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Pennellate forti, colori vivaci e contorni indefiniti. Se questo dipinto lo si dovesse affiggere nelle pareti sacre di un tempio artistico, il Musèe D’Orsay sarebbe la scelta obbligata. Il quadro tratteggiato da Cesare non sfigurerebbe di certo accanto ai capolavori di Vincent Vangogh o di Claude Monet. Un’opera anacronistica realizzata con qualche secolo di ritardo e pochi kilometri più distante dall’epicentro culturale della Parigi d’ottocento. Bologna, anno 2013, poco importa. D’altronde con questa tela azzera le distanze e dimostra di essere lui stesso l’erede più degno dell’impressionismo francese. Nello stimolante atelier dei colli bolognesi disegna uno scenario affascinante. La storia è quella di un amore di una notte tra un business man e un’aspirante ballerina, entrambi troppo legati alle catene dei loro sogni professionali per innamorarsi. Lo sfondo è quello di una stellata New York che attribuisce un banale ma efficace taglio cinematografico al film. I protagonisti cedono e si concedono un’unica notte di passione. Tempesta d’amore dentro la camera, tempesta fuori dalla finestra. Fulmini e saette canta Cesare, lasciando a chi ascolta il dubbio dello where? La verità è che anche l’ambiente esterno di accorda con la situazione dei due innamorati alimentando il temporale dei loro cuori. La suspense del corteggiamento è scandita dai tasti del pianoforte, le corde elettrizzanti della chitarra al ritornello descrivono la scena dell’avido consumo. La mattina ha l’oro in bocca, ma non in questo caso. Stavolta sa’ di un amaro caffè che il business man berrà da solo, perché la ballerina passato il valzer se n’è andata per sempre dalla sua mente. Sogno o realtà? A lui non resta che sorseggiarlo rimembrando nostalgicamente l’amarezza di una passione vissuta o solamente immaginata. Siete ancora convinti che Van Gogh sia il vostro pittore impressionista preferito?

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Rocco Salvo
L’anno in cui veniva consegnato il Nobel per la pace a Nelson Mandela, l’anno in cui nelle sale cinematografiche Al Pacino recitava Carlito’s Way, l’anno in cui i Daft Punk diventavano i Daft Punk. Il 23 giugno di quell’anno l’ufficio anagrafe del Comune di Bologna lo condannò per sempre a combattere con l’ambiguità del suo nome. Nelle presentazioni, alla posta, in qualsiasi circostanza quotidiana è inevitabilmente costretto a specificare quale sia il nome e quale il cognome a tal punto che lui stesso si è dimenticato della verità. Per questo a chi glielo domanda, risponde puntualmente: “puoi darmi del tu”.
Rocco Salvo

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