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Assistere ad una rassegna di corti e mediometraggi è un modo semplice, diretto ed efficace per regalarsi un paio di ore di curiosità visiva. Una curiosità che si affaccia da finestre varie, diverse ed intime, ma con un unico comune denominatore che è anche uno dei motivi ispiratori di questa particolare forma d’arte: trascrivere su pellicola, dar vita ad un pensiero e rilasciarlo sotto forma di messaggio. Visioni italiane è quindi un’occasione unica per passare ore di buona curiosità, rivolte ad una ricerca continua per capire ed imparare qualcosa di nuovo, accompagnati da quella dignità che solo il cinema riesce a dare. La dignità della sala buia, silenziosa e attenta e, ovviamente, dello schermo, finestra su un mondo che in una decina di minuti, o anche in pochissimi secondi, cerca (riuscendoci in vari modi o almeno provandoci) di essere osservato e capito. Si rimane coinvolti da storie diverse, ma anche da suoni e colori, provenienti da luoghi e culture altrettanto varie che, in rapida sequenza, narrano di individui alla continua ricerca di dignità e rispetto; coraggiosi protagonisti di quella commedia umana (nel senso più nobile e letterario del termine) che anche un corto cinematografico è in grado di evocare.

Bled El Mahzen – Sull’orlo del Marocco, regia di Bruno Rocchi, riesce ad evocare in tre quarti d’ora una realtà così vicina, al di là del Mediterraneo, appena a 200 km dalle “nostre” coste spagnole ed europee, ma così distante.
Il Rif, regione montuosa del Marocco settentrionale, con i suoi paesaggi aspri ma non così diversi dai più noti dell’Europa meridionale, fa da sfondo ad un racconto corale, ma fatto da singole, intense personalità. Si alternano quindi le storie di tanti protagonisti di cui non ci viene rivelato il nome; forse proprio perché i loro nomi e le loro individualità si confondono nella loro lotta quotidiana. Una lotta che si di-mostra in diverse forme ma con un unico e preciso obiettivo: la conquista (o la difesa) di un lavoro dignitoso. Un lavoro che, nella terra che ci viene narrata con notevole efficacia, viene vissuto come un privilegio e non come un diritto. Ecco quindi l’agricoltore tornato dall’Europa che fatica ad andare avanti oppresso dalla burocrazia, il rassegnato venditore di hashish, unica vera risorsa di quel territorio, seguiti poi dalla coraggiosa donna (incinta!) che sfida i pericoli della dogana e del contrabbando, trasportando chili di beni che non vedrà e non userà mai per sé; e ancora il maestro di scuola elementare licenziato perché aveva osato manifestare in piazza contro il governo. Sono persone che si raccontano a modo loro, nelle lingue più varie (francese, spagnolo, un misto delle prime due, arabo, un po’ di inglese), tutti accomunati da un desiderio di essere ascoltati, capiti e che il regista riesce ad elevare e rendere dignitoso. Un mediometraggio intenso, in grado di far riflettere spostando lo sguardo verso la nostra (fortunata) sponda del Mediterraneo e considerandola, a visione finita, con occhi diversi.

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Alessandro Milito
Questa persona, nata 24 anni fa a Crotone (in Calabria, in fondo a destra), generalmente è logorroica e difficilmente evita di parlare e gesticolare. Il suo principale problema è parlare di se stesso: ne è totalmente incapace. Potremmo dire che ha conseguito la Maturità classica e questo lo ha portato all'originale scelta di studiare Giurisprudenza a Bologna e laurearsi. Scrive sin da quando perse un giochino a sei anni (trovato negli ovetti di cioccolata): la ricerca di quell'oggetto fu il suo primo capolavoro letterario. Da allora condivide le sue paranoie e insofferenze così. Gli piace credersi di sinistra, se questo sia vero o no è un quesito che lascia ad altri.
Alessandro Milito

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