image(Foto di Giovanni Andreani)

Sono ai 300 scalini, il colle da dove si vede il destino di tutta la città. Non sono giunta fino a qui per rispondere alla domanda iniziale, ma per pormela dall’alto. Una regola per essere tale deve darci un comandamento e noi dobbiamo trovare una sintonia nel volerne essere condizionati. Il palazzo dell’Ospedale Maggiore in lontananza, tutta la città antica diffusa a macchia confusa, di cui resta solo un colore rosso intenso che ne copre le forme, gli spazi vuoti che se ne intravedono in mezzo. San Luca in alto sulla sinistra. San Luca che è la prima cosa che vedi di Bologna quando stai per tornare da un treno che ti ha portato qui da un altro altrove. San Luca che è la prima cosa che vedi di Bologna, quando da Bologna vuoi scappare. E come nell’Infinito di Leopardi quella Basilica, posta sulla terrazza della città, pare sembrarti la siepe oltre cui non poter spostare più i tuoi pensieri.
Bologna la puoi incontrare in tanti momenti della vita. La puoi incontrare quando arrivi, quando te ne stai per andare. Quando sei arrivato già da un po’, ma solo una sera, in un all’ improvviso non programmato, ti prende la nostalgia di un profumo che hai avvertito all’angolo di una strada in centro. L’ ipod con la musica scarico ti ha costretto a mettere via le cuffie e così devi necessariamente respirare il rumore di questa città dal vivo. Sarà facile allora accorgersi di come Bologna viva di una musica propria, trafficata di immagini che sono un fragile e variabile elenco di tutti i quadri di parole e di scene umane che la popolano senza invaderla: il violinista piazzato davanti via de’ Musei che cerca sempre di rubarti l’ispirazione per il suo nuovo pezzo dal sorriso o dalla malinconia che la tua espressione si è cucita addosso quel giorno, due ragazze sedute sui gradini di San Petronio che fanno un gran vociferare di confidenze mentre bevono bicchieri pieni di altrettante cose che non si diranno, gli umarell davanti il cantiere Rizzoli, le mani incrociate dietro la schiena e tutto un parlottare a gesti, un uomo sui quaranta  con la valigetta in mano e una bella camicia bianca col colletto slacciato, cammina di fretta mentre parla al telefono. Pensi che pagheresti per sapere se fra quindici anni avrai anche tu quella stessa sicurezza nel sapere dove andare in una mattina come un’altra.

Io Bologna la incontrai una sera di un po’ di tempo fa seduta sugli scalini di San Giovanni in Monte. Mi accorsi che non era una città come le altre, ma che aveva dentro di sé altre città. In quell’angolo che mi riservava quella sera compresi la sua regola: dare a tutti l’impressione che un posto di lei appartenga a loro. Una piazza, la terrazza del condominio dove abitano, una panchina dentro un giardino, un portico sotto cui vanno a chiacchierare. Tutti a Bologna hanno il loro posto. Quello dove l’hanno incontrata o quello dove si sono incontrati con loro stessi. Quello dove si sono fatti una fotografia con una persona che amavano, o quello dove hanno fotografato solo con gli occhi un momento che poi li avrebbe cambiati per sempre. E questa è una magia che non si può trovare altrove. Come se questa città fosse un enorme castello con un numero esagerato di stanze, ed anche se le stanze sembrano non bastare per quanti sono quelli che abitano il castello, in un modo quasi inspiegabile, alla fine ognuno riesce a trovare la propria: unica, nascosta. Quella dove sentire forte il peso del proprio posto in mezzo alla bellezza degli altri.
image(foto di Giovanni Andreani)

Questa la regola che fa da regola alle altre. Una volta trovata la propria stanza, viene da sé trovarsi incastrati in tutti gli altri comandamenti, quindi: vivere secondo un modo che è tipico di questo ambiente. Essere senza copione. A Bologna la vita è, quasi la maggior parte delle volte, una grande prima senza prova generale, e devi avere l’abilità di far finta di sapere gestire con arte situazioni non previste per non deludere lo spettatore che ti è dentro. Dall’università, agli amici, alle sere di pioggia, o a questo tramonto ai 300 scalini, è sempre una corsa contro l’emozione inversa.
Dicono che Bologna sia molto cambiata nel tempo, che prima si avvertisse di più l’armonia eccentrica della partecipazione, del movimento, della positiva confusione. Non abbiamo prove per dire il contrario, ma a me sembra come se a questa città appartenga un mistero che non le hanno strappato via gli anni. Rimane quasi illeso questo formulario di comandamenti che va dalle regole per gestire i luoghi fino a quelle per gestire il proprio tempo libero e non libero. Quelle che ti indicano strada per trovare la tua stanza, e quelle che ti impartiscono come arredarla. Con tende, senza tende, con una grande armadio o solo con una sedia dove poggiare pochi vestiti importanti.

image (Foto di Giovanni Andreani)

Bologna è una regola che può anche deludere. Perché ogni città ha dentro la città interiore che vivi in quel momento. La debolezza, la paura di non essere forte come lo pretende la vita che ti attende, l’amore che si nasconde dietro la solitudine introversa di una sera in centro. E Bologna è maledettamente brava a traslare su di sé, come uno specchio, le sensazioni che ti investono e a rivestirne della stessa pelle anche tutti i luoghi che la abitano. Le Torri ti sembreranno allora meno alte, meno infinite. E tutte le sue piazze meno ariose, più strette e affollate dalla confusione di una vita che non ti appartiene.
Ma la mattina dopo è gia passato. Perché Bologna, così come noi, si è già svegliata in un’altra maniera. Con la stessa frenetica fretta con cui cambia il nostro umore, cambia il suo. Perché l’umore di Bologna è il nostro nelle stesse proporzioni in cui sono nostre anche la sua grazia ed il suo carattere.
Bologna è la regola e noi siamo la regola di Bologna. Nessuno dei due sa prescindere dalla presenza dell’altro. Perché, nonostante in ogni posto in cui esistiamo lasciamo parti di quello che siamo, in questa città più delle altre andiamo a formare la sua storia mentre lei crea il nostro presente. Siamo le sue strade, i suoi pomeriggi, i suoi impegni.
È lei è la nostra domanda, le nostre notti insonni, lei è i nostri comandamenti.

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Alessandra Arini

Alessandra Arini

Vengo da Trapani, vivo a Bologna, ma vorrei stare a Roma. Studio giurisprudenza, sogno di trasferirmi alla facoltà di Lettere, ma il mio vero desiderio è essere una studentessa di Filosofia. Improvvisatrice professionale di articoli di tuttologia, ma anche appassionata stravagante di poesia e di altri dilemmi. Insomma, una contraddizione vivente che spera di dilettarvi con i suoi pensieri sul mondo e sul corso delle cose.

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