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La malinconia a volte è una compagna inaspettata o indesiderata, ma non possiamo evitare la sua presenza in tutte quelle situazioni in cui il nostro masochistico gusto per ciò che è stato e ciò che non c’è più prende il sopravvento sul nostro animo. Allora, come mantenersi in quella sfera positiva della malinconia senza cadere nella diabolica attrattiva della depressione? Mi serviva una medicina: così ieri sera ho guardato bene nel mio cassetto di opportunità e ho scelto di andare a vedere Umberto Maria Giardini al TPO di Bologna.

INDICAZIONI: Umberto Maria Giardini è un cantautore italiano attivo sin dal 1999 sotto lo pseudonimo Moltheni. Dopo una carriera durata undici anni, una prematura partecipazione a Sanremo (per sua fortuna non ripetuta), molte collaborazioni importanti (Battiato, Verdena) e otto album pubblicati, decide di ritirarsi definitivamente dalle scene. Ma nel 2012 torna in campo con un progetto che porta il suo nome reale e pubblica tre album, per la gioia di grandi e piccini.
COMPOSIZIONE: Umberto Maria Giardini (voce e chitarra); Marco Marzo Maracas (chitarra elettrica); Giulio Martinelli (batteria); Michele Zanni (tastiere, synth, basso).
INDICAZIONI TERAPEUTICHE: Infonde fiducia nel poter sentire in Italia bellissime musicalità unite a testi poeticamente visionari. A volte basterebbe semplicemente spegnere la radio o Mtv.
AVVERTENZE E CONTROINDICAZIONI: Meglio qualche secondo di silenzio che un minuto di imbarazzo: a causa di molte pause e sospensioni all’interno dei brani, chi non conosce le canzoni rischia di sfociare in applausi tremendamente fastidiosi nel bel mezzo delle strofe, come ho potuto notare durante la serata.
DOSI CONSIGLIATE: La dieta dell’imperatrice (2012, La Tempesta/ Woodworm/ Venus); Ognuno di noi è un po’ Anticristo EP (2013, Woodworm); Protestantesima (2015, La Tempesta Dischi).
MODALITA’ D’USO: Dirigersi in collina al tramonto, in un balcone vista mare, sotto un portico o ad un suo concerto, chiudere gli occhi e prendere le dosi consigliate. Se queste non bastassero risfogliare il precedente catalogolo musicale sotto il nome di Moltheni.

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Cercando informazioni sull’inizio del concerto scopro che quest’ultimo in realtà fa parte di un evento più grande: Enolibrì, quattro giorni (dal 17 al 20 marzo) di mercato per dare spazio alle produzioni di editori e vignaioli indipendenti. Il tutto accompagnato da musica, dibattiti, assaggi, e al costo di solo 1 euro!
La location è il TPO (Teatro Polivalente Occupato) di Bologna: in fondo il bancone con il vino e gli aperitivi, al centro gli stand degli editori con libri e fumetti, dall’altro lato il palco con le presentazioni e la musica.
Quest’ultima inizia intorno alle 22:30 con Daniele Celona, bravissimo cantautore dell’energia unica, una piccola scoperta a inizio serata.
Un’oretta dopo arriva Umberto Maria Giardini: si presenta da solo alla chitarra, mentre mano a mano dalle quinte arriva il resto del gruppo. Come per rivendicare le proprie radici musicali si iniza subito con una canzone del passato Moltheni: L’attimo celeste (prima dell’apocalisse). Si capisce all’istante che il pubblico verrà trasportato in un’altra dimensione. Le chitarre tagliano l’aria introducento la marziale Urania, brano dell’ultimo album compagno di quel lato sofferto della malinconia (“Oggi è un altro giorno vuoto/oggi è un altro giorno in cui ti invoco“). Si passa con Amare male in un crescendo di sensazioni che sfociano nel lungo finale e nel lirismo del cantautore (“Chi digerisce i miei no per le colpe che non ho“). Un altro finale capiente è quello del brano successivo Tutto è Anticristo, pezzo molto strumentale che fa navigare tra i meandri della psichedelia e che riflette tutta la bravura dei musicisti all’opera. A questo filone di sensazioni si ricollega un altro brano dello stesso EP (Ognuno di noi è un po’ Anticristo) ovvero Omega. E’ il momento dell’omonima traccia dell’ultimo album: Protestantesima, potente e rockeggiante, è un inno alla sincerità tipica di una persona come Umberto che di certo non ha peli sulla lingua. La frase “I preti e gli operai le chiavi dei miei guai” mi ricorda tanto la poesia di MontalePiccolo testamento” in cui l’autore rivendica una propria coerenza personale che “Non è lume di chiesa o d’officina/che alimenti/chierico rosso, o nero“. Anni luce arriva splendida come sempre, un tunnel che sembra veramente condurci “lontano anni luce”, fuori dal tempo, fuori da noi stessi. Chiudo gli occhi e mi accorgo che è proprio così. Durante un classico momento di sospensione del brano successivo, Molteplici e riflessi, si ripete una situazione imbarazzante, ma ora giunta dai fonici dietro il palco che, parlando troppo ad alta voce, nell’attimo di silenzio vengono inevitabilmente sentiti. Umberto si gira sorridendo verso di loro e riesce a passarci sopra. Ma effettivamente l’unico punto negativo dell’evento è che essendoci molta gente dall’altra parte del TPO intenta a fare altro (tra vino e libri) non si riesce ad avere un silenzio completo che richiederebbero canzoni riflessive e delicate come quelle del cantautore.
Si riparte con Il vaso di Pandora, invettiva verso una Milano sempre più cocainomane. Anche qui Umberto si allontana dal mainstream “E se è vero che tutto si compra e il denaro rincuora/resto pulito e raro/e chi se ne frega” in tutta la sua purezza musicale. A seguire la perlacea Sibilla e la meditativa Quasi Nirvana. Continua con un altro brano del primo album La dieta dell’imperatrice: il trionfo dei tuoi occhi, sempre molto visionario tra impressioni nostalgiche e parole metaforiche.
Torna il passato Moltheni e arriva Educazione all’inverso. Poi il cantautore si sofferma un attimo: “Chi mi conosce sa che non mi piace parlare molto sul palco. Non mi piace la gente che lo fa. Lo evito per non dire troppe… cazzate” e in questa semplice frase si rivela tutta la filosofia di un autore come lui, sintetico, incentrato sull’unica cosa importante per il suo lavoro ovvero la qualità della sua stessa musica. Ed è per questo che musicalità come le sue, nonostante meriterebbero un maggiore successo, possono continuare a vivere solo in ambienti più intimi, al di lá delle orecchie viziate dal pop più banale e da testi asciutti di contenuto. Questa invece è poesia.

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Il discorso continua: “Dirò solo che la prossima è una canzone col tempo rivelatasi molto importante per me, per quello che faccio e per quello che continuerò a fare. Voglio dedicarla a mio fratello”. Il brano è Saga. Dopo altri vari ringraziamenti e un saluto finale, il concerto termina con un brano dell’ultimo album Pregando gli alberi in un ottobre da non dimenticare.
Ci ringrazia ancora, ci riguarda tutti, compreso me, intento a battere le mani davanti al palco assieme ad un mio amico. Alla fine decido: compro il suo cd e me lo faccio autografare.
La malinconia si è prosciugata nelle emozioni di una serata stellare e di un evento come Enolibrì che, a mio parere, è stato molto ben organizzato in tutte le sue sfumature artistico-culinarie e culturali. Ed è proprio in ambienti come questi che nasce e si diffonde la poesia. Ed è proprio per questo che consiglio vivamente di andarci anche questa sera, ultima data del festival che vedrà anche la partecipazione del particolare dj Don Pasta e del cantautore Pierpaolo Capovilla.

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Ariele Di Mario

Ariele Di Mario

Nato vicino Roma, emigrato in Umbria, ora arrivato a Bologna per studiare Lettere Moderne. Nei vagheggiamenti di un lavoro sogna di fare qualcosa legato alle sue due maggiori passioni, la musica e la scrittura. Fosse per lui spenderebbe soldi unicamente per libri e concerti. Crede fermamente che ogni persona abbia una storia di vita da raccontare.

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