studi del lavoro presso l’Universitá degli Studi di Milano ed ex rappresentante degli studenti presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna

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Gianluca Scarano

Gianluca Scarano

Dottorando alla statale di Milano, ma devoto all'Alma Mater e alla sua scuola di Scienze Politiche, anche per un'esperienza da rappresentante degli studenti. Cronista free-lance nel passato più recente. Adottato dall'Emilia e dal suo spirito di partecipazione

5 Comments on Da un raìs all’altro

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