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Lavediamocosì: CHIAMATA ALLE ARt

Che tu sia uno studente di sociologia, giurisprudenza, economia, lettere o quant’altro: usa la tua arte, usa la tua scienza, dai la tua opinione. #Lavediamocosì vuole essere un laboratorio di partecipazione attiva e alternativa.

piazzaverdi04Storicamente Piazza Verdi è la Piazza degli Studenti. Nei secoli ne abbiamo plasmato forma e funzioni. Storicamente Piazza Verdi è un luogo di conflitto: politico, ideologico, tra Comune e collettivi, tra cittadini e movida, tra chi richiama la sicurezza e chi urla contro la militarizzazione della zona. Storicamente, perchè dal 1560, Bologna vive la contradditoria tensione tra studenti e residenti: scoppiano i primi contrasti con la cittadinanza. Muore uno studente. Negli ultimi mesi, lo scontro sembra esacerbato. Così lo dipingono i giornali locali, così lo vivono i residenti, tale lo percepiscono gli studenti. Quale scontro?


Mi ci è voluto del tempo per approcciarmi al tema: tempo per informarmi, per leggere e per ascoltare. Non potevo infatti arrendermi alle opinioni unilaterali, asciutte e sterili che leggo sui social network o ascolto tra amici. La mia era una di queste opinioni sterili.

Con gli amici di Sinistra Universitaria, da studenti e da attivisti, ci siamo quindi posti una semplice domanda: cosa possiamo fare? La risposta tuttavia, come spesso accade, doveva essere preceduta da un’altra domanda: quale è il problema? (altro…)

L’Erasmus che verrà

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Il trattato sui parametri d’ingresso nella comunità europea.
Ecco fino ad un anno fa l’unica nozione che mi balenava in mente quando qualcuno pronunciava “Maastricht”.
Non ero mai stato sfiorato dall’idea di approfondire le mie conoscenze circa questa piccola città olandese sulle rive del fiume Mosa, se non in occasione di una sciagurata interrogazione di storia durante il mio 3° anno di liceo.
Una volta a Bologna, Maastricht aveva cominciato a diventare un nome frequente a causa della tipologia di materie studiate, ma nel momento in cui ho preso la decisione di usufruire del progetto di scambio Erasmus, avevo in mente mete più calde e rinomate (Spagna, Grecia o giù di lì).
Pensate che mi ero anche informato sul tipo di materie dell’Università di Madrid da farmi convalidare sotto le due torri, eppure Maastricht (forse a causa dello studio intensivo di storia contemporanea) aveva iniziato ad apparirmi come la destinazione perfetta per chi, come me, volesse studiare relazioni internazionali e magari un domani, burger king permettendo, intraprendere una carriera diplomatica.
Non restava che informarsi: il prof responsabile del progetto? Lo stesso a cui avevo dovuto dimostrare il suddetto studio in storia. Le procedure? Complicate, ma fattibili. Le prove? Un colloquio in inglese con (ormai posso svelare il nome del prof) Cavazza e una lettera di presentazione nella quale dimostrare il mio interesse per l’Olanda accademica e non ludica. Risultato? Arrivo incredibilmente 5° in graduatoria e quindi vengo selezionato per svolgere quest’esperienza all’estero.
Era il tempo di fare i conti con le mie sensazioni, e non lo dico perché voglio apparire così didascalico da suddividere passo per passo la narrazione, ma perché durante tutto l’iter burocratico non avevo realizzato che stavo compilando i moduli che mi avrebbero portato lontano dagli affetti e da casa per ben 6 mesi.
Certamente Bologna aveva costituito un primo distaccamento dalla mia Sicilia, ma anche qui ero riuscito a creare il mio microcosmo, fatto di birre in piazza verdi, passeggiate per via del pratello e cene dai colleghi, e ora?
Ora toccava immaginarsi nel cuore della bistrattata Europa, collega di studenti di tutte le parti del mondo a seguire lezioni in una lingua straniera, costretto ad usare (si spera) l’inglese per ordinare caffè oscenamente lunghi o freddi piatti olandesi.
Devo dire che la realizzazione non è stata facile, l’euforia iniziale aveva rapidamente ceduto il passo ad un malinconico pensiero “E se non riuscissi ad inserirmi?”. Insomma, non è detto che riesca a stringere lo stesso numero di amicizie che sono riuscito a stringere a Bologna e non è neanche detto che riesca a godermi la città come sto riuscendo a fare all’ombra di San Petronio.
La visione paranoica e tetra si era impossessata della mia mente, fino a quando ho cominciato a valutare la cosa da un punto di vista diverso, ho infatti analizzato in modo razionale l’opportunità dicendomi: “ tra due mesi m’imbarcherò su un aereo che mi trasporterà in un paese straniero , ma nel quale non potrò fare altro che venire a contatto con culture e visioni del mondo diverse, un paese che attraverso il suo sistema di trasporti mi permetterà di raggiungere città del calibro di Amsterdam, Parigi e Berlino in meno di due ore, un paese che propone un metodo di apprendimento totalmente rivoluzionario (il PBL, molto più pratico e meno teorico), un paese che mi potrà donare finalmente la percezione di essere parte di un grande sogno che è l’Europa unita, ovviamente badando alla frizzante vita sociale che solo gli olandesi riescono a costruire.”
Mi mancherà Bologna, ma se ripenso che in un anno sono passato dal sentirmi perennemente in gita perché in una città diversa da quella in cui sono nato a considerare la stessa città casa, credo che in 6 mesi potrei anche amare quel micro mondo chiamato Maastricht e magari chiamare anch’esso casa, o meglio thuis.
Niente d’aggiungere, auguratemi solo buon viaggio.

Un viaggio tra i fornelli di Masterchef. L’intervista a Stefano Callegaro

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Fuori c’è una pioggia fitta ed io sono davanti alla porta d’ingresso, mi sposto un attimo per fare un giro nella sala verde della Montagnola poi mi riavvicino alla porta, a quel punto vedo spuntare Stefano sotto un ombrello giallo. Entra, mi guarda e prima ancora che potessi salutarlo mi porge la mano e si presenta: “piacere, Stefano!”.
Già da questo gesto capisco la persona che ho davanti, parola d’ordine: umiltà.
Scatta qualche foto e scrive delle dediche sul suo libro di cucina appena uscito “Alla ricerca del gusto” poi si parte con l’intervista.

Stefano, com’è cambiata la tua vita con la vittoria di Masterchef?
«Allora, inizio col dire che se quest’anno l’avessi diviso in 6 parti mi sarebbero usciti fuori 6 anni belli intensi (ride). Spesso dopo la vittoria mi è capitato di sentirmi dire che sono una fonte d’ispirazione. Ti dico che Martin Luther King è una fonte di ispirazione, io al massimo posso ispirare nell’ambito culinario».

Qual è il giudice più buono e quale il più cattivo all’interno della competizione?
«Sono 3 persone dai caratteri molto diversi. Chef Cracco e chef Barbieri sono un po’ spigolosi negli atteggiamenti ma ogni giorno ti offrono spunti per migliorare e per crescere. Lo chef Berbieri tra i fornelli ricorda il ballerino Rudolf Nureyev, sembra danzare in cucina. Ha una precisione incredibile.Masterchef 9
Chef Carlo Cracco da buon veneto di montagna parla poco e quando lo fa le sue parole tagliano però ogni suo consiglio è estremamente prezioso. A telecamere spente mi disse: “sii curioso e sii critico con te stesso per poter migliorare sempre”.
Joe Bastianich è un grande imprenditore mischiato ad un ragazzo di 18 anni che si vuole divertire. Una persona speciale alla quale sono molto legato. Se mi sentisse dire queste cose mi ucciderebbe (ride)».

Un piatto al quale sei particolarmente legato?
«La minestra con i piselli, il risi e bisi in Veneto, che nella mia zona (il polesano ndr.) ha salvato tante persone nei periodi di difficoltà. Questo è un piatto che la domenica a casa mia non manca quasi mai. Poi devo ammettere che sono un consumatore seriale di tortellini e voglio precisare che vengo sempre a prenderli a Bologna (sorride)».

Un consiglio per gli appassionati di cucina.
«Toccate il cibo, annusatelo, passatevelo tra le mani. Il cibo ci parla, si racconta. Ogni taglio di carne, ad esempio, è diverso dall’altro e ha una sua storia. I guanti lasciamoli ai chirurghi perchè in cucina il cibo va trattato a mani nude».

Chi ti ha trasmesso la passione per la cucina e come l’hai coltivata?
«La mia mamma oltre ad essere appassionata di cucina è un’ottima cuoca e mi ha trasmesso l’amore che mette in cucina, io poi vivo fuori di casa da quando avevo 18 anni quindi imparare a cucinare oltre ad essere una passione è stata una necessità».

Cos’è per te la cucina?
«Non voglio fare il filosofo (ride) ma per me la cucina è una metafora della vita, il raggiungimento della felicità per tentativi. Quando cucini cerchi la perfezione del piatto tentando diverse combinazioni così come nella vita si cercano diverse combinazioni per arrivare ad essere felici.
Ve la spiego con 4 aggettivi: amore, passione, disciplina e rispetto».

Qualche domanda sulla tua avventura a Masterchef. Raccontaci della svolta ai fornelli avvenuta quando a sorpresa è arrivata tua madre nel programma.
«Va detto innanzitutto che quando partecipi a Masterchef non vedi i tuoi cari per tutta la durata del programma (2 mesi e mezzo/3 ndr.) e in tutto ciò abbiamo avuto solo una mezza giornata libera. La puntata che voi vedevate il giovedì era la contrazione di una settimana di riprese. Sono arrivato nella cucina con tanti difetti, dubbi e insicurezze ma quando in quella Mistery Box gigante ho visto mia mamma mi si sono illuminati gli occhi. Da quel punto è come se mi fossi tolto dei pesi».

Con chi hai legato di più tra i tuoi compagni di avventura e chi hai visto maggiormente come uno sfidante?
«La persona che più mi è rimasta nel cuore è sicuramente Simone (Finetti ndr.). Per me è come un fratello. Invece ho visto maggiormente come uno sfidante Nicolò che mi ha impressionato molto per una passione ed una tenacia che a vent’anni davvero in pochi hanno».

Concludendo. C’è una frase che dice: “si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da mangiare”. Ho rivisto molto il tuo percorso a Masterchef in queste parole. Mi confermi che per preparare un buon piatto si deve sempre pensare a qualcuno?
«Ti ringrazio per la bellissima domanda (sorride). Sono assolutamente d’accordo, il mio percorso nella cucina di Masterchef si è intrecciato molto con queste parole. Ho sempre cercato di mettere nei miei piatti me stesso e soprattutto le persone a cui tengo. La mia spinta in più anche nella finale, che non mi aspettavo assolutamente di vincere, credo sia stata proprio questa. Secondo me per creare un buon piatto è importantissimo pensare a qualcuno».

La fauna della Biblioteca

“Io non mi trovo bene a studiare in biblioteca, ho bisogno di ripetere a voce”.

Chi pronuncia questa frase probabilmente intende studiare per davvero ma, così facendo, rinuncia ad uno spaccato di umanità incredibile e a tanti aneddoti da aggiungere al proprio repertorio.

La Biblioteca, prima di essere un edificio con tanti libri e qualche posto a sedere, è un habitat in cui prosperano le specie più diverse e i personaggi più strani.

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Biblioteca dell’Archiginnasio

Nel corso dei suoi matti e disperatissimi studi, l’universitario impara a distinguere le varie specie, il suo istinto di sopravvivenza gli suggerisce quali evitare e quali frequentare.

Questo processo di selezione è essenziale per non rischiare di cadere in trappole spiacevoli e per mantenere una vita studentesca sana e dignitosa (tradotto: difendere la già precaria salute mentale).

E quindi, è con gran piacere che L’UNIversiTÀ è lieta di fornirvi una guida essenziale per riconoscere alcuni degli esemplari più rappresentativi, personaggi topici con i quali prima o poi si avrà a che fare.

Parlavamo di posti a sedere e proprio la ricerca di questi ci conduce direttamente al primo, fondamentale personaggio: l’Esploratore.

L’Esploratore è la prima linea, l’avanguardia, il coraggioso mandato in avanscoperta a svolgere un compito essenziale: occupare una postazione (o più) da difendere a tutti i costi. I suoi nemici principali sono gli altri esploratori (la concorrenza è agguerrita) e le paroline magiche, esplosive e pericolose: “è libero questo?”. Per la sua missione, l’Esploratore è dotato di un armamentario di tutto rispetto: libri, foglietti, codici, giubbotti e una certa dose di faccia tosta.

Basta spostarsi di qualche posto e subito balza fuori un altro esemplare, anch’esso presente sin dall’apertura della biblioteca: il Sapientone.

Questa pericolosissima razza è composta molto spesso da dottorandi e ricercatori, gente che è oltre, che hagiàvistotutto e satutto. Il Sapientone si muove alla perfezione fra i libri e i corridoi della biblioteca lo esaltano come una pista da ballo; avendo venduto l’anima e abbandonato qualsiasi autentico rapporto umano, il Sapientone respira pagine, si nutre di saccenteria, unico carburante in grado di mantenerlo in vita. La macchinetta del caffè, indiscusso totem per ogni specie, è il suo luogo prediletto: qui lo si può ascoltare mentre sottolinea il fascino della caparra confirmatoria di un contratto del 1245 (il Sapientone “giurista” è semplicemente devastante).

Altri incontri alla macchinetta del caffè
Altri incontri alla macchinetta del caffè

Ma anche la carne vuole la sua parte e i cacciatori non mancano nemmeno in biblioteca. Anzi: prosperano. Il Cacciatore entra in sala studio e subito cerca con sguardo felino la preda da ghermire. Poco importa che vi siano posti liberi se questi non sono situati davanti o affianco l’obiettivo. Il Cacciatore lancia occhiate taglienti come coltelli, a volte si avventura nel terreno incerto del “piedino” e, se tutto va bene, azzarda anche il tivauncaffè?

Queste battute di caccia avvengono sotto il costante e deciso ticchettio dei Dattilografi, esemplari che scaricano la loro frustrazione sugli inermi tasti dei loro pc portatili (noncuranti che questo bombardamento possa infastidire qualcuno).

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Scienze della comunicazione: che cosa si studia?

“Bisognerebbe abolire alcune lauree inutili come quella in scienze della comunicazione”: sono queste le parole di Maria Stella Gelmini, ex ministro dell’Istruzione nel corso di una puntata di Ballarò del 2011. Da allora non è cambiato molto e mentre si naviga su internet si leggono ancora lodevoli definizioni come scienze delle merendine o delle tubature, laurea facile e chi più ne ha più ne metta.

Io so perché so di non sapere” così diceva Socrate in suo celebre discorso. Una nozione che in molti non hanno ancora appreso, decantando verità assolute per celare una manifesta ignoranza, poiché chi da un giudizio negativo su scienze della comunicazione è proprio chi non ha alcuna idea di cosa si studi. Ed è proprio da qui che vogliamo partire svelando chi siano veramente questi mendicanti dell’arte del comunicare.

Dinamici, creativi, flessibili, autonomi, duttili, capaci di adattarsi a più mestieri e ancora esperti della parola, orale e scritta, futuri imprenditori manageriali, e possibili scrittori e giornalisti e persino editori: ecco i termini appropriati per parlare dei dottori e delle dottoresse in scienze della comunicazione, che possiamo far rientrare più semplicemente in tre campi principali: le relazioni pubbliche, la pubblicità e il giornalismo.

Per spiegare meglio da un punto di vista pratico, quindi, abbiamo deciso di dare la parola a chi ha intrapreso questo percorso culturale, nato all’incirca 10 anni fa, quando con l’avvento dei media, si è avvertita una forte necessità di esperti in comunicazione.

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Sinistra Universitaria: esperienza di condivisione e confronto

Qualcosa che ti coinvolge talmente tanto da non sentire nemmeno la stanchezza

Sinistra Universitaria è la principale associazione studentesca di centro sinistra, radicata da oltre dieci anni nell’ateneo bolognese. Nel 2011 ha aderito alla piattaforma nazionale della RUN (Rete Universitaria Nazionale). Sinistra Universitaria è, per noi che ne prendiamo attivamente parte, un’esperienza bellissima, di condivisione e di confronto su qualsiasi tema e argomento, oltre che un’esperienza formativa importantissima in questi anni di formazione universitaria. Anni nei quali si se10298934_10205513296736379_7882385594470489354_nnte spesso la necessità di fare qualcos’altro oltre che studiare, di , nel nostro caso politicamente e personalmente. Per tali ragioni consiglio a qualsiasi studente la militanza in questa associazione, per le emozioni che trasmette, per le esperienze che fa vivere, per i contenuti che fa acquisire. (altro…)

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