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La Spagna è parte dell’Europa, delle sue paure e delle sue pulsioni: questo è un dato di fatto, e ce lo confermano le recenti elezioni politiche iberiche del 20 dicembre 2015.
Il nostro continente è animato da due sentimenti crescenti. In primis, abbiamo una sempre più forte sfiducia nei confronti delle istituzioni europee: i sogni dei padri nobili dell’Unione sembrano essersi incrinati. L’euroscetticismo è legato a doppio filo alla crisi economica, e soprattutto alle ricette che l’Unione ha messo in campo per uscirne: in tutto il continente possiamo individuare alcune forze politiche critiche verso l’Europa accanto ad altre marcatamente europeiste, così come ci sono posizioni contrapposte per quanto riguarda le attuali politiche economiche europee.
A questo primo elemento se ne aggiunge un altro: emergono nuove forze politiche accanto a quelle già radicate, ed alcune di quelle più antiche si rinnovano nelle leadership. C’è una contrapposizione fra un modo tradizionale di intendere la politica, ed uno del tutto nuovo: così come si sono fatti strada i mezzi di comunicazione di massa, primo fra tutti la Rete, ora si diffondono anche grazie ad essi idee ed energie nuove nella società.
Due diverse visioni dell’Europa, due diverse visioni della politica: questa differenza di prospettive si è riproposta anche in Spagna.
Ma facciamo per un attimo un passo indietro, all’Italia di due anni e mezzo fa: una campagna elettorale estenuante ed una legge elettorale incostituzionale ci consegnavano un paese diviso in tre, ed un Senato privo di maggioranza politica. Se la situazione italiana ci sembrò senza via d’uscita, altrettanto ingarbugliata sembra essere quella spagnola, con la differenza che in questo caso le principali forze politiche sono quattro.

Il Partito Popolare: vincere senza convincere
La forza politica più votata è il Partito Popolare spagnolo, che si riconosce nella figura del premier uscente Mariano Rajoy. Il partito che incarna i valori del centrodestra è uscito notevolmente indebolito dalla prova del governo e da recenti scandali che ne hanno lambito i vertici. Lo stesso leader è stato accusato tempo fa dall’ex tesoriere del partito di essere al corrente dell’esistenza di finanziamenti illeciti alle attività politiche dei Popolari. Ora il problema principale per Rajoy è riuscire a convincere altre forze politiche a sostenere il proprio governo, o perlomeno a non ostacolarlo. I soggetti con cui sembrava possibile il dialogo, tuttavia, non si sono mostrati così decisi a soccorrere il primo partito spagnolo.

Il secondo in classifica, il Partito Socialista (PSOE)
La principale formazione del centrosinistra non conquista i delusi dell’esecutivo, essendo stata essa stessa per molti anni forza di governo: è ancora vivo il ricordo di Zapatero. La grande coalizione non sembra possibile in Spagna.
Nel nostro paese, dopo le elezioni del 2013, Bersani fece un passo indietro per permettere la formazione del governo Letta, frutto dell’accordo fra centrosinistra e centrodestra. La stessa esperienza non sembra replicabile nella penisola iberica. Nonostante questo, il potere contrattuale dei socialisti è più forte di quello dei popolari: il terzo in classifica, Podemos, ha idee abbastanza vicine a quelle del PSOE. In Portogallo, la nascita di un governo di sinistra fa ben sperare, ma un accordo simile in Spagna è ostacolato dalle diverse posizioni sull’indipendenza della Catalogna.

Due forze dirompenti: Ciudadanos e Podemos
Queste formazioni hanno un atteggiamento simile nei confronti della politica di austerity: la ricetta dell’Europa per superare la crisi economica è oggetto di una critica comune, e anche in questo sta il successo di Ciudadanos e Podemos.
Il primo è un partito di orientamento liberale, caratterizzato da posizioni centriste.
Negli ultimi giorni sembra aprirsi uno spiraglio per i popolari di Rajoy: sembrerebbe che Ciudadanos non sia interessato ad impegnarsi direttamente in un futuro governo, ma potrebbe favorire la sua nascita astenendosi dal voto in sede parlamentare.
Per quanto riguarda Podemos, invece, questo gruppo è la vera novità della politica spagnola: un partito con una forte carica di rinnovamento, portatore di un’ideologia di sinistra. Tutto ha inizio all’interno dell’Università Complutense di Madrid, da un gruppo di giovani docenti guidati da Pablo Iglesias. Brillante professore di Scienze Politiche, nel suo curriculum vanta un Erasmus presso l’Università di Bologna (!) ed una carriera accademica… fuori dagli schemi. La bellezza di Podemos sta proprio in questo: l’Università, culla del sapere, che torna ad essere un laboratorio di più ampio respiro, un qualcosa che partendo dalla cultura mira a costruire una collettività migliore. Immaginiamoci, per un attimo, un’Università giovane e vivace, che vuole davvero impegnarsi nel cambiamento. Affascinante, non trovate?
La carica innovativa di Podemos, tuttavia, è anche nella sua unicità: non si può pensare di ricreare qualcosa di uguale senza uno sforzo di elaborazione a monte. Non si può pensare di trapiantarlo in Italia, perchè è cresciuto in terra spagnola, con delle proprie peculiarità. Insomma, è difficile pensare ad un Podemos italiano senza far perdere a questo progetto un suo tratto fondamentale: l’originalità.
Venendo meno questa, viene meno anche tutto il suo potere di coinvolgere energie nuove.

Il percorso verso la formazione del nuovo governo, in definitiva, non sembra facile. Se entro due mesi non si raggiungerà l’obiettivo, verranno convocate elezioni anticipate. La Costituzione spagnola ha le sue particolarità: in una monarchia come quella iberica, non è soltanto il re a svolgere un ruolo fondamentale nella composizione dell’esecutivo, ma anche e soprattutto il Presidente della Camera.
Da quanto accaduto finora, possiamo trarre alcuni spunti di riflessione: una fra le tante riguarda il progetto europeo, un progetto che deve essere in grado di trovare nuovi contenuti ed un nuovo slancio.
L’Italia può giocare un ruolo fondamentale: bisogna sfatare il mito che ci porta a pensare che il nostro paese abbia poco peso in sede europea. Alcuni nostri connazionali rivestono dei ruoli chiave nello scacchiere europeo: basti pensare a Mario Draghi e Federica Mogherini.
Inoltre, per quanto riguarda la necessità di un cambiamento nel modo di fare politica, questa innovazione deve partire proprio dalle grandi famiglie europee (PPE, ALDE, PSE…), che devono essere in grado di rimanere fedeli ai propri valori, adottando una nuova visione ed un nuovo linguaggio.

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Enrico Verdolini

Enrico Verdolini

Sono nato marchigiano e sono bolognese d'adozione. Mi sono iscritto a Giurisprudenza, ma ero tentato da Lettere Moderne. Mi piace leggere, ma anche guardare film e serie televisive: sono giurista, ma nerd nel tempo libero.

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