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Il 6 maggio 2014 andava in onda in prima TV su SkyGomorra-la Serie, ispirata all’omonimo romanzo di Roberto Saviano, e da lui stesso ideata. Così come hanno fatto discutere il libro e il seguente adattamento cinematografico del 2008 diretto da Matteo Garrone, anche la serie, seppur discostandosi per trama e costruzione dalle due opere anzidette, è stata al centro di dibattiti, probabilmente alla luce della maggiore risposta ricevuta dal pubblico.
I 12 episodi della prima stagione sono stati suddidivisi tra tre registi diversi: Stefano Sollima, già noto per l’ineccepibile lavoro fatto con “Romanzo Criminale- la serie“, Francesca Comencini e Claudio Cupellini. Ad ognuno di loro è stato affidato il compito di approfondire autonomamente le vicende dei singoli personaggi, creando così profili psicologici particolari e permettendo di coglierne le peculiarità, attraverso gli occhi diversi di ciascun regista.
Il merito principale da riconoscere alla serie è il realismo che padroneggia dialoghi e vicende, prima di tutto per l’ampio, talvolta esclusivo utilizzo del dialetto napoletano, ma soprattutto per le ambientazioni e i luoghi: Napoli infatti fa sì da sfondo, ma è essenziale al susseguirsi degli eventi. Ambientata principalmente qui, ha come protagonisti i clan camorristi dei Savastano e dei Conte, rivali nella gestione del traffico di armi e stupefacenti, non solo in Italia ma anche all’estero.
Il complesso ‘Sistema camorra‘ viene sviscerato in ogni sua forma ed espressione, mettendone in luce gli aspetti e le caratteristiche maggiori. Innanzitutto emerge il funzionamento dello spaccio nei quartieri popolari, quindi il traffico vero e proprio di stupefacenti, con il coinvolgimento di paesi esteri produttori e distributori di droga; poi affiora l’espansione al Nord Italia della camorra, che costituisce una presenza latente, in larga parte nell’ambito edilizio, dimostrando che nessuna regione risulta esserne immune, così come il mondo della politica non ne è estraneo e si sottolinea l’ingerenza camorrista nelle elezioni di persone selezionate e manovrate, attraverso la manipolazione delle votazioni; si evidenziano l’essenzialità e la funzionalità delle figure femminili nei clan, accentuando la centralità e la devozione per la famiglia, e infine le lotte esogene nonchè intestine allo stesso clan. Tutti questi fattori sono legati da una scia di violenza e da una crudeltà di fondo, che riportano la finzione romanzata alla drammatica realtà effettiva.
Quando si ha a che fare con la trattazione di temi così delicati, che toccano quotidianamente i nostri connazionali partenopei e non solo, il rischio che si corre è duplice: da un lato, descrivendo determinati eventi e personaggi si rischia di generalizzare, rendendo certe situazioni facilmente etichettabili in modo non veritiero da chi non appartiene a questa realtà o non conosce questi luoghi; dall’altro, quando i protagonisti sono dei criminali, è facile purtroppo esaltarli idealizzandoli nella finzione cinematografica, ed avendo avuto un impatto mediatico così forte soprattutto sui più giovani, si è rischiato di farli diventare dei modelli venerabili.
Tuttavia, la serie è riuscita poichè, sul filo del rasoio, ha evitato di cadere in questi cliché, perchè “chi non rischia non vince“, e Saviano e collaboratori hanno osato, senza strafare. La serie ha riscosso infatti un grande successo: oltre ad essere stata venduta in più di 50 paesi all’estero, ha meritato di essere trasmessa su Rai 3 anche l’anno seguente e poi nuovamente nelle sale cinematografiche italiane.
Successo da riconoscere non solo all’idea di Saviano, ma soprattutto agli attori che hanno saputo rivestire i ruoli da lui creati.
In primis il boss don Pietro Savastano, interpretato da Fortunato Cerlino, un uomo dall’aspetto ordinario, quasi innocuo, ma nei fatti un freddo e abile calcolatore, che confinato in carcere sotto il regime speciale del 41bis, si trova costretto a passare le redini materiali al resto della famiglia, rimanendo comunque in sordina il capo effettivo. Emergono quindi altri personaggi, come il figlio Gennaro (Salvatore Esposito), un ragazzo viziato e immaturo, estraneo alle faccende del clan, rispettato per semplice timore reverenziale nei confronti del padre, e solo dopo l’arresto di don Pietro comincia a rivestire un ruolo centrale, inserendosi nel meccanismo. Accanto a lui, assume rilievo Ciro “L’immortale” Di Marzio (Marco D’Amore), giovane tra gli uomini fidati del boss, che si ritrova a dover iniziare Genny al sistema e ad occuparsi del clan. Ma il capofamiglia è essenzialmente affiancato dalla moglie Donna Imma (Maria Pia Calzone), una donna sicura ed autoritaria, sua principale spalla e consigliera, che resta dietro le quinte guidando il figlio sino a partecipare attivamente agli affari in assenza del marito. Infine a capo del clan rivale si trova Salvatore Conte (Marco Palvetti), un soggetto inquietante, fortemente religioso e devoto, ma al contempo spietato e astuto, che in seguito ad aspri conflitti con i Savastano, si rifugia in Spagna per gestire autonomamente il proprio potente traffico di droga.
Accanto a questi anche gli attori non protagonisti hanno dato un valore aggiunto; ognuno di loro ha interpretato il proprio ruolo con grande professionalità e credibilità, mettendo in luce qualità’, elementi distintivi e psicologici di ogni personaggio, permettendo così allo spettatore di coglierne le sfaccettature e la maturazione nel corso della storia.
Probabilmente dopo l’omonimo romanzo, è il miglior lavoro realizzato dal giornalista, che nel 2006 ha detto: “il fatto che in questo momento ne stiamo parlando, che ne parlano tutti i giornali, che continuano ad uscire libri, che continuano a nascere documentari, è tutto questo che le organizzazioni criminali non vogliono, è l’attenzione su di loro, e soprattutto sui loro affari“. È quindi chiara ed emblematica la volontà di non smettere di denunciare questi fenomeni dilaganti, in ogni forma di comunicazione possibile, per l’amore viscerale che lui, come i suoi conterranei, provano per la città di Napoli.
In attesa dell’imminente uscita della seconda stagione, il consiglio per coloro che non l’avessero ancora vista e’ quello di rimediare per evitare di essere colti impreparati, e per gli appassionati di riguardarla per rinfrescare la memoria e poterne apprezzare il seguito appieno.

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Camilla Claudia Rossi

Camilla Claudia Rossi

Sono nata a Bologna ma confinata nei meandri delle sue campagne, studio Giurisprudenza perché ho sempre desiderato farlo e non perché il mio segno zodiacale è la Bilancia. Il doppio nome altezzoso cela una personalità semplice: amo la musica anni Settanta, i tramonti, i miei cani, l'odore dei libri nuovi, il cinema e le serie TV ma non il buffering dello streaming.
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