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Lo chiamavano Jeeg Robot non è solo la prova del nove che in Italia è possibile realizzare un film sui supereroi ma è anche, e soprattutto, una ventata di aria fresca e pulitissima per i tempi che corrono. Ci si è trovati costretti, negli ultimi anni, a navigare in acque sporche e contaminate da un cinema azzerato culturalmente e permeato da una volgarità raccapricciante. L’esordiente Gabriele Mainetti è la riprova della speranza, la voce che sussurra al mondo che l’Italia potrebbe tornare sulla cresta dell’onda, solo basta crederci.
Un progetto ambizioso e assai rischioso il suo, un solo tassello fuori posto e il sogno di una vita sarebbe andato in frantumi. Mainetti si dimostra un regista di talento ed un abile shackeratore di sapori differenti. Non solo un film di supereroi ma una rappresentazione schietta e veritiera di una realtà triste e problematica che affligge tanto Roma come migliaia di altre città.
Originalità, quindi, è la parola chiave, caratteristica principale di un film fuori dagli schemi che fa della sua straordinarietà la vera essenza. Originale nella messa in scena, nella scelta di eleggere la città eterna come la nuova mecca del super eroismo e nelle scelte narrative, di dettagli e particolari astutamente italianizzati. Alla trama forse semplice e scontata si affianca la volontà del regista di rendere tipicamente italiano tutto quello che incontra sul suo cammino. Elementi riconducibili alla cultura popolare del Bel Paese, alle proprie abitudini e alla propria storia e tradizione.
La recitazione in spiccato accento romanesco, i riferimenti al mondo mediatico del Grande Fratello e Buona Domenica e ancora le vecchie glorie della musica pop anni ’80 e la mozzarella di bufala. Un rischio che Mainetti era ben conscio di stare affrontando e che fortunatamente per lui, e per gli spettatori, è stato superato.
Lo chiamavano Jeeg Robot è una stupenda opera prima, l’esordio col botto che sa divertire, intrattenere e anche commuovere. Un film action folle ma anche una tenera storia d’amore, l’eterno scontro tra bene e male, una riflessione astuta su cosa sia giusto e sbagliato, sul sacrificio e l’altruismo.
A tratti può richiamare alla mente lo stupendo Leon di Luc Besson, specialmente nella parte iniziale. Il protagonista burbero ed introverso e la ragazza carina e dolce che, per situazioni del tutto casuali, si trovano a dover condividere la vita tra intimità e routine di tutti i giorni. A questo si aggiunge la figura del pazzo cattivo della storia – un criminale, a differenza del poliziotto interpretato da Gary Oldman – che dà la caccia al nostro “eroe” cercando di chiudere definitivamente i conti. Ovviamente le similitudini con il film di Besson si esauriscono con questi due aspetti ed è probabile che non fosse l’intento del regista quello di ricreare atmosfere e frangenti somiglianti.
Influenze bessoniane a parte, il film di Mainetti fa il verso al mondo dei cinecomics e non sarebbe di certo impensabile, viste le doti, l’idea di affidargli la realizzazione di un blockbuster americaneggiante. Questo è, dopotutto, un atto d’amore verso i cartoni animati giapponesi degli anni ’80 – titolo non è un caso – e alcuni film sui supereroi usciti negli ultimi anni, su tutti Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan. Volute o no, appaiono evidenti le similitudini tra il personaggio dello Zingaro e il Joker di Heath Ledger, entrambi mentalmente instabili e pericolosi. E proprio parlando di personaggi non si può evitare di menzionare le riuscitissime interpretazioni dei protagonisti della pellicola, rese ancor più memorabili grazie a una sceneggiatura geniale e creativa.
Claudio Santamaria è perfetto nella sua parte di supereroe imbolsito ed atipico, con caratteristiche che lo estraniano da qualsiasi altro supereroe creato in precedenza. Ilenia Pastorelli è una scoperta promettente che al suo esordio nel cinema ci regala una prova attoriale degna di nota. Ma la vera sorpresa è il già menzionato Zingaro, interpretato da Luca Marinelli. Personaggio incredibilmente scritto ed interpretato, un’icona che solo per la straordinaria sequenza dell’uccisione della banda di Scampia meriterebbe di essere inserito negli annali della storia del cinema italiano. A dimostrazione del fatto che quando un cattivo funziona bene il film è già un successo.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film da supportare, da amare e rivedere fino allo sfinimento. Dare spazio a progetti del genere vuol dire promuovere la rinascita e lo sviluppo di un’arte che in Italia fatica a rinsavire.
Si spera che possa essere l’inizio di una nuova ondata di idee perché il nostro Paese, a differenza di quanto si dica, è pieno di giovani talenti desiderosi di affermarsi. Un film bellissimo, penetrante e pieno di riflessioni intelligenti sulla vita e la realtà delle nostre città. Ci si augura che la gente corra in massa a gustarsi e ad ammirare questa piccola perla che, per i nostri andazzi, possiamo definire semplicemente “miracolo”.

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Alberto Nisi

Alberto Nisi

Bergamasco di nascita ma non di tradizioni, troppo incline al cambiamento e alla curiosità per le cose nuove. Studio lingue e ho scelto Bologna per il suo enorme potenziale, il suo fascino e le sue possibilità. Sono un assiduo lettore ma vivo per la musica e per il cinema, che sono le mie vere “malattie”. Sogno di scrivere, di suonare in pubblico o di entrare nell'entourage di un film, ma c'è ancora molta strada da fare.
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