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Giovedì 13 ottobre. Sala Borsa, Auditorium Enzo Biagi. Uno di quei posti dove ti viene voglia di entrare in punta di piedi. All’improvviso, ti senti piccola e sei pervasa da un sentimento a cui non sapresti dare un nome, quel sentimento che solo una biblioteca sa ispirarti. Le persone cominciano a prendere posto. Ci sono moltissimi giovani, quasi tutti stringono tra le mani una copia di “Oceano Mare”, “Seta” o “Novecento”. Pagine sfogliate, vissute, consumate e ora pronte a ricevere il sigillo del loro autore. Ore 18. Di fronte a una sala gremita, Alessandro Baricco presenta il suo ultimo libro, “Il nuovo Barnum”, una raccolta di articoli scritti negli ultimi venti anni per “la Repubblica”, “Vanity Fair” e “Wired”. Come è facilmente intuibile dal titolo, dentro c’è un po’ di tutto. Frammenti di storia, notizie, immagini, sensazioni, luoghi, città, racconti, riflessioni, persone. Uno stile brillante, inconfondibile, è il filo che unisce i singoli tasselli e li tiene insieme. “Il nuovo Barnum” è una specie di finestra sul mondo. Apriamola insieme. Baricco si schiarisce la voce e inizia a leggere.
Il primo articolo è del 30 gennaio 2010 e parla dell’amicizia prima di Facebook. “Una cosa che ricordo bene, ad esempio, è che pensavamo l’amicizia come il prolungamento di una fede. […] Come i quattro di Emmaus, da ragazzi costruivamo le amicizie su una bolla di dolore. […] Così essere amici significava condividere un segreto. E scambiare malinconia. […] Poiché non esisteva Facebook, essere amici significava fare delle cose. Non parlarne, o raccontarle: farle.”
Un’amicizia senz’altro duratura è quella che lega Baricco a Renzo Piano. Con la lettura del secondo articolo, datato 7 maggio 2004, veniamo catapultati a New York, all’angolo tra Madison Avenue e Trentaseiesima strada, letteralmente nel cuore di Manhattan. Proprio lì, sotto terra, il famoso architetto ha progettato una biblioteca, un tesoro di centinaia di migliaia di testi rarissimi, “carta su cui c’è scritto da dove veniamo e perché siamo fatti così”. Una sorta di scatolone costruito dentro il granito che tiene su la città, con i suoi grattacieli. Baricco racconta. “Mesi dopo mi son trovato seduto in fondo al buco, sotto il cielo grigio, con un elmetto da cantiere in testa e Renzo Piano seduto anche lui lì, come se dovessimo prendere il tè. Lui è uno che quando ti spiega le cose che fa, ha sempre l’aria di dire delle cose ovvie. […] Un altro così è Ronconi, per dire. O Baggio. Più quel che fanno è pazzesco, più quando ti raccontano la genesi dell’idea sembra tutto così naturale, logico, inevitabile. Mi sa che sono così, i veri grandi”.
E proprio perché il libro è un vero e proprio Barnum, al suo interno convivono personaggi reali e personaggi dei fumetti – come zio Paperone – abitanti di un microcosmo dove “le sofferenze e le cattiverie si sono disfatte dal ridere”. Baricco conclude la presentazione con la lettura di un articolo che immagina aver scritto nel 2026. Da qualche anno siamo tutti preda di un comune sentimento: la percezione di un cambiamento in atto, radicale, nella società e nelle nostre vite. La riflessione dell’autore si gioca sul dualismo profondità-superficialità. La prima è un concetto che appartiene al passato. E’ descritta come un viaggio, la cui ricompensa è il senso ultimo. “Ma a un certo punto questo modo di vedere le cose ha iniziato a sembrarci inadatto. Non falso: inadatto. […] Quello che stava accadendo, tra mille difficoltà e incertezze, era che, abolita la profondità, il senso si stava spostando ad abitare la superficie delle evidenze e delle cose. […] Viaggiamo velocemente e fermandoci poco, ascoltiamo frammenti e mai tutto, scriviamo nei telefoni, non ci sposiamo per sempre, guardiamo il cinema senza più entrare nei cinema, ascoltiamo reading in rete senza più leggere libri, facciamo lente code per mangiare al fast food[…]”.
Più ascolti, più hai la conferma di qualcosa che, in fondo, sapevi già. Se sei un lettore di Baricco, finisci sempre per scovare quel pezzettino di te che è rimasto incastrato tra le parole di una frase, nella pagina di un suo libro.

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Alessandra Pelliccia

Alessandra Pelliccia

Mi chiamo Alessandra, studio Giurisprudenza e il mio cuore è conteso da due città, Pescara e Bologna. Sono in costante ricerca della poesia nelle cose. Forse è questo il motivo per cui amo il mare, i libri e la fotografia. Adoro la scena di Forrest Gump dove la vita viene paragonata a una scatola di cioccolatini. "Non sai mai quello che ti capita".
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